Ti racconto la politica 1
(Lo schema)
Caro lettore, ho la fortunata possibilità di parlare un po’ con te; ne
sono lieto e di questo ringrazio il direttore Arturo Diaconale.
C’incontreremo ogni settimana e parleremo di politica, evitando di
ripetere le solite cose che sentiamo da decenni. Racconteremo senza
ipocrisie i “vizi” che, di là della norma statutaria, tendono ad essere
la quotidianità dei partiti politici. È sentimento comune che la
politica ci faccia un po’ dannare, ma è anche palese che gli
atteggiamenti popolari nei confronti di essa siano spesso inefficaci o
quanto meno superficiali. Nei nostri incontri settimanali cercheremo di
ovviare a questa superficialità. Intanto, tracciamo un semplice schema.
Il maggiore concime d’ogni cosa è il tempo; non è mai esistito, lo sai,
un seme che sia diventato immediatamente albero. Un progetto è un
progetto e capita che parta da un’idea e si avvii su un pezzo di carta.
Sono certo che in tema di politica, il progetto che svolgeremo in queste
pagine ci fornirà qualche utile conoscenza. Bene, proseguiamo con un
semplice schema! Prendiamo un normale foglio di carta, posizioniamolo in
verticale e tracciamo due linee parallele che corrono dall’alto verso il
basso. Scriviamo la parola “Partito” sopra la prima linea e la parola
“Istituzione” sopra la seconda. Ora, scegliamo di definire come
“Sezione” il più piccolo livello territoriale di partito, e come
“Comune” il più piccolo livello territoriale dell’istituzione. Sotto, di
seguito, scriviamo “Sezione comunale” nella linea Partito e, di fianco,
“Comune capoluogo”, nella linea Istituzione. Ancora sotto, scriviamo
“Sezione provinciale” nella linea Partito e “Provincia” nell’altra.
Proseguendo sempre a livelli paralleli, scriviamo adesso “Sezione
regionale” nella linea Partito e “Regione” nella linea Istituzione.
Bene, siamo arrivati a Roma! Scriviamo “Organi nazionali” nella linea
Partito e “Senato, Parlamento, Governo, Enti”, nell’altra. Ecco, lo
schema ti dice intanto che nelle varie porzioni di territorio esistono
le strutture notoriamente pubbliche, ma anche le corrispondenti
strutture di partito. Perché? Tra le due linee tracciate, quale conta di
più? Esiste una terza linea non “visibile”?
p.s. - Sono lieto d’averti conosciuto; ti aspetto alla prossima
puntata!
Ti
racconto la politica 2
(La terza linea nello schema)
Eccoci, caro lettore, alla seconda puntata. Come ti dicevo,
c’incontreremo ogni fine settimana per parlare di politica e raccontare
senza ipocrisie certi “vizi” che, di là della norma statutaria, tendono
ad essere la quotidianità di molti partiti. La politica dei “politici”
ci fa un po’ dannare, però molti atteggiamenti del popolo sono
inefficaci o quanto meno superficiali; nei nostri incontri cercheremo di
ovviare, come potremo, anche a questa superficialità. Bene, proseguiamo!
Quale conta di più? Esiste una terza linea non “visibile”? Sono le
domande che concludevano il capitolo d'inaugurazione della nostra
rubrica.
La risposta sta arrivando, ma prima tracciamo sul nostro schema una
terza linea a fianco delle precedenti. Si tratta di una linea che vuole
farsi vedere poco, dunque, disegniamola più sottile o tratteggiata e
chiamiamola “Sottobosco”;
capiremo presto che non le diamo questo nome per caso. Nella terza linea
che è stata appena tracciata, elencheremo alla rinfusa, magari solo in
base a un presunto ordine d’importanza, i nomi delle “appendici”
pubbliche, semipubbliche e d’influenza pubblica che conosciamo. Sappiamo
che neppure il più preparato e informato sarà in grado di inserire nella
terza linea del nostro schema l’intera foresta delle appendici
accennate, anzi pensiamo addirittura che sarà in grado di elencarne solo
una piccola percentuale. Proseguendo in questi capitoli, capiremo i
motivi per i quali sono stati creati gli incredibili organismi del
“Sottobosco” che, forse, avremmo potuto chiamare
“Occulto”. In più, non
dimentichiamo che ognuno di quegli infiniti organismi e paraorganismi è
retto da presidenze, vicepresidenze, amministratori delegati, direttori,
ispettori, commissioni e organi statutari di ogni tipo, così come d’ogni
tipo sono i consulenti esterni di cui detti organismi si avvalgono.
Nel pezzo di carta sotto i nostri occhi, ci sono ora tre linee parallele
che abbiamo chiamato “Partito”,
“Istituzione” e
“Sottobosco”. Il nostro
schema è praticamente pronto, dunque possiamo utilizzarlo per fare un
viaggio dentro la politica e dentro i partiti, perfino per scoprirne
vizi e veleni. A proposito, rispondo alle domande. Sì, l’abbiamo appena
tracciata sul foglio, dunque sai già che la terza linea esiste. Infine,
la linea che conta di più, cioè quella che ha potere decisionale sulle
altre due, è la linea che abbiamo chiamato “Partito”. Forse non lo sai,
ma sono i dirigenti dei partiti politici che stabiliscono tutti ma
proprio tutti gli “abitanti” delle altre due linee. Prossimamente
vedremo come e perché.
Ti racconto la politica 3
(Gli uomini di parrocchia)
Col dovuto rispetto per il reale significato di parrocchia quale insieme
di fedeli di una porzione di diocesi cristiana, la locuzione “uomini di
parrocchia” è un modo retorico per intendere gli uomini di squadra o del
giro o del clan o del capo. Anche in questo caso esistono le varie
giurisdizioni territoriali, come espresso nel nostro schema delle tre
linee. Gli uomini di parrocchia sono ovunque e la loro ambigua azione è
sancita e regolata dai partiti politici.
Il semplice schema disegnato nelle prime puntate, riporta tre linee che
abbiamo chiamato "Partito", "Istituzione" e "Sottobosco". Abbiamo detto
poco della linea “Istituzione” ma intanto ci limitiamo ad affermare che
è anche una sorta di magazzino, di parcheggio e perfino di hotel di
lusso nel quale si “sistemano” gli addetti ai lavori. Abbiamo invece
appreso che la linea “Sottobosco” non ama mettersi in evidenza e che la
linea “Partito " detiene ogni potere decisionale sulle altre due.
Perché?
Beh, a questo punto occorre parlare dei cosiddetti “uomini di
parrocchia”. Fino ai primi anni Ottanta del secolo scorso, essi erano
proseliti, attivisti, amici, compagni e via discorrendo; si trattava di
persone di antica e sincera fede politica, mosse da alti sentimenti.
Poi, almeno una quindicina d’anni prima del sopraggiungere della
cosiddetta seconda Repubblica, hanno preso a trasformarsi un po’ per
volta in “uomini di parrocchia”, cioè in quel popolo tra il popolo che
svende il popolo. La locuzione “potere politico” è logora e antica, ma
rende l’idea di cosa voglia dire, dunque, non cercheremo alcun
analogismo più moderno. Il potere politico punta a piazzare "uomini di
parrocchia" in ogni possibile realtà che generi interessi, anche la più
piccola o remota, fino a creare appositi burocratismi qualora non
fossero già stati previsti.
Si tratta di una sorta di strategia d’invasione e di controllo che ha
genesi nei partiti politici. Per interessi, s’intendono affari,
controlli di persone, di quattrini, di regole, di notizie, di voti e di
potere. Sui poteri dello Stato - quello Stato che dicono che siamo noi
ma che non è vero - si fa molta confusione. I poteri istituzionali dello
Stato sono tre: il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario; ne
parleremo, dunque, non facciamo confusione e ricordiamolo! L’accennato
piazzamento degli uomini di parrocchia, si decide nelle sedi dei partiti
politici e si gioca nelle tre le linee che abbiamo disegnato; essi,
infatti, oltre che nelle istituzioni e nel sottobosco, vengono piazzati
anche direttamente nei partiti. Il nostro viaggio nella politica e nei
partiti è appena iniziato; nel prossimo capitolo vedremo con quali
criteri si piazzano queste decine e decine di migliaia di parrocchiani
“sui generis”.
Ti racconto la politica 4
(Verso i congressi)
La conoscenza “in breve” non rende competenti. Esistono cose più
semplici di altre, ma la superficialità non dà ragione neppure di
quelle. La politica è tra le cose più difficili e nel popolo, l’esercito
di individui che s’improvvisano politologi, è ormai un guaio per
l’intera società. Nella vita, dunque anche nella politica, il concreto e
subito non esiste; forse è meglio intendere che conoscenza e coscienza
si formino un po’ per volta.
In questo quarto capitolo inizieremo a occuparci dei criteri che si
usano per piazzare gli "uomini di parrocchia" dei quali abbiamo detto
nel capitolo precedente. La questione è articolata, ma cercheremo di
descriverla in modo chiaro e come accennato sopra, un po' per volta.
Richiamiamo adesso alla nostra attenzione il termine “congresso” e
cerchiamo di capire, anche con un pizzico d’umiltà, che è difficile
avere cognizione delle mille recondite sfaccettature del suo
significato, salvo che non si sia stati dei precisi addetti ai lavori.
Cos'è un congresso di partito? Perché si fa? Come si fa? Chi lo fa?
Quali compiti ha? Quali poteri, segreti e codici racchiude?
I partiti politici sono molto gelosi delle loro attività dietro le
quinte e i congressi sono, per così dire, una delle quinte più possenti
di cui dispongono. Atto esteriore o sostanziale che sia, in democrazia
si deve votare e nei congressi si vota. Ciascuno si farà personale
carico di valutare se viviamo in una democrazia vera o finta, ma in
entrambi i casi, vi sono presupposti che non possono essere soppressi.
Nessuna democrazia infatti, può cancellare l’istituto del voto, dunque,
un’eventuale democrazia finta cercherà in tutti i modi di controllarlo.
Qualcuno vorrà fare fatica a crederlo, ma i congressi sono genesi di un
mare di espedienti e per certi aspetti, contano perfino più delle
elezioni pubbliche. Stiamo iniziando a descrivere gli intrighi in cui
essi si avvinghiano e giacché sono abitudini comuni, svolgeremo una
sorta di cronaca in diretta di un congresso tipo.
C’è chi ama pensare che informazioni del genere siano poco rilevanti, ma
certa politica si fa forte anche della superficialità popolare. Si
tratta di metodi discutibili che hanno creato un grave distacco tra
popolo e politica, ma accade perfino che detto distacco sia voluto.
Piaccia o no, la politica è nel piatto in cui mangi e nel letto in cui
dormi e non è raro che s’interessi a te, ottenendo che tu non
t’interessi a lei. Intimamente intesi da pochi addetti ai lavori, i
congressi delineano la base della nostra democrazia; è opportuno che la
gente ne sappia un po' di più. Ora, una domanda nasce spontanea; se i
congressi dei partiti politici sono “pilotabili”, è pilotabile anche la
democrazia?
P.S. La prossima puntata s’intitola “Il tesseramento”, ciao e a presto!
Ti racconto la politica 5
(Il tesseramento)
Gli assiomi, ovvero il giorno, la notte, la forza di gravità eccetera,
sono indiscutibili, dunque, mirare a “fabbriche di assiomi finti”, come
talvolta si fa con la politica, la pubblicità e l’informazione, porta
facili approvazioni. L’essere umano non influenzabile non esiste e più
si proclama libero e più è a rischio di buttare il cervello all’ammasso.
L’ordinamento politico dà al cittadino l’illusione della scelta e non è
raro che crei regolamenti e leggi per abusare a norma di legge. Qui,
parliamo dei meccanismi che permettono tali abusi; non dimentichiamo lo
schema del primo capitolo e quella linea verticale che decide per le
altre.
Il tesseramento è uno strumento pieno d’intrighi. Nel precedente
capitolo, dicevamo che la conoscenza “in breve” non rende competenti;
ora aggiungiamo che essa espone al plagio, ovvero a quella scienza che
modella l’esteriorità per gabbare il senso dell’etica e del giusto.
L'Italia s’incanta d’estetismi e per creare delle fissazioni, basta la
retorica buonista che usa in modo subdolo parole come democrazia,
solidarietà, cooperazione, tutela, assistenza, libertà d’opinione,
diritto di parola e quant’altro. Sono ormai bigottismi culturali che
proliferano laddove l’emotività prende il posto della ragione, magari
insieme a un po’ di chiasso. Esistono più forme di democrazia, per
esempio quella presidenziale o quella diretta; la democrazia italiana si
dice “parlamentare rappresentativa”. Prima di chiedersi quale sia la
democrazia migliore, occorre capire che un popolo politicamente
impreparato non può avere nessuna democrazia. Il cosiddetto “partito
politico” è lo strumento costituzionale col quale il popolo si
rappresenta, ma oggi non è ciò che doveva essere.
Nell'animo del costituente, esso era l'anello di congiunzione tra le
istituzioni dello Stato e la volontà popolare; l’articolo 49 fissa il
diritto di associarsi in partiti politici per intervenire con "metodo
democratico" nella politica nazionale. Per non farla lunga, diciamo
subito che oggi il metodo democratico non esiste e fatta appunto salva
l’esteriorità, non è raro che i partiti violentino l'etica democratica
sia dentro sia fuori di essi. Come affermato nel secondo capitolo, i
partiti politici determinano le scelte istituzionali, dunque, i loro
dirigenti sono uomini di potere. L’iscrizione, ovvero la tessera, dà
diritto di partecipazione alla vita del partito ma rappresenta uno dei
tabù italiani; si creda o no, neppure la Polizia di Stato ha gli elenchi
rispondenti al vero, degli iscritti. In Italia, i tesserati complessivi
di tutti i partiti, sono poco più del 2% della popolazione ma detta
percentuale, già esigua, è ingannevole perché i partiti "inventano" le
tessere. Lo fanno in più modi e suscitano indignazione i cosiddetti
“pacchettari” che tesserano nomi alla rinfusa, “estratti” dagli elenchi
telefonici e dalle lapidi dei cimiteri. Ne parliamo, certo che parliamo!
Ti racconto la politica 6
(Tra tessere false e vere)
La democrazia è cosa diversa dall’ipocrisia che se n’è fatta per dare
agio ai criminali e vigore agli stupidi. Sul significato, la funzione e
l’importanza della politica, si fa molta confusione; c’è gente che si
crede forte perché si dichiara apolitica; essa non sa che mentre il
suicida si uccide di colpo, l’apolitico si uccide un poco al giorno.
Luoghi comuni, fissazioni e slogan hanno sostituito la suggestione
all’intelligenza. In tale clima di superficialità, non è possibile
concepire azioni efficaci di rivalsa politica popolare.
Alcune considerazioni del precedente capitolo, indicano in media che in
un campione di un milione di cittadini, gli iscritti ai partiti, l’uno
per l’altro, siano circa ventimila, compresi i tesserati “a loro
insaputa” e i già passati a miglior vita. Chiariremo perché accade ciò
ma, stabilito arbitrariamente che si possa fare a meno dell’autografa
spontaneità, ecco che elenchi telefonici e lapidi dei cimiteri diventano
mezzi molto comodi per fare pacchetti di tessere, ovvero di iscritti.
Tra poche puntate, scopriremo chi sono i cosiddetti “pacchettari”.
Conoscere pubblicamente il rapporto tra tessere vere e false è
impossibile, ma dal numero di denunce, scandali e anche analisi dirette,
si può supporre che nessuna delle due quantità possa vantare un netto
distacco sull'altra; nei congressi, i pacchetti di tessere sono
determinanti.
Quanto sopra ha molta influenza sull’apparato istituzionale ma, da
esterni, è difficile che si possa intuire l’enorme potere dei congressi
di partito sulla vita pubblica. I fatti associativi sono il mezzo per
intervenire nella politica del Paese; di là di altre divagazioni, si
tenga ben presente che i partiti politici sono soltanto dei fatti
associativi. Tutti i poteri, finanziari, malavitosi, culturali,
industriali, corporativi, popolari, onesti o disonesti che siano, si
riuniscono in fatti associativi per intervenire nella vita democratica.
Accade però che certi poteri, magari anche cinici, abbiano capito
l’utilità di riunirsi in partiti politici; il popolo, invece, afferma
che i partiti siano già troppi e non considera che sia praticamente
impossibile trovarne uno di vera “proprietà” popolare. In tale
distorsione, si formano partiti che si blindano dietro il solito
paravento di buonismo estetico, mentre osteggiano ogni incursione
dall’esterno.
La gente spesso non lo sa, ma i congressi dei partiti sono il percorso
ufficiale e costituzionale di accesso al potere. Il controllo dei
congressi è strumento per pilotare il potere politico ed è anche il
primo passo per manipolare le votazioni pubbliche. Nei congressi, si
eleggono/nominano i dirigenti dei partiti e proprio loro sono i veri
Caronte che traghettano ogni disparato proposito nei palazzi dell’Ade,
ovvero delle disposizioni pubbliche. È un tema importante che merita
approfondimento; riprodurremo una sorta di diretta, descrivendo ogni
trucco e dettaglio, della celebrazione tipo di un congresso.
Ti racconto la politica 7
(I postifici)
L’informazione seria pubblica notizie oggettive, quella “viscerale”
punta invece a enfatizzare ogni notizia col fine di creare suggestioni.
Questo corso racconta realtà, meccanismi ed espedienti difficilmente
confutabili.
I “postifici”, gli “appaltifici” e i “consulenzifici” sono particolari
uffici di collocamento e agenzie d’affari, gestiti da dirigenti di
partito e loro adepti. Si tratta di strutture ramificate in qualsiasi
amministrazione o ente pubblico, che servono a fare fronte alle
necessità criminali del voto di scambio. I postifici in particolare
procurano un’enormità di assunzioni pubbliche a tempo indeterminato,
pagate dallo Stato con i soldi dei contribuenti.
Abbiamo assunto l’impegno di pubblicare una sorta di cronaca in diretta
di un tipico congresso di partito e manterremo il nostro impegno. Molti
evitano la fatica di tenerne conto, ma occorre affermare esplicitamente
che la politica non può essere capita se non si posseggono alcune
specifiche informazioni di base; in questo corso, ci stiamo occupando di
fornirle. Non anticipando la descrizione di certi meccanismi, sarebbe
difficile capire molti passaggi della diretta congressuale che ci
accingiamo a rappresentare.
Credere di realizzare qualcosa senza possedere le opportune
informazioni, è da presuntuosi; per esempio, la nostra storia
dell’ultimo mezzo secolo almeno, dimostra come la superficialità abbia
determinato azioni di rivalsa politica popolare del tutto inefficaci. I
congressi dei partiti sono preordinati a tavolino da pochi capi e lo
svolgimento ufficiale dei lavori è solo un fatto esteriore per simulare
democrazia.
L’esteriorità “pilotata” genera notizie addomesticate e rappresentare la
realtà senza conoscere la realtà, è socialmente dannoso. Blogger,
politologi e giornalisti improvvisati che rilanciano col ritmo
dell'ossessione qualsiasi pubblicazione alla rinfusa, non sono utili
alla consapevolezza popolare. Il potere politico conosce l'inganno della
suggestione e usa chi improvvisa, come facile veicolo di plagio. Adesso,
riosserviamo l’iniziale schema delle tre linee verticali parallele e
aggiungiamo, tra parentesi, (assunzioni - appalti - consulenze), sotto i
titoli “Istituzione” e “Sottobosco” con cui abbiamo denominato la
seconda e la terza linea.
I postifici, in particolare, sono come magazzini di milioni di posti di
lavoro retribuiti dallo Stato, sparsi in tutt'Italia e a disposizione
delle necessità del voto di scambio. Dai postifici agli appalti, dai
grandi capi ai più piccoli signorotti locali, i congressi tracciano la
sorte di tutto. Giacché lo schema è sotto i nostri occhi, osserviamolo
ancora un po’. Riportati i vari livelli territoriali, abbiamo visto che
ad ogni istituzione amministrativa comunale, provinciale, regionale o
nazionale, corrisponde un livello di partito. Per andare avanti, occorre
sapere come sono organizzati gli accennati livelli territoriali dei
partiti; poi, finalmente, passeremo alla cronaca in diretta di un
congresso tipo. Il territorio è pieno di “signorotti”… parleremo di loro
e di ciò che fanno.
Ti racconto la politica 8
(Territorio e nani di periferia)
La democrazia si è dimostrata negativamente diversa da come era stata
immaginata; non è amministrata a favore del popolo e sarà così finché
tanti cittadini useranno l’emotività e la suggestione al posto
dell’intelligenza. “Eccitarsi” per la democrazia e intenderla come un
fatto dovuto, è stato facile, ma essa è oggi subdola espressione della
dittatura. La sua prepotenza è ramificata e recluta un popolo tra il
popolo che tradisce il popolo. Una società impreparata non può avere la
democrazia vera; ne è prova il fatto che questa dittatura che si fa
chiamare democrazia ha sistematicamente eroso la scuola e
l’informazione.
A suo tempo, la cultura e la fede politica liberale, socialista,
democristiana, missina, comunista o altro che fossero, generavano forme
spontanee di aggregazione tra cittadini, dette partiti politici, che si
organizzavano per portare le istanze popolari nelle istituzioni
parlamentari. Dette aggregazioni sono ancora lo strumento legittimo per
accedere al potere delle istituzioni, ma hanno tradito la loro funzione
rappresentativa del popolo.
Insomma, il partito politico preserva con impegno la funzione di accesso
al potere, ma devia l’attenzione dagli interessi popolari. Quanto sopra
lascia capire che il controllo di un partito apra la strada al controllo
di molti poteri. Giacché i congressi dei partiti determinano il comando
dei partiti stessi, esistono mille trucchi e veleni per pilotarli.
Ricordate i livelli territoriali “disegnati” nello schema del primo
capitolo? Sezioni, cellule, coordinamenti, club o altro, ogni partito li
chiama a modo suo; noi, per semplicità e per non confonderci con
nessuno, li chiameremo “ripartizioni”. La gestione di un congresso è
un’attività perversa, controllata nei minimi particolari, che parte
proprio dalle ripartizioni territoriali. Come affermato, nessuna
democrazia può sopprimere l’istituto del voto, dunque, una democrazia
falsa vuole controllarlo; le occasioni di voto più importanti sono le
elezioni pubbliche e i congressi. Partiti e istituzioni vanno in
parallelo; ricordate? Ogni livello territoriale delle istituzioni
(Comune, Comune capoluogo, Provincia, Regione, Stato), ha una
corrispondente ripartizione territoriale di questo e quel partito. Nelle
ripartizioni, ogni partito fa riferimento a pochi signorotti che
potremmo anche chiamare “nani di periferia”. Nessun partito è così
partecipato da avere una ripartizione in ogni piccolo comune, dunque,
può accadere che un nano di periferia rappresenti il suo partito anche
in più paesi limitrofi. Detti signorotti sono il primo anello della
catena di quel popolo che tradisce il popolo. Sono piccoli prepotenti
locali attorniati da individui pronti a vendere la loro madre per
ricevere qualsiasi protezione o per diventare signorotti a loro volta;
essi rappresentato i livelli più bassi e squallidi della terza linea che
nello schema abbiamo chiamato “Sottobosco”. La descrizione della
“territorialità” dei partiti è solo iniziata.
Ti racconto la politica 9
(I dirigenti di partito)
Ti ripeto che la politica è nel piatto in cui mangi e nel letto in cui
dormi. Stabilisce i libri di testo della scuola che frequenta tuo
figlio, le carte della burocrazia, quanto costa la maglietta che
indossi, la benzina, l’energia e via discorrendo fino a modellare la tua
intera vita; spera che non t’interessi a lei ed è felice se fai
l’apolitico. Interviene nella tua cultura e nella tua mentalità,
plasmando in te una logica che non c’entra nulla con la logica. In
questa tirannide, hanno forte ruolo i dirigenti di partito: dai nani di
periferia del precedente capitolo, ai dirigenti nazionali che alienano
l’intero Paese.
Fissati come “ripartizioni” i livelli territoriali più piccoli, abbiamo
appreso che i partiti si fanno lì rappresentare dai signorotti che già
chiamiamo nani di periferia. La nostra democrazia è come composta da
alcune grandi piovre che muovono decine di migliaia di piccoli polpi,
formando una capillare rete di tentacoli. Analizzeremo i vizi che nei
decenni sono divenuti intrinseci di questa forma di organizzazione ma
completiamo prima, sia pure brevemente, la descrizione tecnica
dell’accennata suddivisione territoriale.
Sappiamo che l’intero territorio nazionale è suddiviso in un cinico
groviglio di istituzioni che vanno dalle più piccole locali, alle più
grandi nazionali; questa maniacale capillarizzazione è funzionale al
fine dei partiti politici di controllare tutto. In precedenza, abbiamo
letto che un regime politico, perfino criminale, che vuole farsi
chiamare democrazia, non può eliminare l’istituto del voto; i congressi
sono le occasioni di voto in cui i partiti “eleggono” i loro dirigenti.
Dato l’esiguo numero d’iscritti veri e “vivi” (leggi capitolo numero 5
“Il
tesseramento”), la partecipazione congressuale è numericamente una
farsa, anche se carica d’enfasi mediatica; va da sé che i dirigenti di
partito saranno “eletti” da una perfida regia congressuale che
descriveremo nei particolari.
Immaginiamo di osservare, come da un aereo, il groviglio delle maglie
territoriali di frazioni, circoscrizioni, comuni, comuni capoluogo,
province e regioni; la costosissima rete che vediamo, coincide con i
vari livelli d’ingerenza dei partiti e dei loro dirigenti. Nelle
ripartizioni territoriali maggiori, cioè dalle città capoluogo di
provincia in poi, i partiti si danno assetti che chiamano in molti modi
ma che noi esemplifichiamo con i termini di “segreterie politiche”,
“direzioni” e “comitati”. Insomma, esistono segreterie politiche,
direzioni e comitati per ogni livello territoriale maggiore, fino alla
dimensione nazionale: ora, la citata rete dei tentacoli è completa.
Infine, c’è un labirinto di istituzioni che si aggiunge alle
amministrazioni pubbliche territoriali; il compito di nominare i capi di
detto ulteriore groviglio di istituzioni, è dei partiti, ovvero dei loro
dirigenti. Parte da qui l’altissimo numero di parassiti pubblici che
sono essenziali al voto di scambio del quale parleremo. I dirigenti che
contano sono pochissimi... segnaleremo quali.
Ti racconto la politica 10
(Pietra miliare)
Siamo arrivati al decimo capitolo di questo corso, caro lettore e l’ho
intitolato “Pietra miliare”, come ad esprimere una sorta di pausa per
dirci delle cose un po’ come si fa tra amici.
Desidero dirti, per esempio, che in queste puntate non ho esposto delle
opinioni personali, ma delle realtà che ho vissuto direttamente.
Sono stato tra i dirigenti nazionali di un partito di governo e ho visto
con i miei occhi le cose che ti racconto.
Oltre gli alti ranghi, come ti ho già detto, la politica nostrana ha
creato un popolo tra il popolo, che tradisce il popolo ed è facile che
ogni quattro o cinque persone che incontri, tu t’imbatta in uno di quei
traditori.
Ciò accadrà inevitabilmente anche tra i lettori di questo corso, ma io
mi rivolgo a te che sei degno e che leggi senza livore, senza astio e
senza spocchia.
Invece, a eventuali lettori che sono negli alti ranghi della politica o
fra i “nani di periferia”, io confermo che descrivo cose vere e se
qualcuno di essi fosse infastidito dai fatti che racconto ai cittadini
degni, allora lo esorto a proporsi in contraddittorio, anche se so che
la mia esortazione non verrà raccolta perché quei lettori sono i primi a
sapere che si tratta di fatti veri che si reiterano negli anni.
Hai letto di ingerenze che la politica adotta per “incanalare”
quotidianamente la vita dei cittadini, ma potresti non aver pensato che
quella sorta d’invadenza della dimensione materiale, influenza anche la
dimensione psicologica, relazionale e sensibile della vita.
È
un po’ come se ti si volesse calare in una routine che confonde i
tuoi punti di riferimento e la tua propensione a pensare.
Sì è fatto in modo che tu consumi grande parte della giornata dedicando
sempre più energia al lavoro per trarne sempre meno soddisfazioni; poi,
quando è il momento del meritato riposo, ecco che la tua mente è invasa
da un oceano di preoccupazioni come la rata del mutuo, l’affitto, la
pensione, la bolletta, le tasse, un triste senso di generale ingiustizia
e questo e quel balzello che si avviluppano nella voluta e progettata
scomparsa di ogni tua serenità.
In questo modo, è stata intimidita anche la tua personalità e tu sei
preoccupato, nervoso e suggestionabile.
La tua capacità di progettare se ne va lentamente in fumo e la politica
sa che con essa, se ne va in fumo anche la tua possibilità di
contrastarla o combatterla con azioni di rivalsa popolare efficaci … lei
non ha paura del tuo chiasso ma della tua capacità di organizzarti senza
superficialità, dunque, ha fatto di tutto per inibirla.
La politica è la più complessa delle scienze e la democrazia, la nostra
democrazia, punta a toglierti il cervello e l’anima.
Ti racconto la politica 11
(Iniziano i giochetti)
E’ normale, quando si desidera l’amore di una persona, fare di tutto
perché quella persona possa giudicarci positivamente, stimarci e provare
affetto per noi; è invece perverso circuirne la vita e operare una sorta
di sequestro psicologico, culturale ed esistenziale per costringere o
corrompere la sua attenzione.
La concezione democratica dovrebbe portare i politici a cercare la stima
del popolo per meritarne il consenso, invece, la nostra democrazia
preferisce assicurarsi un stima estorta, comprata e sequestrata
attraverso il plagio, la corruzione, la vessazione, il voto di scambio e
anche la paura.
Insomma, la democrazia dovrebbe interpretare e rispettare l’espressione
popolare ma la democrazia italiana fa tutt’altro.
Per iniziare finalmente a descrivere i “giochetti” con i quali la
politica nostrana tradisce la fiducia del popolo, abbiamo dovuto
spendere i primi 10 capitoli di questo corso.
Ci scusiamo per il tempo impiegato, ma, anche nel caso di lettori
particolarmente intuitivi, sappiamo che la conoscenza vuole maturazione
e che l’immediatezza non porta a capire molto.
In tema di politica, troppa gente confonde la suggestione con la
conoscenza e parla senza sapere; se non ci fossimo intrattenuti almeno
sui dieci capitoli precedenti, non avremmo la base necessaria, anche se
minima, per capire come possano funzionare gli sporchi giochetti che
stiamo per descrivere.
Come impegnati a redigere una sorta di manuale d’uso, nei primi dieci
capitoli abbiamo tracciato le configurazioni che i partiti politici
adottano per esercitare la loro prepotenza istituzionale in base agli
assetti gerarchici e territoriali.
È il caso di prendere atto che c’è una sostanziale differenza tra
politica e partitica e senza tirare in ballo chissà quali definizioni, è
opportuno difendere la politica ricordando che i partiti sono strutture
che la manipolano a loro piacimento, rinnegando spesso ogni etica.
Per rimanere comunque “in sella”, anche indipendentemente dal consenso
popolare, i partiti politici attuano ogni nefandezza, dando così origine
ai giochetti che ci accingiamo a descrivere fino nei particolari.
Il fine, ambiguamente mascherato anche dal solito linguaggio che
accontenta i bigottismi e le fissazioni popolari, è quello di mantenere
il controllo totale della società civile, delle istituzioni e del
territorio.
Insomma, i giochetti ai quali ci riferiamo, altro non sono che il
raggiro dei partiti per mantenere i privilegi di un potere deviato.
A questo punto, siamo pronti per capire la commedia dei congressi che,
come affermato nel quarto capitolo, sono "la quinta più imponente di cui
i partiti dispongono".
Nelle piccole realtà territoriali che abbiamo chiamato ripartizioni, si
parla di assemblee, poi, salendo in dimensione, i congressi si
suddividono in cittadini, provinciali, regionali e nazionali; in genere,
il voto è procapite fino alla dimensione provinciale, mentre è espresso
dai delegati, nei livelli regionali e nazionali.
Collochiamo adesso la nostra telecamera virtuale e prepariamoci a
riprendere la farsa di un congresso tipo.
Ti racconto la politica 12
(I delegati)
Studia, leggi e medita; non nutrirti di illazioni! Emotività,
suggestione, pregiudizio e veemenza non aiutano l’intelligenza.
la conoscenza è un sacrificio utile e non esiste strada veloce o
gratuita che trasformi l’ignoranza in competenza.
Per darti un piccolo esempio, anticipo che nelle righe che seguono, si
descrive cosa sia un delegato; in linea di massima, forse lo sai già, ma
è improbabile che tu conosca i trucchi e le manfrine “congressuali”
consumate dai partiti intorno a esso … ecco, leggi e saprai!
Conoscerai la figura del delegato e il ruolo “strategico” che ricopre.
Molto semplicemente, il delegato è una persona alla quale è conferito
incarico di rappresentanza, nella fattispecie dei congressi, vota per
altri.
Nei partiti politici, i delegati non sono semplici iscritti che portano
il proprio voto e quello di un altro, ma sono dei super delegati che
possono portare deleghe per centinaia se non migliaia di voti.
Va da sé che, in ordine ai “giochetti” accennati nel precedente
capitolo 11, la faccenda dei delegati sia intricata.
Il congresso di un partito è un’assemblea che elegge i dirigenti del
partito stesso.
Come detto nelle precedenti puntate, i congressi si svolgono a tutti i
livelli territoriali. In genere, fino al livello provinciale compreso,
il voto avviene procapite (ogni iscritto vota per sé), invece, nei
livelli regionali e nazionali, il voto è per delega, votano cioè i
delegati che sono stati in precedenza eletti nei congressi
territorialmente inferiori.
In sintesi, i congressi territoriali minori eleggono i propri dirigenti
locali di partito e anche i delegati al futuro congresso regionale che,
a sua volta, eleggerà quelli nazionali.
Un delegato che si reca al congresso col suo carico di voti, è
“prezioso”; capita pertanto che sparisca, che sia comprato, che abbia
degli incidenti o, si badi bene, che metta in difficoltà un congresso
intero.
Quanto precede, lascia immaginare come sia facile che nei congressi si
concepisca il feto di quell’immoralità che uccide la dimensione etica
del voto.
Lì, si gioca più potere che nelle elezioni pubbliche e si consumano
abusi, inganni, ricatti, falsità, colpi di mano e reati che vengono
incredibilmente avallati da un ipnotico linguaggio che richiama ai
valori e al bene della società … ce ne occuperemo a fondo.
Nel
capitolo 5, abbiamo visto che il totale dei tesserati ai vari
partiti, è più o meno il 2% degli italiani e che metà delle tessere è
falsa.
I conti sono facili: il 2% diviso due, vuol dire che l'insieme degli
iscritti veri a tutti i partiti è ottimisticamente l’uno per cento degli
italiani.
Approfondiremo nei futuri capitoli, ma ciò significa che perfino meno
dell'uno per cento degli italiani, ha ragione sul rimanente 99%; una
notizia scandalosa che nessuno racconta.
Ciao a tutti e alla prossima!
Ti racconto la politica 13
(Il motore e i suoi pezzi)
Chiami l’idraulico se perde il lavandino? Ti rivolgi al meccanico se non
va l’auto, oppure al medico se stai poco bene? Certo, sì fa così; spero
però che tu non sia tra coloro che quando si parla di politica, sanno
sempre tutto come quelli che parlano di calcio al bar.
Pochi termini implicano, come quello di democrazia, il senso della
partecipazione popolare, dunque, è difficile concepire un regime
democratico nel quale il popolo non sappia come agire per farsi
rispettare … eppure ciò accade.
Accade nei regimi che sono democratici solo nel nome ma oligarchici se
non peggio, nei fatti e accade quando la preparazione politica popolare
è tanto bassa da rendere il popolo incapace d’immaginare e pianificare
azioni di rivalsa efficaci.
In questo corso, accusiamo la falsità della nostra democrazia, ma anche
la scarsa perspicacia politica della nostra gente.
Circa l’assetto e il discutibile “stile” dell’ordinamento italiano che
si etichetta come democratico, stiamo dedicando questi primi capitoli
alla descrizione dei pezzi e del funzionamento di quel particolare
motore che si chiama potere politico; un popolo che conosce in modo
insufficiente i pezzi e il funzionamento di quel motore, non può essere
in grado di fare diagnosi sul suo scarso rendimento né di “ripararlo”.
È
necessario che ci dedichiamo ancora un po’ alla conoscenza di qualche
altro particolare dell’ipotetico motore, ma non manca molto per poterlo
finalmente “accendere” e capire come funziona.
È
stato importante disegnare lo schema delle tre linee verticali del
capitolo 1.
È
stato importante schematizzare poi i livelli di parallelismo gerarchico
e territoriale tra partiti e istituzioni.
È
stato importante accennare agli “uomini di parrocchia” , ai “nani di
periferia”, al tesseramento e le sue falsità, ai “postifici” e i suoi
derivati, ai dirigenti di partito e ai delegati.
Prossimamente, parleremo di correnti di partito, “pacchettari”, “mercato
delle vacche” e poco altro. Non manca molto all’assemblaggio dei vari
pezzi per una prima messa in moto del nostro motore; insomma, tra
pochissimi capitoli, assisteremo all’attesa apertura del congresso tipo
che sarà ripreso in diretta dalla nostra telecamera virtuale.
Attendiamo da alcune puntate di essere spettatori di questo particolare
talk show, ma non sarebbe stato facile capire lo scorrere delle sue
immagini se non avessimo prima avuto qualche informazione su determinati
fotogrammi.
È
probabile che questi ultimi concetti contengano un’intrinseca risposta
al perché gli attuali gruppi e movimenti popolari a tema politico,
spesso emotivamente ed egocentricamente concepiti, non sappiano creare
alcuna novità oltre il rinnovo della loro suggestione.
Il prossimo capitolo aggiungerà delle informazioni al meccanismo del
tesseramento e fornirà qualche anticipo circa la messinscena mediatica
dei congressi che, invero, si fanno prima a tavolino; i congressi di
partito sono una grande e programmata farsa!
Ti racconto la politica 14
(Tessere, territorio e coercizione)
La vita brulica di “segnali" che si susseguono con ritmo incalzante;
coglierli e capirli, è essenziale. Diversamente, si rimanere al buio
come a non sapere aprire gli occhi; i segnali parlano anche più delle
parole.
Questo corso è nato con lo scopo di dare informazioni sull’intrigato
argomento della politica; è corretto che inviti alla riflessione ed è
intrinseco che lanci dei segnali.
Il linguaggio non è fatto solo di parole ma comprende tante altre cose e
tutte, proprio tutte, si manifestano tra numerose sfumature; l’invito a
coglierle, è senza dubbio un invito onesto.
È
più facile, comodo e immediato assecondare le suggestioni dell’apparenza
… ma ciò rinchiude l’intelligenza in un recinto.
Le abitudini, gli apparati, i vizi, i meccanismi e i “veleni” della
politica fin qui descritti, non esistono per caso e constano di una loro
esteriorità, come di una sorta di dimensione occulta.
Ci siamo occupati del tema del tesseramento nei
capitoli 5 e
6, ma ora che sappiamo qualcosa in più sugli assetti locali dei
partiti, è opportuno aggiungere alcuni dati circa il rapporto tra
iscritti e territorio.
A
metà anni Cinquanta, in un’Italia che non raggiungeva i 50 milioni di
abitanti, i cittadini iscritti a tutti i partiti erano quasi 4,3
milioni; oggi, con circa 62 milioni di abitanti, gli iscritti sono ben
meno di 2 milioni.
Arrotondando per facilità di conti, sia pure per difetto e ponendo come
riferimento una provincia di un milione di abitanti, si può considerare
che in quell’area la somma dei tesserati a tutti i partiti, raggiunga un
totale di 20.000 unità, compresa la metà finta (elenco telefonico,
lapidi cimitero, eccetera).
È
difficile crederlo, ma l'elenco reale degli iscritti non ce l'ha neppure
la Polizia di Stato e può perfino accadere che voi stessi siate iscritti
a un partito, come si usa dire, a vostra insaputa.
A
parte le tessere false di cui ci occuperemo per dire a cosa servono,
nella provincia in questione rimangono circa 10.000 iscritti reali che,
considerando nel nostro esempio una decina di partiti, formano una media
di 1000 iscritti (vivi) l’uno.
Le tessere sono più o meno proporzionali alle percentuali elettorali,
dunque, nella nostra provincia in esempio, avremo il partito maggiore
con circa 3.500 tessere vere più altrettante false, il secondo con circa
2.500 vere più altrettante false e così via fino al più piccolo che
conterà due o trecento tessere tra vere e false.
Per certi aspetti, sappiamo già che il potere che si gioca nei congressi
supera quello delle elezioni pubbliche. Inoltre, scopriremo come le
esigue quantità di tessere descritte, tracciano la politica di tutta la
nazione. Nel tavolo che preordina ogni congresso, i pacchetti di tessere
vere e false, sono volgari strumenti di coercizione … poi, la
messinscena mostrerà “democraticamente” al pubblico, ciò che vuole.
Ti racconto la politica 15
(Le correnti)
La suggestione espone al plagio e certa politica ne approfitta per
“imprigionare” più cittadini che può, lasciandoli convinti d'essere
liberi.
La politica ha gli strumenti per modellare, gestire e controllare anche
l’angolo più remoto della nostra vita; proprio così, anche il più
remoto.
Non va confuso col cosiddetto “politichese”, ma esiste un linguaggio
della politica che si rivolge all’ingenuità della suggestione popolare.
Esso adotta il migliore “vocabolario dell’ipocrisia”, insieme a una
sorta di ipnosi con cui riesce a presentare certa indegnità, come
valore umano e bene della società.
Il termine “correnti” richiama anche al movimento dell’acqua.
La metafora si adatta alla realtà dei partiti; infatti, dal più piccolo
al più grande di essi, le cosiddette correnti d’opinione e di pensiero
si muovono sempre e non mancano mai.
“Correnti d’opinione e di pensiero”, è proprio così che le chiama
l’accennato vocabolario dell’ipocrisia, mentre le descrive come la
ricchezza democratica della molteplicità dei punti di vista intorno a un
tema.
Si tratta invece della suddivisione in maniacali aggregazioni di potere
che si muovono, alla stregua di piccoli fiumi dentro i fiumi, nei grandi
agglomerati del potere stesso.
Ogni dirigente periferico di partito, si “riconosce” in una corrente che
fa riferimento a un dirigente nazionale e ne fa parte con la sua squadra
locale di “uomini di parrocchia”, “nani di periferia”, “delegati”, “pacchettari”,
“gestori del voto di scambio” e altri “personaggi” dei quali abbiamo già
parlato e parleremo ancora.
È in questo modo che dirigenti e squadre locali aggregano le loro acque
ai fiumi, grandi e piccoli, delle correnti nazionali.
Il capetto locale avrà così la protezione di un capo nazionale che
godrà, a sua volta, di più appoggi locali, compresa la scelta dei
delegati “eletti” che si porteranno al congresso nazionale dai congressi
periferici; il sistema organizzativo è efficace, ma il fine è di
salvaguardare e sfruttare individualmente i più iniqui privilegi del
potere.
L’ostentata gestione unitaria dei partiti, l’uno per l’altro, è una
bufala che accompagna da decenni la storia della Repubblica italiana.
I partiti politici hanno venduto l'anima e si differenziano tra loro per
poco o nulla. Adoperano l’accennato vocabolario dell’ipocrisia, per dare
sembianza di dottrina culturale, sociale e talvolta ideologica, alla
fogna che sono diventati e per raccogliere i consensi dei cittadini che
s'illudono ancora di votarli per presunte affinità di vedute e di
pensiero.
Le descritte correnti non arricchiscono di dialettica democratica i
partiti, ma arricchiscono sé stesse dei privilegi di un potere ignobile.
Con le correnti, abbiamo descritto un ulteriore elemento di coercizione
della vita di partito e dei i congressi che, come sappiamo, ricorrono
poi al toccasana della messinscena.
Chi s’iscrive in un partito per portare il proprio onesto contributo,
cadrà facilmente nella pancia della corrente che lo ingoierà per primo.
I partiti sono solo degli strumenti; il crimine sta nell’uso che se ne
fa.
Ti
racconto la politica 16
(Realtà e linguaggio)
La superficialità uccide e
se nel destino del mondo non c’è scritto che sarà possibile vivere anche
senza la conoscenza, allora l’essere umano va a uccidersi senza capire
che va a uccidersi.
La faciloneria popolare
avalla la politica peggiore e ciò potrebbe spiegare perché viviamo i
tempi che viviamo.
La
conoscenza delle cose è cultura e la cultura è il seme della vita più
lento a crescere. A Dio piacendo, c’incontreremo in questo corso per un
centinaio di appuntamenti a cadenza settimanale; dunque, abbiamo tempo.
Nel
precedente
capitolo 15,
abbiamo accennato all’utilizzo che la politica fa di certi “vocabolari”
e alla vita che è piena di codici e segnali.
A
questo punto, può essere utile dedicare una breve riflessione all’uso
del linguaggio.
In
sintesi, il
linguaggio, quello delle parole, è una comunicazione che va dal cervello
alla lingua, la prima fase avviene dentro di noi ed è detta enunciato,
la seconda, quella che esterniamo, è detta enunciazione; il passaggio
tra le due fasi, si chiama débrayage (cambio).
Più
si parla per immediata emotività, magari nell’illusione d’essere
concreti e meno tempo si dà al cervello per riflettere e capire.
Ferdinand De Saussure, padre riconosciuto della linguistica moderna,
afferma in modo incontrovertibile che il linguaggio sia una convenzione
e che, pertanto, nessuna singola parola debba prestarsi a
un’interpretazione soggettiva.
Del
resto, a spingere verso l’interpretazione soggettiva, anche quando fa
incappare in facili “tagliole”, provvedono per loro natura le locuzioni,
ovvero gli insiemi di parole.
È
assai raro che si sia testimoni diretti dei fatti dei quali si viene a
conoscenza, dunque, la realtà è prima di tutto una rappresentazione.
Insomma, se un albero cade nella foresta, nessuno lo sa, ma appena la
telecamera lo riprende e il giornalista ne parla, allora il mondo viene
a sapere che l’albero è caduto.
Da
questi pochi concetti, possiamo capire cosa sia l’informazione e quale
carico di responsabilità porti con sé, tuttavia, se è fondamentale che
il racconto rispetti alcune regole, è anche fondamentale che il lettore
ricordi di possedere un’intelligenza che può permettergli di capire
perfino ciò che, talvolta e non per caso, capita che sia scritto “tra le
righe”.
In
entrambi i casi, cioè quando si racconta e quando si legge, è necessaria
una forte libertà dalle fissazioni, dai luoghi comuni e dalla
propensione alla suggestione; questo non è un invito a rinnegare la
parte sensibile o artistica di ciascuno, ma un allarme per non abusare
della suggestione fino a inibire la ragione.
L’emotività amputa l’intelligenza popolare e ciò porta affluenza di
imbonitori alla politica.
Chi
possiede la ricchezza della voglia d’imparare, sa carpire la differenza
che in politica come nella vita, corre tra una strategia efficace e un
progetto effimero … la libertà e la democrazia non sono per caso.
Ti
racconto la politica 17
(Una democrazia offesa)
Un Popolo ha il dovere di spegnere l’ordinamento politico che vuole
spegnerlo.
L’Italia è alla
mercé di
non pochi parassiti “eletti” che intendono la politica come la
sistemazione della loro esistenza a spese del popolo.
La
maggiore preoccupazione di tali individui, sembra quella di accalcare
leggi, decreti e regole per tutelare sé stessi in modo ingordo e
praticamente totale.
Che dire
inoltre delle cosiddette prebende di cui nessuno, fuori del “palazzo”,
conosce il numero esatto ma che offrono gratuitamente ai citati
parassiti, un’infinità di cose che tutti gli altri invece pagano?
Le
iniquità accennate, costituiscono solo una parte dell’oceano delle
nostre storture istituzionali, ma sono sufficienti a oltraggiare ogni
concetto di democrazia.
Non si
tratta di devianze improvvisate, ma di un’anziana perversità che si è
lentamente radicata in troppa parte della dirigenza politica del nostro
Paese.
Opporsi a
tali scelleratezze, è cosa complessa che non può essere affidata al
chiasso, all’improvvisazione o all’incompetenza. Fornendo ragguagli sui
meccanismi che “assistono” il proliferare degli accennati vizi, il
presente corso spera di privilegiare le strategie politiche popolari
mosse dalla conoscenza e non dalla suggestione.
I dati
riportati nel
capitolo
14,
relativi alla provincia campione di un milione di abitanti, potrebbero
sottendere una lieve generosità circa la quantità d’iscritti attribuiti
ai partiti politici; in questo modo, non è stato offerto il fianco
all’eventuale accusa di avere operato delle approssimazioni per difetto.
E’ invece importante che si sia descritto come si origina e struttura
quell’1% di popolo che decide ogni cosa in luogo del rimanente 99% e
poco sarebbe cambiato se, perfino più verosimilmente, avessimo parlato
dello 0,9% che decide in luogo del rimanente 99,1%; in ogni caso, la
nostra democrazia è volgarmente stuprata e offesa.
Gli abusi
descritti, trovano adepti nelle vigenti strutture di partito e queste,
sebbene diverse per dimensione e presunta concezione organizzativa della
società, non si differenziano per quanto riguarda la facilità con cui
permettono di oltraggiare il vivere comune.
I partiti
politici, occorre ricordarlo, sono lo strumento costituzionale per
portare le istanze popolari nelle istituzioni. Il popolo è però riuscito
a non contare nulla e a non rimanere “proprietario” di nessuna struttura
di partito; ciò, come spesso ripetiamo, è grave perché il potere
politico deviato non teme un popolo chiassoso, ma un popolo che sa
organizzarsi.
In tale
realtà, si sono formate istituzioni che invece di porsi al servizio dei
cittadini, costringono i cittadini a servirle.
L’ordinamento politico di cui in apertura,
ha voluto un popolo politicamente impreparato ed è riuscito a
costruirlo.
La
soluzione non può essere l’incompetente impetuosità di improbabili
rivoluzionari, ma un popolo che, ritrovata la fiducia nella preparazione
e nel senso di squadra, sappia organizzarsi in una struttura di cui non
smarrirà le finalità né il possesso.
Post
scriptum - Nel prossimo capitolo, parleremo dei cosiddetti “pacchettari”.
Ti
racconto la politica 18
(I pacchettari)
Qual
è l'intelligenza di un popolo che continua a ripetere che uniti si
vince, mentre perde miseramente perché non fa altro che dividersi in
mille rivoli?
Esisterà chi lo batte nell’incapacità d’impedire che la gestione della
cosa politica finisca anche nelle mani d’impostori che intendono
l’evoluzione culturale della gente come un elemento che destabilizza i
loro privilegi?
Decine di milioni di persone sono un grande popolo, poche migliaia di
politici malandrini di vario livello, sono comunque un piccolo potere;
gli italiani sono un grande popolo che non capisce ancora come opporsi a
un piccolo potere.
È sotto
gli occhi di tutti che l’apparato politico che ci amministra, vada
perdendo per strada dei pezzi di consenso popolare; la situazione è però
tale da permettere al medesimo apparato di utilizzare fiumi di denaro
pubblico per comprare suffragi attraverso la costosa struttura del voto
di scambio.
Ciò non
ti piace? Non sai difenderti; è così.
Nella
complessa filiera dei meccanismi che portano al controllo della
democrazia e perfino del voto pubblico, i cosiddetti “pacchettari” sono
un elemento d’indegna ma determinante importanza. Nel gergo, il termine
pacchettaro può sembrare banale, tuttavia si tratta di uno degli
elementi che inquinano la democrazia.
Per
capire cosa sia un pacchettaro, è opportuna una veloce ripassata dei
capitoli 5 e
6, nei quali abbiamo trattato il tema del tesseramento e dei
capitoli 8
e
14, nei quali abbiamo accennato al rapporto tra partiti politici,
tessere e territorio.
Ribadiamo
l’importanza d’intuire bene cosa siano e a cosa servano i congressi dei
partiti; diversamente, piaccia o no, non sarà dato di capire come sia
possibile pilotare la democrazia.
Come
sappiamo, i congressi “eleggono” i dirigenti dei partiti; quando arriva
la data di un congresso, è già operante da qualche settimana una sorta
di “tavolo” intorno al quale si siedono coloro che preordinano ciò che
il congresso fingerà poi di votare democraticamente.
Non
esiste statuto di partito che contempli la figura del pacchettaro, ma il
pacchettaro esiste a destra, a sinistra, in alto, in basso e in centro;
è ignobile, ma è ovunque.
Ricopre
spesso il ruolo di delegato a questo o quel congresso e dà il suo
pacchetto di tessere, in dotazione al “capocorrente” al quale fa
riferimento.
Ogni
capocorrente può disporre di più pacchettari e siede, con altri attori
dei quali parleremo, intorno al tavolo che preordina i congressi.
Fatti
salvi gli iscritti spontanei che pur sempre esistono, il pacchettaro
fornisce al capocorrente di riferimento, le tessere degli iscritti a
“loro insaputa” che trae dagli elenchi telefonici e simili, le tessere
degli iscritti già passati a miglior vita che trae dalle lapidi del
cimitero e le tessere degli intruppati col voto di scambio.
Nel
tavolo che preordina i congressi, i pacchetti di tessere hanno peso.
Al
pacchettaro servono soldi e potere ma, un po' per volta, scopriremo
tutto.
Ti
racconto la politica 19
(Vedi tu!)
Il precedente
n.18 “I pacchettari”, non è
esaurito; lo riprenderemo alla prossima puntata.
Nel preparare questo primo capitolo del 2016, vengono spontanee alcune
riflessioni.
Esprimo riconoscenza per il grande numero di visualizzazioni, “Mi
piace”, “Share” e divulgazioni in genere, che ricevono le puntate di
questo corso.
Giacché si alternano capitoli d’analisi a capitoli prettamente tecnici,
può accadere che l’analisi predisponga a una lettura più spontanea,
però anche la descrizione tecnica dei particolari di meccanismi
sconosciuti, aiuta a capire il funzionamento dell’insieme.
La conoscenza vuole sacrificio ma, vivere senza, espone al calvario
della superficialità.
Non è detto, caro lettore, che le parole che seguono ti riguardino
direttamente; deciderai da solo se avranno a che fare con te o no.
Sono parole che, in tema di politica, riguardano una grossa parte del
popolo che vive fuori del palazzo del potere e può statisticamente
accadere che nella citata “grossa parte” ci sia anche tu; in tal caso,
potresti avere qualche colpa.
La gente italiana è trattata male. È umiliata, sfruttata, vessata e
offesa da truffatori talvolta protetti dalle stesse strutture dello
Stato, quando non ne fanno addirittura parte.
So che su questo punto siamo d’accordo, ma ora cerchiamo di capire se
anche tu, quale normale cittadino, non abbia un po’ di colpa.
Potremmo percorrere un’analisi storica, ma qualora fossi tra coloro che
non amano leggere né ascoltare, scelgo di rimanere nel contemporaneo per
non stizzire la tua noia.
Dicevamo che sono le stesse strutture pubbliche a maltrattare la gente
italiana; talvolta direttamente e talvolta avallando comportamenti
truffaldini di forti organizzazioni di vario tipo, come per esempio
quelle di gestione di servizi, assistenziali, commerciali, finanziarie e
molte altre.
Sono insomma tanti i frequentatori del famigerato palazzo che portano la
macchia di maltrattatori del popolo, però allo stesso popolo si può
porre una domanda.
Cosa sai fare, caro popolo, per opporti alla criminale vessazione che ti
opprime?
E giacché, caro lettore, il quesito riguarda ogni normale cittadino che
non frequenti quel palazzo, chiedo la stessa cosa anche a te.
No, per cortesia, non cominciamo con le solite idee sconclusionate dei
visionari e con l’inutile chiasso con cui le circondano!
La superficialità politica popolare ci sta
ammazzando e se nel futuro non c’è scritto che potremo vivere anche
senza la competenza, allora ci stiamo uccidendo senza capire che ci
stiamo uccidendo.
"Can che abbaia non morde", dice l'adagio e non capendo neppure questo,
molti credono di combattere le vessazioni politiche, abbaiando alla
luna.
Come ipnotizzato dalle sceneggiate, il popolo ha permesso all'emotività
di battere la ragione e soddisfatto dalla coreografia politica del
nulla, si comporta come un medico che affronta Ebola con la Tachipirina.
Confondendo lo sfogo con la strategia,
il
nostro dissenso popolare ha saputo rendersi ridicolo. Non sarebbe il
caso di capirlo e invertite marcia?
Naturalmente, BUON ANNO!
Ti
racconto la politica 20
(Ancora sui pacchettari)
Certi
italiani usano
la competenza politica come la marmellata, meno ne hanno e più la
spandono.
Un
semplice concetto esistenziale per qualsiasi potere politico che voglia
mantenersi al “comando”, indipendentemente dal desiderio o dalla
capacità di meritare il consenso popolare, recita che più un popolo
brancola in una vita difficile e priva di certezze e più è facilmente
corrompibile.
Non è un caso se l’Italia
è ridotta com’è ridotta; tale realtà calza col concetto di cui è cenno
sopra, relativo a un apparato che vuole rimanere nei ranghi del potere,
a prescindere dal
consenso popolare che, tra l’altro, anche se in parte, sa come pilotare.
All’emotivo popolo italiano basta fornire delle suggestioni per poi fare
in tranquillità, cose diverse da quelle dichiarate.
In tale
andazzo, la funzione del “pacchettaro”,
la
cui descrizione comprende anche il
capitolo 18 del presente corso, è ovvia.
Il pacchettaro non occupa
mai cariche alte e statutariamente non esiste.
Dal punto di vista
territoriale, l’esistenza di pacchettari regionali o nazionali non ha
senso, è invece “utile” la schiera dei pacchettari comunali e
provinciali.
Come già affermato, il
pacchettaro ha dei punti di riferimento che sono i “capicorrente” che, a
loro volta, sono dirigenti di partito importanti.
Il rapporto tra
capocorrente e pacchettaro, può essere sintetizzato in una sorta di
discorso diretto come quello che segue.
Dice, rigorosamente a quattr’occhi, il capocorrente: “Come va?”
“Non posso lamentarmi - risponde il pacchettaro.”
“Mi fa piacere - riprende il capocorrente. Il tesseramento è aperto e
abbiamo tre mesi per chiuderlo; tu confermi i soliti iscritti?”
“Certo! Veri, falsi, vivi e morti.”
“Nella nostra provincia - dice il capocorrente - siamo i soliti. Io, il
segretario provinciale, l’onorevole Pinco Palla, l’amico del nostro
ministro e il Sindaco. I tesserati sono 3200; metà veri e metà finti
come al solito, ma Pinco Palla ne ha quasi 1300 e si prende sempre il
40% degli eletti dal congresso. Riusciamo a portare le nostre tessere da
640 a 800? Sai, se passiamo dal 20 al 25 per cento, riusciamo a piazzare
quel nuovo amico.”
“Ok - dice il pacchettaro - per un centinaio d’iscritti veri, chiederò
aiuto al nuovo amico e per il resto, ahahah, farò un giretto al cimitero
e tra i campanelli di qualche condominio. La tessera costa quindici
Euro, ma c’è sempre qualcuno che la paga.”
“Non preoccuparti - riprende il capocorrente - io ti do in contanti i
dodicimila Euro delle 800 tessere, più la mancia … poi, ti metti in
tasca gli altri soldi che riesci a prendere.”
“D’accordo, faccio le fotocopie del modulo d’iscrizione, mi metto in
moto e alla fine porto tutto all’ufficio amministrativo del partito.”
“Non lavorare troppo di fino - conclude il capocorrente - presi i soldi
delle tessere, l’ufficio amministrativo non guarda nient’altro”.
Che dire? Questa puntata
si chiude qui.
Ti
racconto la politica 21
(Il mercato delle tessere)
La
politica dei partiti è un gigantesco “mercato delle vacche” ma, nel
gergo, tale definizione si riferisce a trattative che avvengono per lo
più intorno al tavolo del preordino dei congressi, del quale abbiamo
accennato qualche volta.
E’ bene,
dunque, non confondere il mercato delle tessere che è l’oggetto del
presente capitolo, col cosiddetto mercato delle vacche che sarà il
titolo di un capitolo abbastanza prossimo.
L’istituto della tessera dà parvenza democratica alla messinscena dei
congressi, ma è in realtà un oggetto di corruzione che stabilisce il
rapporto di forza tra le correnti o anime che esistono dentro ogni
partito.
Il popolo
fa fatica a capirlo, ma i congressi danno genesi a infiniti poteri;
dedicheremo più capitoli a svelarne i “veleni”, ma ricordiamo che essi
hanno la potente funzione di “eleggere” i dirigenti di partito.
Per
esempio, il segretario nazionale del partito di maggiore minoranza è
“eletto” dal congresso ma è anche colui che riceve il mandato di
formazione del governo e che, salvo particolari “iatture”, diventa
Presidente del Consiglio.
Questo
semplice esempio spiega come da un congresso si diramino mille poteri.
Non si
confonda il gioco di potere dei congressi, con la favola della regola
democratica; magari, si ridia un’occhiata allo “schema” disegnato e
descritto nei primi due capitoli del presente corso.
Nella
provincia esempio di un milione di abitanti (capitolo
14),
abbiamo visto che un partito di ragguardevoli dimensioni, può contare
mediamente 3.500 iscritti veri, più altrettanti finti, per un totale di
7.000. Il costo della tessera è stabilito da ogni partito e va da pochi
Euro a qualche decina.
Poniamo
un partito che fissi l’iscrizione in 20 Euro annui; in questo caso,
nella provincia esempio, avremo un tesseramento del valore di 140.000
Euro (20 Euro per 7.000).
Nel
capitolo 5,
abbiamo
letto di elenchi telefonici e lapidi del cimitero; potremmo aggiungere
la pulsantiera di qualche condominio e cose simili ma il senso di ciò
che intendiamo, è chiaro.
È ovvio
che morti e “iscritti a loro insaputa” non paghino la tessera, tuttavia
i correlati 70.000 Euro, più o meno la metà del totale, entrano
ugualmente nelle casse del partito.
L’altra
metà è relativa alle tessere vere, ma ciò non vuol dire siano tutte
pagate dai rispettivi titolari … la tessera omaggio facilita la
mediazione. Chi s’iscrive e paga c'è, ma non è certo grande cosa.
Dai
parenti, agli amici, ai conoscenti ai quali chiedono il piccolo favore
dell’iscrizione, di cui “terranno conto”, i signorotti del
capitolo 8
sono
anche dei "vicepacchettari" che si recano ogni anno col loro carico di
trenta o quaranta tessere a testa, dalla periferia verso i pacchettari
provinciali veri. La soddisfazione economica delle poche decine di
tessere dei vicepacchettari, non è granché, ma un po’ d’attenzione da
parte del potere politico periferico locale, fa da incentivo …
Viva
l’Italia!
Ti
racconto la politica 22
(Parlamentari pacchettari)
S’intenda
o no, il partito politico è lo strumento costituzionale per
rappresentare l’istanza popolare nelle istituzioni dette democratiche. I
dirigenti di partito dispongono dei partiti e capita che li adoperino
per rappresentare l’istanza popolare un po’ come ne hanno voglia;
questa, senza impegnare la fantasia nei soliti “voli interplanetari”, è
una realtà semplice da capire.
I
dirigenti di partito sono eletti dai congressi e i congressi sono
momenti di voto, percentualmente infinitesimali, a volte perfino più
determinanti delle elezioni pubbliche; c’è però un popolo che non lo sa
e che si sente forte, perché si descrive come “apolitico”.
Dai
piccoli centri di periferia che abbiamo già chiamato ripartizioni, per
non usare un termine preso in prestito da questo o quel partito, i
signorotti del precedente
capitolo
21,
s'incamminano verso i pacchettari provinciali di riferimento.
S’incontrano, si chiudono in una stanza, tirano fuori le domande
d'iscrizione compilate in qualche modo, fanno i conti e … tanti
iscritti, tanti soldi.
Fatti
“sparire” gli appunti, il pacchettaro consegna il corrispettivo in
denaro al signorotto di periferia che abbiamo iniziato a conoscere nel
capitolo
8.
Pochi
minuti e la faccenda è liquidata nella discrezione tipica dei discorsi a
quattr’occhi.
È raro
che detti incontri avvengano nelle sedi dei partiti ma, chi in un posto
e chi in un altro, tutti i signorotti di periferia incontrano, sempre a
quattr’occhi, i loro pacchettari di riferimento; si tratta di un piccolo
viavai che si concluderà entro la data di chiusura del tesseramento.
Come già
sappiamo, non esiste un solo statuto di partito che contempli i
pacchettari; del resto, fatta salva la forma, gli statuti “allettano” un
po’ come vogliono.
Poche
cose sono incorporee come gli elenchi degli iscritti ai partiti e non è
raro che, pur essendo iscritti, non si riceva fisicamente la tessera;
descriveremo gli arzigogoli del cosiddetto banco della “verifica
poteri”, quando controllerà i diritti congressuali di ciascuno.
È
incredibile quanto si giochi a non dare notizie appellandosi nei modi
più cavillosi, alla “storia” della privacy che è talvolta usata come una
sorta di omertà di Stato.
Le
ricevute delle iscrizioni rilasciate dal competente ufficio del partito,
sono adesso nella tasca del capocorrente che le userà per avere forza
quando siederà al tavolo del preordino dei congressi.
In
conclusione, il controllo delle tessere (vere e false), passa dai cinque
o sei pacchettari di riferimento, alle "correnti" di cui al
capitolo
15.
Cosa fa
l'ufficio addetto al tesseramento del partito? Nulla, non pone né si
pone domande; se tornano i conti tra soldi e moduli d’iscrizione, tutto
è ok.
Chi sta
dietro a tutto questo? Dietro a tutto questo, ci sono “precisi”
parlamentari del pertinente collegio elettorale e “precisi” dirigenti
provinciali del partito.
Il
tavolino che “orienta” il congresso prima del congresso, è quasi pronto.
Il prossimo capitolo s’intitola “Seduti
al tavolino”.
Ti
racconto la politica 23
(Seduti al tavolino)
La
conoscenza “in breve” non rende competenti; in futuro sarà diverso, ma
oggi non è
ancora possibile infilarla nella testa della gente come si fa con i file
nei computer.
La
semplicità rende bella l'anima ma non arricchisce la conoscenza né
l’esperienza; insomma, la vita può anche essere affrontata in modo
semplice, ma ciò non toglie che essa chieda di capire cose complesse …
poi, se si confonde la semplicità con la superficialità, allora sono
guai.
I
ventidue capitoli fin qui scritti, costituiscono una sorta di base per
inoltrarsi nei successivi argomenti del presente corso.
Naturalmente, è sempre fatta richiesta a presidenti, ministri,
parlamentari, segretari, dirigenti e quanti altri, di segnalare ed
eventualmente dimostrare che non sia pertinente al vero quanto qui si
descrive, racconta e afferma.
A testimonianza di una
democrazia spesso travisata, non esiste un solo statuto di partito che
menzioni i pacchettari, i capicorrente e i tavolini che “pilotano” i
congressi; ci sono anche altri “casi” che gli accennati statuti non
contemplano, ma prendiamo intanto atto di questi.
Le “qualifiche” per sedersi
intorno al più volte menzionato tavolino del preordino dei congressi,
non sono tante ma senza esse a quel tavolino non ci si siede.
In breve, ciascuno dei
convenuti dovrà avere il controllo del suo bel pacchetto di tessere e
conoscere bene ogni particolare dello schema delle tre linee parallele
(Partito, Istituzione e Sottobosco), che abbiamo disegnato nei
capitoli 1 e
2 di questo corso.
Il pacchetto di tessere
serve per avere riconosciuta la corrispondente percentuale di controllo
del partito; poi, la perizia nel districarsi tra la miriade di ruoli e
cariche che le note tre linee rappresentano, permetterà di trasformare
detta percentuale in pari assegnazioni preventive tra posizioni nel
partito, nelle istituzioni e nel sottobosco, sulle quali il convenuto al
tavolino vorrà “allungare le proprie mani”.
Alla fine, il tavolino avrà
stabilito quali dirigenti del partito saranno rinnovati dal congresso e
quali riconfermati come “a vita”; così come avrà stabilito i nomi di
chi “correrà” per le istituzioni parlamentari, in base all’ovvia
corrente di riferimento.
Inoltre, avrà “scelto” dei
dirigenti e anche dei funzionari di ruoli secondari relativi al
“sottobosco”, ovvero alle pubbliche amministrazioni periferiche e a
tutte le attività alle quali la mano pubblica può in qualche modo porre
condizioni.
Detto tavolino si riunisce
anche nelle sedi di partito, ma sempre e rigorosamente a porte chiuse;
le poche sedie intorno, sono riservate a “precisi” parlamentari del
collegio, al segretario, coordinatore o primo riferimento provinciale
del partito e a pochissimi alti dirigenti istituzionali. Abbiamo intuito
la funzione del tavolino e ne intuiremo altre, ma lì nessuno parla di
ciò che interessa al popolo.
Dalla povertà al rosario
delle vessazioni istituzionali, come dall’ignominiosa burocrazia ad
altre mille ingiustizie, sembra che di tutto ciò a quel tavolo non
gliene freghi nulla.
Ti
racconto la politica 24
(Concreto e subito?)
Nei
capitoli che precedono, sono stati descritti non pochi meccanismi che i
partiti usano in totale disonestà; ciò offende il popolo, ma non lo
assolve da certe colpe. Per esempio, quando ha creduto di leggere la
politica decidendo di vederla in “bianco e nero”, ha fatto un grave
errore. Molti hanno pensato d’avere scoperto la teoria del “concreto e
subito”, ma in realtà hanno messo il cervello come in una sedia a
rotelle, negandogli la naturale possibilità di trasformarsi un po’ per
volta in mente.
In
una sorta di metafora, hanno snobbato il signor grigio che chiedeva
d’inserire le sue sfumature nella tavolozza dei colori ed erano così
convinti della loro banale semplificazione, che non hanno ascoltato
neppure il signor verde che si avvicinava insieme ai signori azzurro,
giallo e altri che avrebbero stimolato maggiore estro. Quei grigi, quei
colori e quelle sfumature erano l’intelligenza, la conoscenza, la
strategia, l’arte, la cultura, la curiosità, l’umiltà, lo stile, la
passione, la pazienza, la competenza e l’ingegno che chiedevano a
presuntuosi e narcisisti di non atrofizzare il cervello.
Gli
“illuminati” del concreto e subito, ripetono col ritmo dell’ossessione
che contano i risultati, ma non capiscono quali guai procura la
confusione tra i risultati della correttezza e quelli della suggestione
e della prepotenza.
Il
bene del popolo, il rispetto e la democrazia erano i nobili concetti sui
quali nasceva la nostra Repubblica.
In
essa si confrontavano ideologie che proponevano percorsi diversi, ma che
erano accomunate dal senso del bene della società che doveva crescere
tra insegnamenti corretti e buoni esempi.
Anche
lì si cercavano i fatti, ma si puntava a costruire un apparato degno
senza scindere i fatti dai doveri della correttezza.
Decennio dopo decennio, però, una non meglio identificata concretezza si
lasciò ingannare da risultati tutt’altro che corretti.
Infinite pagine di storia parlano di questo, ma ciò che è successo si
può sintetizzare in poche righe.
Giorno dopo giorno, sulla costruzione dell’apparato dello Stato, ha
messo le mani un potere che ha preferito vivere alle spalle del popolo,
invece di rispettarlo.
Tali
gestori di quest’infame democrazia, si sono destinati privilegi,
ricchezze e vizi d’ogni tipo e oggi, per mantenere la loro cosiddetta
“sedia”, non hanno scrupoli a impiegare qualunque prepotenza.
I
partiti non rappresentano più l’istanza popolare nelle istituzioni
parlamentari, ma sono ignobili strumenti che non pochi politici di ruolo
adoperano per vivere alle spalle di un popolo impulsivo e ingenuo che sa
rendersi e che è reso sempre più impotente.
Se
una rielezione, riconferma o rinomina comporta un tot di voti, sarà
adottata ogni prepotenza per costringere quel tot di voti all’indirizzo
stabilito; se questi sono i risultati, io non partecipo alla loro
costruzione.
L'istituzione dello Stato e molti sedicenti leader politici, non sono
entità trascendenti e non c'è obbligo d'amarli se non meritano stima.
Ti
racconto la politica 25
(Acume e salamelecchi)
Nel mito del "Vaso di
Pandora", Prometeo (colui che pensa) ed Epimeteo (colui che pensa in
ritardo) ci raccontano come gli irruenti abbiano ricoperto di disgrazie
il mondo; la politica popolare non dovrebbe più seguire alcun Epimeteo.
Molta gente confonde il
confronto dialettico con la polemica e si crede forte perché non perde
occasione per essere soffocante e maleducata; il linguaggio cosiddetto
“concreto” che ne deriva, è in realtà l’incompetente semplificazione dei
saccenti.
L’intelligenza può
appartenere a buoni e cattivi ma, in Italia, sembra che gli ambienti
malavitosi e della peggiore politica, ne facciano più uso degli ambienti
popolari.
Non c’è contesto
intollerante e presuntuoso in cui si possa trovare accordo.
Nel confronto tra
interlocutori “grezzi” e interlocutori “raffinati”, saranno quelli
raffinati a governare la situazione; nel confronto tra parti raffinate,
vigerà un linguaggio intelligente.
Ci occuperemo del cosiddetto
“politichese”, ma potrebbe essere utile non bollarlo, sic et
simpliciter, con i soliti luoghi comuni popolari.
L’uso dell’intelligenza dà
maggiore accesso alla conoscenza ma il linguaggio che non mette in
contatto la lingua col cervello, non favorisce scambi utili.
Forse, la
democrazia è la luce di una società che sa uscire dal buio
dell’ignoranza.
Il popolo subisce forti
vessazioni ma le semplificazioni di cui s’illude, non possono aiutarlo.
Sappiamo da qualche
capitolo, che nessun partito è unitario e che le divisioni non avvengono
secondo le magnificate dialettiche sulla varietà dei punti di vista, ma
per giochi di potere; ciò chiama l’intelligenza a scegliere
atteggiamenti e linguaggi che non procurino litigi prima delle
soluzioni.
Come dicevamo,
l’intelligenza può appartenere a tutti ma sembra che in Italia ne
facciano più uso gli ambienti eticamente peggiori.
Abbiamo già letto che nei
partiti le divisioni si chiamano "correnti"; dal
capitolo n. 23, i loro capi sono seduti al tavolino del preordino
dei congressi.
In genere, indipendentemente
dalla dimensione del partito, le correnti sono tre o quattro in tutto.
Poniamo che intorno al noto
tavolino, siano seduti quattro capicorrente che rappresentano 6.000
tessere tirate in piedi come sappiamo.
I lavori sono stati avviati
tra cordialità e salamelecchi che hanno il fine di avvicinare con
lentezza il tema; quindi, dopo un tempo non proprio breve, qualcuno
prende la parola e dice: "Vanto la partecipazione democratica e la
solidarietà di 2350 generosi iscritti".
Traduzione: "So arraffare
più tessere di voi, dunque, comunico l'elenco dei candidati che il
congresso eleggerà per me".
La forma raffinata sottende
comunque una sostanza chiara, ma negli ambienti “acuti” si evita la lite
e si sanno prendere accordi perfino su questioni criminali, invece negli
ambienti popolari si litiga su tutto anche se si discutono temi onesti.
In base agli accordi del tavolino, il congresso voterà una lista
unitaria o due liste concordate o più liste contrapposte o altro; ne
parleremo. Il prossimo capitolo sarà intitolato: “Il mercato delle
vacche”.
Ti
racconto la politica 26
(Il
mercato delle vacche)
I congressi dei partiti, da
qualche decennio, sono appellati come “mercati delle vacche”.
La politica di regime ha
compiuto un semplice inganno: ha creato una sorta d’immagine riflessa di
se stessa e indotto il popolo a braccarla laddove non è.
Il nostro cosiddetto
“sistema democratico” spinge i cittadini a credere che i fatti siano
quelli che fa vedere; del resto, è abile a presentare le cose con la
“facciata” che vuole.
Come
in un’idolatria dell’empirismo e dimenticando che la percezione
sensoriale porge i dati alla mente che li elabora, molti scelgono
l’illusoria scorciatoia di conclusioni che l’emotività non lega alla
ragione.
In politica ci sono cose
complesse da sapere, ma è grave assecondare la frenesia di chi crede che
si possano capire subito, come d’impulso.
Travisando il concetto di “concreto e subito”, molti s’infilano nella
pietosa situazione di sentirsi liberi mentre subiscono il plagio.
Non pochi vivono l’ipnosi di termini
come
solidarietà, assistenza, cooperazione e altri riportati in quella sorta
di vocabolario del bigottismo politico-sociale, tanto abusato dalla mano
pubblica per truffare il cittadino.
Affetto da suggestione e un
po’ di smarrimento, c’è un popolo che pubblica, copia e incolla,
divulga, manifesta, urla e si dimena, credendo di opporsi con
l’improvvisazione e l’ansia, al freddo cinismo politico che l’opprime.
Non è così ed è anche per
questo che qui cerchiamo di svelare uno ad uno, luoghi, angoli e meandri
in cui il potere stabilisce tutto, proprio tutto, senza curarsi delle
aspettative popolari.
Questi capitoli hanno più
volte ripetuto che i congressi dei partiti sono momenti di voto anche
più determinanti delle elezioni pubbliche.
I dirigenti di partito
fissano ogni ruolo e carica; stabiliscono cioè chi diventerà presidente
della Repubblica, primo ministro, ministro, parlamentare, presidente o
assessore o consigliere regionale o provinciale, sindaco, assessore o
consigliere comunale, presidente o membro di commissione, presidente o
membro del consiglio d'amministrazione di questo o di quell'ente … fino
a tutte le diramazioni del cosiddetto "sottobosco" del quale abbiamo
scritto nel
capitolo n.1.
Inoltre, tramite vari
capigruppo d’ogni livello, i dirigenti di partito hanno ingerenza fino
alla più piccola delibera della più piccola amministrazione comunale.
Nel noto tavolino del preordino dei congressi, essi inseriscono nelle
liste le candidature di ossequiosi "yes man" che, anche per la boria
d’essere qualcosa, rappresenteranno il volere dei loro mandanti in ogni
situazione. È chiaro perché i congressi dei partiti siano dei mercati
delle vacche?
Il noto tavolino porterà
quasi sempre ad un congresso unitario o a liste concordate; tuttavia, se
si dovrà stoppare qualche onesto e irriducibile oppositore, allora sarà
un congresso a liste contrapposte che attaccherà il "ribelle", adescando
con fallaci corruzioni i suoi più “gracili” sostenitori.
È un
meccanismo perverso ma semplice, che ovviamente descriveremo. La
“diretta” del congresso arriva, ma senza avere letto ciò che precede,
sarebbe stato più difficile capire.
Ti racconto
la politica 27
(I'inganno
dei congressi)
Ci stiamo arrivando, ma
prima di “trasmettere” la preannunciata cronaca in diretta di un
congresso tipo, ci soffermeremo su un tema del quale anticipiamo qualche
titolo. Si tratta del “voto di scambio”, ovvero di uno sporco tabù alla
base delle vergogne politiche del nostro Paese; un’immensa vigliaccata
con cui il potere garantisce se stesso, impoverendo il popolo per
renderlo sottomesso, debole e abbordabile alla corruzione.
Ne parliamo in questo passo
del nostro corso perché, “guarda caso”, l‘impostazione del voto di
scambio si è confermata quale consuetudine, proprio nell’ambito delle
mansioni congressuali dei partiti.
Immaginiamo ora, quasi
riconoscendogli una dignità che non sempre gli appartiene, che il
dirigente di partito sia una specie di comandante d’una nave; è vero che
altri “uffici” stabiliscono il porto di partenza, quello d’arrivo e la
rotta da seguire, ma è anche vero che la nave la conduce lui.
In spregio al dettato
costituzionale, il partito politico è uno strumento totalmente travisato
e chi lo dirige, ha possibilità d’interferine, più o meno direttamente,
nell’ambito del potere esecutivo, come di quello legislativo e di quello
giudiziario, nonostante quest’ultimo sia un caso a sé.
I congressi, come ripetuto
più volte, “votano” i dirigenti dei partiti; sono momenti di elezione,
dunque, presunti meccanismi democratici, ma la democrazia italiana li ha
trasformati in una colossale truffa consumata ai danni del popolo.
La diretta che
“trasmetteremo”, sarà quella di un congresso provinciale riferito
all’ormai noto territorio di un milione di abitanti, che siamo soliti
usare come campione nei nostri capitoli. La ritualità congressuale è più
o meno uguale per tutti i partiti; noi proseguiremo con l’esempio di
quello cha conta circa 3.000 o 3.500 tessere vere, più altrettante
false.
Stabiliti nel noto “tavolino
del preordino”, i candidati e ogni altro particolare, il congresso
“eleggerà” i singoli dirigenti che a loro volta formeranno i vari organi
statutari che ogni partito chiama a modo suo.
Voti e preferenze
confermeranno, più o meno, una quarantina di persone che saranno
avvicendate, chissà quando, più per sopraggiunta vecchiaia che per
democratico ricambio; il rinnovamento riguarda soprattutto gli “yes
man”.
A questo punto, gli “eletti”
formeranno gli organi statutari provinciali come il segretario, la
direzione, il presidente, l’ufficio di presidenza, il comitato e vari
uffici che vanno dall’organizzativo all’amministrativo, da quello dei
rapporti con la stampa a quello dei rapporti con gli enti locali, dal
tesseramento al territorio e via discorrendo.
Saranno “eletti” anche i
delegati al congresso di livello superiore, cioè regionale e poi
nazionale. Il tavolino del preordino decide quasi sempre di riportare i
candidati su una lista detta "unitaria" che, praticamente, “elegge” i
candidati ancora prima che si votino. Le liste possono essere unitarie,
concordate, contrapposte o altro, però cambia poco.
I congressi sono blindati,
ma talvolta qualcuno li scardina; se sapesse scardinarli il popolo,
sarebbe una stagione nuova.
Ti
racconto la politica 28
(Il
voto di scambio)
Circa il voto di scambio, se
Dante Alighieri fosse vivo, scriverebbe “L’infame Commedia”.
Infame, perché tale è
l’atteggiamento delle istituzioni nei confronti dei cittadini. Come
definire diversamente un potere politico che rivolge al popolo le
sensibili parole a lui gradite, per “ingentilire” la facciata di
crimini, vessazioni e inganni?
Il voto di scambio è un tema
semplice ma assai vasto; spazia dai massimi esponenti politici,
all’ultimo consigliere o funzionario del più remoto comune d’Italia.
Si evolve e ingloba i temi
dell’attualità; per esempio, nel caso dell’immigrazione, riconosce come
umanitarie certe
organizzazioni criminali, dà loro tot Euro a immigrato e chiede tot voti
in restituzione.
Le angherie per “decreto”
hanno avuto genesi quando l’avidità dei politici ha scelto la via della
prepotenza istituzionale; non
a caso lo “Stato” taglia i servizi e il sostegno al cittadino, ad ogni
tornata.
Nei molti decenni che hanno
tradito la democrazia e costruito un regime che di democratico ha
conservato solo il nome, si è “distillata” una classe politica dirigente
mossa dalla brama di garantirsi protezioni, agi, privilegi e prebende
d’ogni sorta.
Riconducendo il ragionamento
all’essenziale, si fa intendere che la democrazia sia garantita dal
semplice istituto del voto, insomma, se si vota è democrazia.
Stabilito, pertanto, di
mantenere la facciata del voto, occorre solo manipolarlo.
Il voto si compra in
quantità; si “ritocca” nell’iter del suo conteggio e c’è perfino qualche
scheda falsa che, entrando nell’urna, diventa vera … un capitolo è un
capitolo, ma questo è un corso, dunque, ne parleremo ancora.
Le nuove leggi elettorali
nascono per facilitare detti raggiri; sempre abbellite dal vocabolario
di facciata, esse conferiscono “maggioranza” ai
voti che calano ogni volta.
“Voto di scambio” significa
“voti comprati col denaro pubblico”.
L’estorsione fiscale, la
soffocante burocrazia, l’epidemia di enti e organismi, il vergognoso
esubero d’impiegati pubblici, l’indegna miriade di norme contorte e
quant’altro, sono inseriti nel voto di scambio che è il
contenitore generale della disonestà politica italiana.
Per
esempio, un milione di stipendi pubblici “di scambio”, costa almeno 20
miliardi di Euro l’anno e pari consulenze professionali “di scambio”,
costano ancora di più.
Gli “acquisti”
crescono da decenni; oggi si comprano quasi 10 milioni di voti, ma è in
arrivo la saturazione. Fatti i dovuti arrotondamenti, risulta “comprato”
un elettore su quattro aventi diritto e uno su due votanti effettivi.
Il pagamento
dei 10 milioni di voti, avviene secondo le tre
diverse modalità riportate nel seguente specchietto:
a)
4,5ml di voti
sono pagati dall’infinita “corruzione di grandi, piccoli e minimi
appalti";
b)
4 ml
abbondanti di voti sono pagati da "stipendi e consulenze pubbliche di
scambio";
c)
Poco più di
0,5 ml di voti sono pagati dalle singole strutture elettorali di
candidati che consegnano all’elettore la scheda, già vidimata, da
infilare nell'urna.
Ciò grava per
almeno 130 miliardi di Euro sul bilancio pubblico dell'Italia, ma
l’eventuale errore di valutazione è per difetto e non per eccesso.
Ti
racconto la politica 29
(Organi
dirigenti provinciali)
Sento il
dovere di esprimere un sincero ringraziamento a quanti hanno letto e
divulgato il precedente
capitolo n.28
(Il voto di scambio), fino a determinarne l’importante
diffusione che ha avuto; le notizie e i dati pubblicati, hanno
ovviamente destato indignazione. In tema di politica, capita che questo
corso descriva meccanismi spregevoli e spesso sconosciuti ai normali
cittadini, tuttavia, nonostante i ripetuti appelli, non si sono fin qui
ricevuti reclami o richieste di contraddittorio. Essendo il voto di
scambio il “contenitore generale” della disonestà del sistema politico
istituzionale italiano, è ovvio che ne parleremo ancora.
Adesso,
dal momento che sono state trattate molte questioni inerenti la perversa
realtà dei congressi dei partiti, proseguiamo con la descrizione degli
organi dirigenti provinciali, così avvicinandoci ulteriormente alla più
volte evocata “cronaca in diretta” che sta per arrivare.
Ritorniamo al noto tavolino del preordino dei congressi e ricordiamo che
non esiste un solo partito né un solo congresso che non “allestisca”
detto tavolino.
Come
riportato nel
capitolo n.25,
ottemperati i salamelecchi d’apertura e trascorso un tempo non
esattamente breve, ecco che il primo a prendere la parola per entrare in
tema, è il pacchettaro signor Tizio che in sostanza dice: "testimonio la
partecipazione democratica e vanto la solidarietà di 2350 generosi
iscritti". Di seguito, evitando di riportare qui gli infiniti ghirigori
che in quel tavolino sono d'obbligo, si fa avanti il secondo pacchettaro
il quale vanta “la solidarietà - poniamo - di 1700 generosi iscritti”.
Arriva dunque il turno del terzo pacchettaro che vanta “la solidarietà -
poniamo - di 950 generosi iscritti” e via discorrendo con il quarto e il
quinto pacchettaro che parlano rispettivamente di “600 e 400 generosi
iscritti”.
“Generosi
iscritti” vuol dire tessere; nel territorio provinciale del nostro
esempio, tra "vive e morte", le tessere sono 6000.
Il
Congresso eleggerà - si fa per dire - il nuovo organo dirigente
provinciale che fissiamo in una quarantina di membri.
Il primo
pacchettaro, quello delle 2350 tessere, avanza la sua richiesta di
candidati; dunque, seguono gli altri.
Gli
eleggibili sono quaranta, ma le candidature sono di più; che si fa?
Semplice,
è un po' come i ministri e i sottosegretari che formeranno il Governo.
Pur
essendo partiti da un’ipotesi di quaranta, si potrà “eleggere” un
comitato di cinquanta o sessanta consiglieri e all’uopo, si ricorrerà
anche alle linee "Istituzione e Sottobosco", descritte nello schema del
capitolo n.1;
insomma,
chi non è piazzato subito, sarà piazzato dopo. Finora, abbiamo parlato
di lista unitaria, ma se saltasse fuori un "disobbediente", vedremo
cosa si farà per renderlo innocuo; negli attuali partiti politici, la
democrazia non esiste.
A
proposito, è importante sapere che, già dagli anni Sessanta, esiste una
sorta di tabella dei “pesi” dei vari ruoli pubblici e di partito, che
passa sotto il nome di “Manuale Cencelli”; ha una funzione incredibile e
ne parleremo.
Ti
racconto la politica 30
(Il
Manuale Cencelli)
Un'assurda cultura ha costruito la maggiore epoca di mancanza di
rispetto verso tutto, propinando l’ipocrita illusione di rispettare
tutto.
Deve
essere stato difficile, a suo tempo, immaginare che la democrazia si
sarebbe rivelata in Italia come il più perfido e corrotto dei regimi
politici.
La
modernità non può inneggiare al ritorno a regimi totalitari, tuttavia è
innegabile che la nostra democrazia sia oggi una forma di dittatura che
si nasconde dietro l’adornata facciata dell’istituto del voto e la
capillare corruzione del voto di scambio.
Essa
“inventa” meccanismi volti in apparenza a migliorare l’attendibilità
delle istituzioni dello Stato ma deturpati, nei fatti, dalle mire di una
classe politica depravata e priva di ogni senso etico.
Per
esempio, negli anni Sessanta, l’acuto Massimiliano Cencelli ideò
qualcosa che avrebbe potuto agevolare il riconoscimento della
meritocrazia nei ruoli pubblici e di partito, ma certa perversione
politica non permise di usare quell’idea per gli scopi per i quali era
stata concepita.
Nato nel
1936, Massimiliano Cencelli s’iscrisse alla Democrazia Cristiana nel
1954 e ne diventò un alto funzionario.
Elaborò
in particolare, con precisione quasi algebrica, una sorta di vademecum
dei pesi e delle misure; un metodo, insomma, per quotare gli incarichi
pubblici e di partito, che è passato sotto il nome di “Manuale Cencelli”.
Il sistema, idoneo a riconoscere il merito delle persone degne e
professionalmente preparate, fu purtroppo trasformato nei decenni in uno
strumento per mediare le ingordigie e le brame di potere di politici
disonesti e prepotenti.
Il
Manuale Cencelli è oggi usato da tutti i partiti e i governi, per
gestire l’esasperata lottizzazione delle posizioni di potere; insomma, è
utilizzato per attribuire “quotazioni” a tutti i ruoli pubblici e di
partito, fino all’ultimo “vice bidello” dell’ultima scuola elementare
dell’ultimo comune d’Italia.
I suoi
parametri sono usati quali metro di misura per la spartizione delle
“sedie e poltrone” sulle quali allungano le mani i governi, i partiti e
le rispettive correnti.
Lo schema
delle tre linee verticali parallele del
capitolo n.1
di questo corso, ha aiutato a capire molti dei meccanismi di volta in
volta descritti; in ordine al Manuale Cencelli, esso è fortemente
esplicativo.
Più volte affermato, ecco
come in politica due più due può fare cinque.
Il pacchetto “A” di
tessere, ha determinato la percentuale congressuale del 12,6%, mentre il
pacchetto “B” ha determinato quella del 9,4%.
Il decimale maggiore fa
salire “A” al 13% tondo; mentre il 9,4% di “B”, diventa 9%.
Il 13% di “A” e il 9% di
“B”, saranno “pagati” scegliendo delle posizioni tra quelle riportate
nelle linee “Partito e Istituzione” (schema capitolo n.1).
Ciò fatto, lo 0,6% di “A”
viene aggiunto allo 0,4% di “B” che ha adesso un intero punto
percentuale da “spendere” tra i ruoli della linea “Sottobosco”.
Caro lettore, non c’è da
sorprendersi se sei rimasto senza parole.
Ti
racconto la politica 31
(Illusionisti
e illusi)
Pensare
d’interagire utilmente con qualcosa che non si conosce, è illusorio;
questo corso narra certi usi della politica, nella speranza di dare
qualche informazione utile a quanti si organizzano per opporsi alla
prepotenza istituzionale che opprime il popolo.
Proposte
popolari, petizioni, appelli, proteste, cortei, piazzate … e perfino
referendum, non servono a nulla; sono lo zero assoluto. Lo strumento di
rivalsa popolare è il partito politico e non è un caso se, nei decenni,
l’apparato ha usato mille espedienti per renderlo inviso alla gente.
Caduti nella trappola, i cittadini si sono messi a “inventare”
movimenti, federazioni e simili, tanti quanti sono i granelli di sabbia
nel fondo del mare e nonostante vantino spesso posizioni in accordo con
la teoria etica, essi sono dispersivi e inefficaci dal punto di vista
politico.
Com’è possibile chiamare
democrazia un apparato di potere che proviene da elezioni controllate e
contraffatte se non addirittura inesistenti?
Com’è possibile portare
rispetto a istituzioni corrotte che affliggono la vita sociale?
La responsabilità di tali
disagi è solo dei politici depravati o è anche dei cittadini?
Quale infelice personalità
ha un popolo
che si disperde in mille rivoli, al seguito della presunzione di mille
improvvisati sedicenti leader?
Possono esistere gli
“illusionisti” se non esistono gli illusi?
La vita è complessa e non
sono certo i “docenti” della superficialità a farla diventare semplice.
Molti si sentono originali
e liberi mentre rendono omologati i loro atteggiamenti e usano luoghi
comuni e frasi fatte; si credono forti perché “parlano chiaro” mentre
confondono il concreto con il subito … in questo modo, l’infelicità
dell’ignoranza è in agguato.
Ci si continua a illudere
che la politica - forse la più complessa delle scienze - possa essere
affrontata col chiasso, l’urlo, l’impulsività, l’incompetenza e gli
“ululati” di sedicenti politologi rivoluzionari, “illuminati” solo dalla
loro presunzione. Tante aggregazioni quanti sono i granelli di sabbia e
tanti sciocchi che s’illuminano della loro ignoranza, proprio così; come
faremo a venirne fuori?
Siamo arrivati a
confondere l’apparenza con la sostanza e a commentare le cose, non per
quello che sono, ma per come certi “registi” sanno presentarle alla
nostra plagiabile emotività.
Come faremo a venirne
fuori? C’è da ripersi queste parole davvero col ritmo dell’ossessione.
Istituzioni corrotte e
vessatorie, voti comprati, elezioni alterate e un esercito popolare di
pifferai “fuori di testa”, che ottengono l’attenzione di un popolo
confuso ma arrogante; è questa la democrazia?
Il popolo ha gravi colpe e
tra esse, annovera la comoda superficialità che non chiede di
approfondire nulla, mentre porta perfino a farsi vanto di ciò che non si
capisce.
Un fatto non è più un
fatto, ma è la sottile recita di ciascun “regista” della politica e
dell’informazione, oppure la rozza appariscenza strillata dai fanfaroni
tra il popolo.
Può tale ingiuria alla
civiltà e all’intelligenza, essere chiamata democrazia?
Ti
racconto la politica 32
(Ti
blindo la lista)
L’ignoranza ti cerca, la
cultura vuole che la cerchi.
Per quale insensato motivo
non capiamo più che “cercare” la cultura e la conoscenza sia
determinante per vivere meglio e da persone libere?
Quale assurda logica ci ha
infilato nella testa che la nostra attenzione debba essere attratta dal
chiasso e dal bagliore di certa ridicola originalità?
La conoscenza è
osservazione, ascolto, lettura, riflessione e capacità d’attesa … com’è
possibile che lo “scoppio” di uno stupido petardo o il “colorato”
aspetto di un buffone o la vuotezza delle parole piene di “rumore”,
attraggano la nostra fiducia?
Che possibilità ha un popolo
siffatto, di opporsi a malvagie istituzioni che lo vessano, avviliscono
e offendono?
Quanta presunzione occorre
per credere di combattere e vincere un nemico di cui si vuole pensare di
sapere tutto, mentre in realtà si sa poco più di nulla?
Si possono tirare in ballo
mille fantasie dilatate quanto il mondo, ma la “connessione” con i
poteri costituzionali, cioè legislativo, esecutivo e giudiziario, è il
partito politico, anche se il potere giudiziario prevede qualche
considerazione a parte.
Purtroppo per alcuni, questo
è un capitolo tecnico in cui non scoppia nessun petardo né si racconta
il colorato aspetto di nessun buffone.
I partiti devono celebrare i
congressi, così come gli Stati democratici devono celebrare le elezioni
pubbliche, ma in Italia è tutto “democraticamente” pilotabile.
In precedenti capitoli,
abbiamo definito con una certa precisione le piccole quantità numeriche
che determinano gli equilibri tra le aree di prepotenza congressuale.
La o le liste dei candidati,
sono redatte dai pochi partecipanti al noto tavolino del preordino dei
congressi, poi, proprio alla faccia della democrazia, vengono “blindate”
per tutti.
La democrazia è
partecipazione ma la partecipazione è uccisa dall’apatia o dispersa in
mille rivoli.
Vuoi intervenire? Allora
costruisci un partito che appartenga davvero al popolo, oppure espugna
uno spazio in un qualsiasi congresso e mantienilo onesto. In
quest’ultimo caso, coinvolgi dei tesserati seri e prendi posto nel
tavolino del preordino congressuale … diversamente, butterai via il
tempo o urlerai per nulla.
Le liste segnano il destino
di tante cose e sono fortemente blindate contro gli intrusi. Un
“solitario o solista”, non può comparire in nessuna lista ufficiale di
candidati, senza una preventiva accettazione d’obbedienza. Ogni
candidatura è sottoscritta, ma non è raro che i neofiti non
"collaudati", debbano firmare anche un foglio di dimissioni senza data;
questo non lo dice mai nessuno.
Coloro che pensano di
entrare in un qualsiasi partito per modificare l'andazzo della politica,
devono conoscere ogni “veleno”, diversamente non avranno alcuna
possibilità di affermarsi, se non quali parassiti dilettanti che
aspirano ad una delle cariche del Manuale Cencelli descritto nel
capitolo n.30.
Prossimamente vedremo la
differenza tra liste unitarie aperte o chiuse, liste concordate e liste
contrapposte ma, comunque si chiamino, esse puntano sempre a
monopolizzare tutto.
Ti racconto la
politica 33
(Politica, alcol e sedativi)
Questo capitolo segna il battesimo della
pubblicazione del corso anche sul quotidiano cartaceo.
Per l’occasione, prendiamo una piccola pausa dalla
pura “didattica” e raccontiamo un episodio che invita comunque a
riflettere.
Il treno, alta velocità da Milano, è prossimo a Roma.
Guardo dal vetro l'Italia che scorre incastonata tra i germogli della
primavera; di fronte a me, è seduto un passeggero.
“Bella la nostra Italia - dico -
peccato che la stiano avvilendo”.
“Sorry?”
Il passeggero è inglese; io non parlo
bene la sua lingua ma non rinuncio alla chiacchierata.
“How beautiful is Italy -
continuo!”
Il mister dimostra una cinquantina
d’anni, veste elegante e scopro presto che si tratta del responsabile
per l'Italia di uno dei whisky più noti del mondo.
Attraversiamo un periodaccio, dunque,
gli chiedo perché mai venga qui da noi; penso infatti che non vi siano
molti denari per comprare whisky.
“Un paese angosciato beve - afferma in
un italiano migliore del mio inglese - e sono qui per questo”.
Rimango annichilito; arriva Roma e ci
salutiamo tra un ciao e un goodbye.
Il giorno dopo, giacché i sondaggi sono
di moda, decido di farne uno in miniatura e tutto da solo. Scopro, da
alcuni ristoratori, che si vende più alcol e da alcuni farmacisti, che
sonniferi, tranquillanti e affini vanno forte.
Sono di nuovo annichilito; porca
miseria - lasciatemelo scrivere - ci stanno proprio fottendo la vita.
Ostentando serenità, l’ignobile
apparato opprime la sfera sociale, familiare e privata; i cittadini sono
intaccati da apatia e irritabilità … genitori e coniugi avviliti per
difficoltà varie, lavoratori impauriti, imprenditori sconfitti, studenti
sfiduciati, tasse estorsive e valori infranti.
È questa l’Italia democratica?
Come nella giungla, il forte aggredisce
il debole; ma é fuori luogo chiedersi quanto debole voglia diventare il
nostro popolo?
Possibile che si senta forte recitando
le frasi fatte che gli mette in bocca proprio il potere politico?
Fa di ogni cosa un allarmismo e
trasforma ogni opinione in libertà d’arroganza e di polemica, fino ad
apparire una sorta di popolo fondamentalista non nella religione ma
nella cultura.
Amare l’ambiente, gli animali, la
libertà di parola e quant’altro, è più che giusto ma la propensione al
fanatismo ci trasforma nei più fissati ambientalisti, vegani,
animalisti, apolitici, anti questo, anti quello e anti tutto … fino a
rendere assurda e inefficace ogni rivalsa politica popolare. Inneggiamo
a una rivoluzione che non sappiamo fare e l’illusione del “concreto e
subito” ci tiene in sala d’attesa da decenni.
Cavillare su ogni cosa è da deboli e
allontana dalla vera possibilità di rivalsa popolare che è la capacità
di fare squadra.
Avalliamo il plagio del regime
impostore che si fa chiamare democrazia e che, secondo l’antico “divide
et impera”, ci disperde gli uni contro gli altri nelle mille arroganti
fissazioni in cui ci illudiamo d’avere una ricca personalità.
Ti racconto la
politica 34
(La lista unitaria)
Paolo Borsellino diceva che il
cambiamento si fa con la matita dentro la cabina elettorale e che quella
matita è più forte di qualsiasi arma, di qualsiasi lupara e più affilata
di un coltello.
Aveva ragione, ma l’hanno capito anche
le istituzioni che ci governano e l’hanno capito al punto che si sono
messe a progettare ogni inganno perché, nella falsa democrazia che
disegnano, il voto popolare conti sempre meno.
La modernità cambia tutto e immaginare
la politica con ristrettezza, è uno dei maggiori errori che un popolo
possa commettere, eppure non mancano mai quanti inneggiano alla
rivoluzione senza considerare che anche il concetto di rivoluzione segue
il dettato della modernità.
L’attuale fotofinish mostra una
politica prepotente e un popolo che si sente forte mentre è
costantemente plagiato; basta pensare all’impressionante quantità di
cittadini che si uniformano nel linguaggio delle frasi fatte.
Non è
possibile vincere al tavolo
dei bari senza conoscerne gli inganni; ciò non vuol dire che il popolo
debba essere truffatore, ma che non può competere se non conosce i
trucchi di chi truffa.
Come spiegare altrimenti il
fenomeno dell’esercito popolare dei sedicenti “pragmatici” che non
concludono mai nulla?
Questo è un capitolo tecnico
che tratta il tema della lista unitaria e informa, come abitudine
dell’intero corso, senza affidarsi all’enfasi, pur sapendo che nel
lettore dipendente da emotività e bisognoso di suggestione, potrebbe
subentrare la “fatica” prima di completarne la lettura.
Ci siamo intrattenuti spesso
sulle fasi che precedono un congresso di partito, qualunque esso sia. Il
"tavolino del preordino" ha definito il numero dei candidati che il
congresso “voterà”, così eleggendo i dirigenti provinciali del partito.
Stiamo osservando dei meccanismi perversi tra cui è difficile
districarsi, se non conoscendoli profondamente.
Ci siamo già occupati dei
mille "accessori" a cui si ricorre per trovare la cosiddetta quadra;
eccoci pertanto alla lista unitaria che rappresenta la conclusione più
diffusa. Chiamarla lista unitaria invece di unica, è già una furberia,
in ogni modo, ciò significa che il congresso “voterà” una sola lista.
Nel nostro esempio, i candidati sono diventati cinquanta anziché
quaranta come si pensava (cap.
n.29);
inoltre, i dieci o dodici che non hanno trovato posizione nella lista,
saranno “sistemati” seguendo lo schema delle linee "Istituzione e
Sottobosco" che conosciamo (cap.
n.1
e
n.2
) e del manuale Cencelli (cap.
n.30).
In conclusione, il congresso
avalla l’elenco dei cinquanta nomi stampati e praticamente già votati.
E l'informazione? Ecco, più
o meno, cosa reciterà il comunicato stampa ufficiale della convocazione
del congresso.
"In ordine al grande senso
di democrazia del partito XY, nonché all'unità di intenti che sa
interpretare con rispetto le istanze del popolo, è convocato il
congresso provinciale per il tale giorno e mese, presso il tale teatro”.
A proposito, le liste
unitarie sono chiuse o aperte, cambia poco, ma ne parleremo.
Ti
racconto la politica 35
(I
social network)
Nella
Pentecoste del Manzoni si parla della luce che cade uguale su tutte le
cose, mentre ogni cosa emana un colore diverso.
La
comunicazione è luce della conoscenza e la politica sa quanto essa sia
forte strumento di persuasione. Di là delle ciance delle “lingue”
all’ammasso, la politica non può prescindere dall’intelligenza; essa,
per suo compito, organizza la vita sociale e il popolo, invece di
bistrattarla facendosene perfino vanto, dovrebbe assisterla per opporsi
ai prepotenti che la manipolano a loro piacimento.
La
politica parla anche il “politichese” che, in barba alle interpretazioni
di viscerali e paranoici, è una specie di linguaggio dell’intelligenza.
Una delle
nostre pagine più lette, (Realtà e linguaggio -
capito n.16), ci ha detto come il linguaggio possa “modellare”
la realtà, proprio mentre la rappresenta.
Tutto
muta e se, anche con un pizzico d’ironia, pensiamo al piccione
viaggiatore, al dispaccio “a cavallo”, alla missiva con francobollo e
alla più recente ma pur sempre antica telefonata, notiamo che i social
network modificano radicalmente il concetto stesso di comunicazione.
La
modernità richiede un forte impegno di “assimilazione” individuale e
sociale; certo inneggiare alla semplicità è come inneggiare
all’ignoranza.
Il mondo
cambia e occorre impegnarsi a capirlo per non rimanere prigionieri
dell’antico.
Questo
corso descrive molti meccanismi, anzi veleni che la politica delinquente
usa per sopraffare la politica perbene; ma la conoscenza deve stimolare
la capacità di capire.
I social
network sono potenti strumenti di comunicazione; alcuni si specializzano
per tipologie, utenti e temi, mentre altri sono più genericamente una
sorta di nuova agorà in cui si “passeggia” per dire qualsiasi cosa.
Il social
network “piazza”, è lo strumento di comunicazione più potente di cui il
popolo abbia fin qui potuto disporre. Mette in contatto milioni di
persone, non è inaccessibile come il mas media tradizionale … ed è
potenzialmente “miracoloso” per la strutturazione della progettualità
politica popolare.
Invece?
Invece prevale la volgarità, l’arroganza e l’immediatezza di quanti
credono d’avere una personalità forte, mentre sono l’assoluto nulla.
Invece?
Invece imperversa l’eccitato esercito di “opinionari” da strapazzo che
divulgano le grandi balle dell’informazione pilotata, così
trasformandosi in robot telecomandati dal plagio istituzionale.
Invece?
Invece scorrazza la morbosa vanagloria di sedicenti rivoluzionari e
perfino politologi totalmente incapaci di formulare un progetto di
rivalsa popolare serio ed efficace.
Invece?
Invece, inabile a capire le potenzialità dello strumento che il destino
tecnologico mette a disposizione, prevale un universo di squallidi
gruppi che rappresentano i limiti, i modi e i temi della più tragica
superficialità popolare.
Il nostro
popolo è afflitto da istituzioni oppressive ma è anche patologicamente
“incurante”, oppure fissato in forme di lotta che si dimostrano inutili
da almeno mezzo secolo.
Merita
ogni solidarietà per ciò che subisce, ma va anche rimproverato per la
gravissima superficialità con cui si rende perdente.
Può
capire, ma deve decidersi a capire!
Ti
racconto la politica 36
(Lista chiusa o aperta)
Nel
capitolo n.34 abbiamo detto cos’è e come si forma la cosiddetta
“lista unitaria” e abbiamo anche descritto con quali “veleni” vi si
costruisce intorno il congresso.
La lista
unitaria può essere chiusa o aperta, ma chiariamo subito che quella
aperta è aperta per modo di dire. La “lista unitaria chiusa” è formata
da tanti candidati quanti sono gli eleggibili, dunque, votata la lista,
tutti sono eletti. La “lista unitaria aperta” riporta invece un numero
di candidati maggiore di quello degli eleggibili; ciò vuol dire che nel
noto tavolino del preordino dei congressi
(Capitolo n.23),
a causa delle troppe pretese, si è faticato un po’ a raggiungere
l’intesa finale tra le correnti (capitolo
n.15).
Dopo il
congresso, certa stampa parlerà comunque di “alto esempio di
democrazia”, nonostante tutto sia stato pilotato.
Come
accade per quella chiusa, anche nel caso della lista aperta, i candidati
da eleggere sono garantiti; nondimeno, la presenza di nomi che non
riusciranno a entrare nella rosa degli eletti, sta a ricordare che detti
candidati saranno successivamente sistemati altrove, anche in base alle
“istruzioni” del manuale Cencelli accennato nel
capitolo 30.
Ricordiamo che le elezioni congressuali sono elezioni, per così dire,
private che non c’entrano nulla con le regole e i dettati delle varie
leggi elettorali.
I
congressi dei partiti, come qualsiasi momento elettorale, rappresentano
un punto di vulnerabilità, è pertanto immorale ma ovvio che il noto
tavolino del preordino dei congressi, affini ogni tecnica per
“blindarli”.
Del
resto, anche la recentissima storia d’Italia, racconta che con un colpo
di mano in un congresso di partito, si può assurgere perfino alla
Presidenza del Consiglio.
La
modernità e la ragione vogliono che ogni progetto sia condotto da
persone che, poche o tante che siano secondo necessità, sappiano
lavorare in unità d’intenti; il concetto di squadra, però, non è certo
un punto “luminoso” della forma mentis del popolo italiano.
Impronte digitali, DNA, peso, altezza e milioni di altre
caratteristiche, rendono unico ogni essere umano.
È
spontaneo capire che, così come non esistono due esseri umani
fisicamente identici, non possono neppure esistere due esseri umani
identici dal punto di vista culturale, caratteriale e mentale.
In
ogni modo, viviamo tutti su questa terra e se fossimo maggiormente
capaci di discernere le priorità, capiremmo che i motivi d’intesa
dovrebbero avere più importanza dei motivi di lite.
Non
pochi, infatti, vivono sostanziali problemi di discernimento e sia pure
in condivisione di lodevoli principi, riescono paradossalmente a
trasformare in motivo di lite perfino il
banale “tifo per questa o quella squadra di calcio”.
Ciò
fornisce la dimensione di certa idiozia culturale e denuncia
l’impulsività quale forma di patologia.
L’umiltà è forza, del resto, non è difficile capire che chi è vittima
dell’impulsività, ha meno personalità di chi sa attendere e riflettere.
Prossimamente, ci occuperemo delle cosiddette “Liste concordate”.
Ti
racconto la politica 37
(Liste concordate)
Per le
operazioni congressuali di voto, come abbiamo visto, si possono
prevedere diverse tipologie di liste relative all’elezione dei
candidati, ovvero dei nuovi o riconfermati dirigenti del partito.
Le liste unitarie chiuse o
aperte, le liste concordate, le liste contrapposte delle quali parleremo
presto ed eventuali altre “diavolerie” inventate magari all’occorrenza,
nello specifico congresso di questo o quel partito, sono caratterizzate
da un motto e descritte sempre come uno strumento volto al rispetto
della regola democratica; invece, si tratta di sotterfugi ipocritamente
ponderati per assicurare che ogni fase dei lavori congressuali si svolga
secondo le pianificazioni stabilite nel tavolino del preordino dei
congressi, che abbiamo descritto nel
capitolo n.23
e richiamato in successive occasioni.
È ovvio
pensare a un parallelo tra la gestione generalmente arrogante dei lavori
congressuali e l’invadenza, non meno assoluta, che la politica
istituzionale esercita in ogni sua funzione pubblica, elettorale
compresa, salvo descrivere immancabilmente ogni cosa come democratica e
volta al bene del popolo.
È corretto evidenziare detto
parallelo, per significare che senza una profonda conoscenza dei
meccanismi perversi con cui la politica istituzionale si mantiene al
potere e proroga la propria prepotenza, nessuna forma di rivalsa
popolare potrà essere condotta a successo.
In
ogni modo, preso atto di come la lista unitaria, chiusa o aperta che
sia, possa blindare il responso pianificato di un congresso di partito,
vediamo ora cosa sono e perché si adoperano le liste concordate che, di
solito, sono due e raramente di più.
Per
la gioia di chi inneggia alla concretezza, stiamo leggendo un passo
molto tecnico, come spesso il lettore chiede, ma, chissà perché, la
descrizione concreta e analitica delle cose, porta molti sedicenti
“concreti” a leggere con noia.
Fissato, per esempio, di eleggere un organo direttivo territoriale di 50
membri; le due liste concordate riporteranno i nominativi di 50
candidati l'una, per complessivi 100.
Accordata ogni spartizione e carica, una delle due liste riporterà
ovviamente più voti dell’altra; sarà la lista in cui una o due correnti
(capitolo
n.15)
hanno concordato di elencare i propri candidati insieme a quelli della
corrente più numerosa.
In
linea generale, la lista che prende più voti, elegge i due terzi del
comitato (in questo caso, 34 dirigenti) e l'altra un terzo (in questo
caso, 16 dirigenti).
I
pacchettari maggiori, formata dunque una lista con i nomi dei propri
candidati "obbedienti", prenderanno le prime trentaquattro posizioni,
mentre i pacchettari rimanenti o minori, prederanno le prime sedici
posizioni nell’altra lista. Le percentuali sono "aggiustate" fino ai
decimali, col meccanismo detto "manuale Cencelli" che, dalla notte dei
tempi, si utilizza ovunque ... partiti, istituzioni e sottobosco.
Tra
pochi capitoli inizieremo con la “cronaca in diretta” del congresso, ma
prima parleremo delle liste contrapposte e di come si contiene
l’eventuale azione del “disobbediente” che non accetta le prepotenze del
tavolino del preordino.
Ti racconto la
politica 38
(Liste contrapposte)
Esiste
una sorta di sequenza di elementi costruiti ad arte, che ha il fine di
“snellire” i numeri che servono alla politica, cioè di rendere
sufficienti numeri inferiori, in luogo di numeri maggiori. Dalle leggi
elettorali, ai quorum, ai voti per delega,
a mille altre diavolerie, ne abbiamo parlato più volte e abbiamo anche
visto che questi elementi s’infilano, per così dire, uno dentro l’altro
come delle “matrioske”.
Non a
tutti sfugge che le strategie banali e gli atteggiamenti chiassosi della
politica popolare, siano graditi e spesso provocati dalla stessa
politica istituzionale.
Oggi,
anche il più ipocrita e corrotto dei regimi politici, vuole definirsi
come democratico, dunque, non tende a sopprimere l’istituto del voto, ma
a controllarlo.
Il
nostro regime politico è tra i più ipocriti che esistano; si professa
quale paladino del voto popolare ed è invece inventore molto abile degli
espedienti più perversi per controllarlo.
Nei
partiti si alternano circostanze diverse alle quali si fa fronte,
scegliendo gli atteggiamenti in grado di “rendere” la migliore immagine
possibile; è un po’ come indossare l’abito cerimonioso o sportivo o
trasandato o seducente o d’autore o altro, in base all’occorrenza.
Ne
abbiamo visto gli usi specifici e si tratta di elementi delle accennate
“matrioske”, ma le varie tipologie di liste servono anche a “inviare”
all’informazione e all’opinione pubblica, il tipo di messaggio (abito)
in quel momento più conveniente.
Si
usa la lista unitaria per comunicare una forte coesione del partito,
oppure le liste concordate per esprimere dibattito ma convergenza,
oppure quelle contrapposte per dare prova di una sintesi che poi sa
scegliere il rispetto della maggioranza relativa … accade addirittura
che delle liste concordate, vengano presentate come contrapposte.
Le
liste contrapposte si hanno certamente nel rarissimo caso di un
disobbediente, cioè di qualcuno che non si è fatto imbrigliare e che sia
riuscito a sedere nel famoso tavolino del preordino (capitolo
n.23). Quel disobbediente rappresenta la presenza di soggetti
onesti, di iscrizioni consenzienti, di tessere “vive” e correttamente
pagate … quel disobbediente è un protagonista degno che non rappresenta
la volgarità della politica.
I
convenuti al noto tavolino, tenteranno in ogni modo di isolarlo in una
lista unitaria o concordata, ma se resisterà fino a compilare una lista
per conto proprio, allora scatterà la "solidarietà" tra tutte le altre
liste che si riuniranno contro di lui.
Abbiamo davanti molti capitoli, dunque, molte cose da dire, ma le
informazioni fin qui riportate, dimostrano che il partito politico sia
spesso usato come uno strumento per affinare coercizioni d'ogni tipo,
per controllare il voto dei congressi, il voto pubblico e perfino gli
atteggiamenti delle istituzioni; lì dentro, è raro se non impossibile,
incontrare il rispetto. Per certe abitudini e attività svolte, i partiti
politici trasformano l’attività elettorale del popolo in una sorta di
correità che lega alle colpe pubbliche.
Ti
racconto la politica 39 (parte 1)
(Manifesti e statuti)
“Entra rinculando facendo
finta d’uscire”.
Queste parole sono
diventate, in sintesi, la caratteristica della politica istituzionale
che, ormai da troppo tempo, dichiara di fare una cosa mentre ne consegue
esattamente e perfidamente una opposta.
Nel rapporto tra le
aspettative del popolo e la “politica istituzionale”, è palese che la
politica istituzionale agisca oggi nella direzione opposta a quella
degli interessi e del bene del popolo.
Molti cittadini, nonostante
la reiterata ipocrisia adottata nelle parole dei “manifesti” e degli
“statuti” politici, ritengono ancora che si tratti di documenti
esplicativi e veritieri. Oggi, la scienza della comunicazione permette
di costruire in modo “utile” ogni esteriorità … e certa politica lo sa
molto bene.
Manifesti e statuti politici
si presentano con una tale solennità e ufficialità che riescono a
colpire l’ingenuità popolare; sono documenti che cercano di
rappresentarsi come l’essenza della sincerità, ma non è più tempo di
considerarli tali.
Le semplici constatazioni
che seguono, possono indurre a capire.
In linea di massima, il
manifesto politico riporta i principi ispiratori e il programma del
gruppo o fatto associativo che rappresenta; lo statuto, invece, riporta
i dati dell’atto costitutivo ed elenca le norme fondamentali che ne
disciplinano l’organizzazione e il funzionamento.
Così com'è difficile che un disonesto si dichiari tale, è anche
difficile che in un manifesto o in uno statuto politico, si dichiari di
seguire dei principi eticamente insostenibili; in buona sostanza,
chiunque può scrivere e dire quel che vuole, ma ciò non dimostra
veridicità.
Nell'era delle fabbriche dei finti assiomi come la politica e la
pubblicità, impera l’ipocrisia di chi sa come vendere l’apparenza
all’ingenuità di un popolo che si è fatto lentamente predisporre alla
suggestione.
La pubblicità non è più soltanto ingannevole ma è fortemente disonesta
come la politica.
Certi “inni” alla semplicità e alla
concretezza, sono solo delle indegne istigazioni alla superficialità e
la superficialità politica popolare è ciò su cui fanno leva i politici
impostori per abbindolare l’elettore con un linguaggio apparentemente
semplice e pratico, ma criminale nella sostanza.
Le campagne elettorali danno esempio di come la falsità umana possa
scendere ben oltre il livello stesso della bassezza.
Un
popolo politicamente impreparato non può contrastare la prepotenza di
istituzioni malvagie.
Il giudizio popolare non deve lasciarsi influenzare dall’immediatezza e
dalla suggestione alle quali punta l’apparenza, mentre usa il fascino di
un linguaggio sensibile ma ipocrita.
Il giudizio popolare deve concedersi il tempo della riflessione per
sapersi edificare sulla ragione e non più sulla facciata affascinante
dei disonesti proclami degli impostori.
Il popolo preferisce pensare che le cose si possano conoscere e capire
velocemente, dunque, la “costruita” attendibilità di un documento, può
prendere velocemente il posto della più attendibile esperienza diretta
che però si acquisisce nel tempo.
Il tema affrontato nel presente capitolo, merita ulteriori
considerazioni, pertanto sarà ripreso anche nel prossimo capitolo numero
40.
Ti
racconto la politica 40 (parte 2)
(Manifesti e statuti)
Nei recenti ma anche angosciati decenni della storia italiana, la
politica e di conseguenza le istituzioni si sono adagiate su un lento
processo di degrado culturale, etico e sociale che ha come approvato la
possibilità di gabbare il popolo, usando una spregevole serie di
dichiarazioni che si sono rivelate una catena di menzogne e truffe.
Manifesti, statuti e programmi, per esempio, hanno saputo sfoggiare le
più alte intenzioni ma, nella sostanza, si sono solo preoccupati di
indorare la facciata e le parole della più squallida ipocrisia. Al
genere dei documenti accennati, si sono susseguiti, col ritmo
dell’ossessione, talk show televisivi, interviste, convegni, tavole
rotonde e quant’altro, che hanno dato vita alle più ingannevoli
“passerelle” di esponenti sia politici sia istituzionali, tanto
spudorati da presentare le più assurde bugie come realtà.
È però da rimarcare che tali atteggiamenti ignominiosi siano stati
possibili anche per la grande ingenuità con cui il popolo ha preso a
confondere l’apparenza con la sostanza.
Gli attuali immondi attori della prepotenza politica e istituzionale,
“giocano” con scenari, annunci e parole, perché sanno che grande parte
del popolo italiano ha permesso alla suggestione di prendere il posto
della razionalità e dell’intelligenza.
Ci si strappi pure le vesti addosso, si neghi e rinneghi la realtà e ci
si abbandoni alla ripicca delle querele a raffica ma, nell’Italia di
oggi, i veri nemici del popolo sono i responsabili dell’ordinamento
politico e delle istituzioni dello Stato; insomma, la nostra democrazia
è un imbroglio.
La conoscenza chiede tempo, impegno e voglia di capire; non può basarsi
sul “luccichio” delle parole della politica ipocrita né seguire il folle
sogno di scriteriati ma sedicenti rivoluzionari.
È troppo facile proporre documenti e sermoni pieni delle solite
accattivanti promesse truffa. Non esiste difficoltà a fare brillare
“specchietti per le allodole” come la salvaguardia dell’ambiente, la
tutela del lavoro, la difesa dei deboli, la lotta alla corruzione e alla
gravissima tirannide delle istituzioni dello Stato, la trasparenza negli
appalti, la riduzione della spesa pubblica, l’equità delle pensioni, il
piano energetico, i servizi e chi più ne ha più ne metta … fino al
carcere per i politici impostori che vessano la gente.
Un popolo apatico e anche imbottito di presunzione, superficialità e
frasi fatte, non può contrastare un potere politico infame né evitare di
essere gabbato da chi sa come snocciolare il rosario delle falsità.
La democrazia è maturità politica popolare e non può esistere se non sa
dare importanza alla conoscenza e non rispetta i legami tra la gente.
Fin qui, si è invece voluto e ottenuto un popolo confuso e tanto le
strutture di partito quanto le istituzioni, non hanno avuto scrupoli a
tradire e a presentare progetti ricchi di enfasi ma costantemente
ingannevoli. Nel rapporto tra cittadini e ordinamento politico
scellerato, non deve esistere una così grande ingenuità popolare.
Ti racconto la
politica 41
(Il fine è controllare tutto)
È possibile
rinnovare la politica?
La politica deve
essere rinnovata, dunque, la scelta di poterlo fare o meno, non esiste.
Perché occuparsi di
politica è obbligatorio?
Perché essa si
occupa di noi e sceglie per noi, indipendentemente dal fatto che noi ci
occupiamo o meno di lei.
Da cosa si rileva
che scelga per noi?
La politica, per
esempio, “interviene” sul prezzo di tutto ciò che compriamo, stabilisce
libri e programmi adottati dalla scuola che i nostri figli frequentano,
fissa le condizioni in cui dobbiamo lavorare o farci curare se stiamo
male, decide come possiamo comunicare e a quale costo, come dobbiamo
spostarci e su quali strade e con quali mezzi … crea perfino apprensioni
e stati d’animo che influenzano i nostri comportamenti nella vita
privata. La politica sceglie anche il tipo di libertà in cui viviamo e
sa perfino indurre non pochi cittadini a sentirsi forti e indipendenti,
mentre li condiziona a pensare e parlare proprio come vuole lei.
Incredibile? No.
Molti sedicenti “liberi” mangiano, studiano, lavorano, comunicano,
viaggiano e fanno tante altre cose, proprio come la politica vuole che
le facciano. Ciascuno, però, si sente libero di pensare che non sia così
e magari si vanta di definirsi “apolitico”.
La falsa democrazia
del nostro Paese, non vuole i luoghi, le sedi e gli uffici dei propri
vertici, affollati da troppa gente. La politica è per antonomasia
l’amministrazione del potere e quando propende all’oligarchica, vuole
molti adepti e pochi capi.
Essa adotta i più
velenosi espedienti, per gestire il potere puntando anche al controllo
dei più piccoli particolari.
Non a caso, le cosiddette preferenze
sono state “demolite” nei partiti ancora prima che nelle elezioni
pubbliche. Certo, i partiti sono solo dei fatti associativi e i loro
congressi, a parte i tentacoli che mettono dappertutto, sono una
questione interna, ma la scomparsa delle preferenze o in certi casi, il
loro svuotamento d’importanza, sono ulteriore prova che il controllo di
ogni voto congressuale vuole essere assoluto.
Stiano calmi gli “esperti” di partito,
prima di urlare che, in certi casi, l'opzione delle preferenze sia
ancora vigente. Qui si sta affermando e sarà difficile smentirlo, che il
famoso “tavolino del preordino” (cap.
n.23) preferisce
organizzare dei congressi in cui si votano le liste, piuttosto che i
singoli candidati. Insomma, unitarie, concordate o contrapposte che
siano, le liste sono sempre controllate e fuori della prevista
"obbedienza", non è permessa alcuna forzatura.
Abbiamo dedicato alcuni capitoli alla
descrizione delle varie liste e abbiamo evidenziato come anche le
formalmente dichiarate liste contrapposte, siano spesso delle liste
concordate. Le vere liste contrapposte scattano quando qualcuno ha
saputo acquisire il diritto di sedersi intorno al noto tavolino, ma ne
non accetta le imposizioni.
Ne parleremo, ma molte cose sono già
state dette, dunque, tra pochi capitoli procederemo con la “diretta” del
congresso tipo.
Ti racconto la
politica 42
(Liste contrapposte per punire)
Occorre essere consapevoli che la
politica gestisca la nostra vita e scelga per noi. Piaccia o no, è così,
dunque non ha senso essere impulsivi, né usare i soliti slogan da popolo
impreparato né sentirsi intelligenti e forti perché si è apolitici.
L’apolitico è intelligente come chi
subendo l’attacco di uno squalo, si dichiara “asqualico”.
Il popolo è piegato da una classe
politica dirigente infame; è sbagliato parlare di attacco di “squali”?
Già trattate le liste unitarie (capitolo
n.34),
chiuse e aperte (capitolo
n.36),
concordate (capitolo
n.37)
e contrapposte (capitolo
n.38),
concludiamo qui la descrizione delle varie liste, segnalando il fine
“punitivo” che caratterizza spesso le liste contrapposte. Un congresso
di partito che va a liste contrapposte, viene descritto come espressione
ricca per l’ampia dialettica interna e virtuosa per la capacità di
trovare sintesi nel rispetto della maggioranza; peccato che tali
dichiarazioni siano solo delle ipocrisie destinate a quel pubblico,
purtroppo vasto, incapace di farsi delle opinioni diverse da quelle che
gli vengono emotivamente “suggerite”.
Di là dei comunicati che puntano al
plagio, i congressi a liste contrapposte sono rari ma si attuano quando
il più volte citato tavolino del preordino dei congressi, non riesce a
raggiungere un accordo. Insomma, si va a liste contrapposte quando
qualcuno ha raggiunto la forza di non poter essere escluso dal
“tavolino”, ma non si assoggetta ai “preconfezionamenti”.
In presenza di un indipendente o
“disobbediente”, il congresso andrà a liste contrapposte per isolarlo e
punirlo; la spregevole tecnica che si usa è molto “matematica”, ma
vediamo di capire come funziona.
Le liste presentate come contrapposte
ma di fatto concordate, sono due, talvolta tre. In linea di massima, la
prima elegge il 51% dei dirigenti, la seconda il 32% e la terza il 17%.
Invece, se il disobbediente non accetta
i “giochi” del tavolino e presenta la sua lista, allora il partito si
coalizzerà contro di lui.
Le liste contrapposte stanno a
significare che il partito organizza più liste che si contrappongono a
quella di chi non accetta i “preconfezionamenti” del tavolino; insomma,
forma tante liste quante ne servono per procurare il massimo danno alla
lista disobbediente.
I numeri variano da partito a partito,
ma il succo è sempre quello. Su quattro liste, per esempio, la prima
piazza il 50% dei dirigenti del partito, la seconda il 30%, la terza il
12% e la quarta l'8%; calcolati con buona approssimazione i voti della
lista “disobbediente” (sapete già come), si fa in modo che due liste le
arrivino davanti e una, con pochissimi voti, dietro. Arrivando terza, la
lista “disobbediente” vede ridotta la propria percentuale per la
presenza della quarta lista.
Demordere è però da ansiosi; i partiti
prepotenti sono in equilibrio precario e un attacco, anche minoritario,
genera forti crisi.
La politica malvagia deve essere
combattuta, ma occorre sapere come.
Ti
racconto la politica 43
(Il
disobbediente)
Il
“disobbediente” anticipato nel
capitolo n.42,
rappresenta un cittadino convinto d’impegnarsi in politica secondo
correttezza, dunque, diverso dagli “yes man” citati nei capitoli
n.26
e
n.27
e
diverso anche dagli odierni chiassosi e sedicenti rivoluzionari.
In
democrazia, i numeri e le idee sono determinanti, ma occorre
distinguere. Il potere politico italiano è ipocrita e disonesto, però si
chiama “democrazia” e abusa di tale importante concetto, permettendosi
le prepotenze che vuole. Nelle sua rivalsa politica, il popolo deve
invece ossequiare la regola democratica e se non lo fa, ovvero se
commette violenza, oltraggio, vilipendio alle istituzioni o quant’altro,
allora sarà fermato anche brutalmente, arrestato e bloccato con modi
perfino criminali che, alla fine, risulteranno legittimi. Nella sintesi,
il popolo è vittima di un apparato pubblico che si fa le leggi che vuole
e se è il caso, le infrange come vuole; al popolo è invece dato di
opporsi alla repressione che subisce, solo se rispetta la regola
democratica.
Le
regole sono elucubrate da un apparato istituzionale che sa “ignorare”
perfino la presenza di delitti mostruosi ma che, un esempio tra tanti, è
implacabile con chi non versa i denari oggetto della sua estorsione.
Un
apparato istituzionale falsamente democratico, non ha paura di un popolo
disordinato e chiassoso, ma di un popolo che sa organizzarsi, pertanto,
usa la sottile arte del plagio per creare quell’esercito di sprovveduti
a cui mettere in bocca le mille frasi fatte che danno l’illusione di
possedere una forte personalità, ma che di fatto omologano la più
massificata libertà d’opinione.
Un popolo governato da
politici infami, non è privo “peccati”; fa spesso dell’inutile “rumore”
senza sapersi organizzare in modo indipendente dall’emotività e ha
talvolta vizi e colpe gravi come quelle dei suoi politici.
Non si può pensare che non
esistano strategie in grado di dare efficacia alla rivalsa politica
popolare, ma occorre capire che non possono nascere ed esistere
all’insegna dell’incompetenza, dell’emotività e della presuntuosa
improvvisazione.
Un contenuto gruppo di
cittadini organizzati, per esempio, può eleggere dei dirigenti
“svincolati”, presentando una lista contrapposta in un partito; nella
nostra storia recente, c’è chi ha dimostrato, purtroppo nel male, che un
manipolo di uomini può cambiare i connotati di un congresso, eleggere il
“capo” del partito e nominare perfino il presidente del consiglio.
Ancora per esempio, si
organizza una squadra popolare fuori della mischia e si “affianca” un
soggetto politico esistente, per rinforzarlo e tenerlo sulla retta via.
Infine, previo numeri
maggiori, si può dare genesi a un nuovo partito che però sappia come non
farsi “espropriare”, per rimanere proprietà dei cittadini.
I
meccanismi descritti in questo corso, spiegano che i percorsi popolari
utili esistono, ma fuori dell’enfasi e del chiasso.
Caro popolo, tronca ogni fissazione e trova l’umiltà di capire come si
fa squadra, diversamente, sarai abusato come un pedofilo fa con i
bambini.
Ti
racconto la politica 44
(Utili o inutili i partiti?)
Una domanda, quella del
titolo, che spinge al moto la lingua di impulsivi, sprovveduti,
“sapientoni”, sedicenti rivoluzionari, quaquaraquà e quant’altro.
Il partito politico è un
mezzo; esso non è condannabile in quanto tale, ma per l’uso che se ne
fa.
Poniamo di noleggiare
un’automobile e di utilizzarla per andare da qualche parte provvedendo
al carburante e a ciò che serve, dunque, di tornare indietro,
riconsegnarla al noleggiatore, pagare il dovuto e concludere
l’operazione.
Poniamo che dopo di noi,
delle altre persone noleggino la stessa automobile e che questa volta la
usino per fare una rapina in una banca; secondo voi, la colpa dell’uso
che se n’è fatto in questo secondo caso, è dell’automobile?
La nostra democrazia,
certamente amministrata in modo infame, è del tipo parlamentare
rappresentativo e il partito politico è lo strumento che serve per
rappresentare l’istanza del popolo nelle istituzioni.
Il partito politico è uno
strumento necessario e se, mossi da preconcetto, ne cambiassimo il nome
e lo chiamassimo alipallas, elifrottolo, paduculo o in qualche altro
modo, la sostanza non cambierebbe e rimarrebbe il mezzo per
rappresentare il popolo nelle istituzioni parlamentari; resta ovvio che
se gli uomini che lo dirigono sono degli infami, allora il mezzo,
partito politico o comunque si chiami, sarà infame.
Noi, noi popolo, ci facciamo
derubare di tutto e i partiti politici sono la testimonianza della
nostra incapacità di fare gruppo per difenderci dai soprusi della
politica satanica che ci opprime.
Politicamente impulsivi come
siamo, non è insensato pensare che se oggi avessimo la democrazia
diretta, saremmo ancora più vittime dell’ingordigia di chi ci governa;
del resto, continuiamo a credere nel privilegio popolare dell’istituto
del referendum, nonostante sia proprio il potere politico che, da
decenni, mette sulla bocca del popolo i temi che vuole, col fine di
abrogare le leggi che intende modificare a suo vantaggio e riproporre
con un nuovo nome … anche questa condanna deriva dalle nostre dannate
fissazioni.
Una democrazia, sebbene
falsa, non può fare a meno dei partiti, dunque, un popolo avveduto non
affermerebbe, ad ogni piè sospinto, che i partiti siano già troppi, ma
capirebbe la loro la funzione popolare e non se li farebbe “espropriare”
dalla masnada di filibustieri che, meno imbottiti di stupidi slogan,
sanno che il partito politico è l’anello che collega al potere.
Il partito politico
“modella” le istituzioni; occorrerebbe smetterla di farneticare, dunque
realizzare un soggetto politico popolare in grado d’essere efficace e di
non farsi espropriare da quanti, meglio del popolo impulsivo, sanno
cogliere le potenzialità del mezzo, purtroppo nel male.
Non esiste baccano,
istantaneità, impulsività o fissazione che possano condurre a una
politica popolare efficace e avveduta. Questo corso, interamente
dedicato a sensibilizzare sulla vitale utilità della conoscenza della
politica e dei suoi meccanismi, afferma che la popolare pretesa di
semplicità, non rende semplici le cose.
Ti
racconto la politica 45
(Plagio, vessazione e apatia)
La politica progetta la
libertà dei popoli e gli ordinamenti degli Stati progettano la politica.
Alla reclusione fisica, che
non è l’unica forma di restrizione della libertà, si aggiungono molti
soprusi che la modernità evolve in modo “raffinato”.
È di moda la democrazia, ma
essa si presta all’ambiguità e certi sistemi politici pongono detta
nobile parola in cima alla terminologia del plagio per sfruttare il
popolo; il regime politico italiano è ignobilmente tra essi e i
cittadini, nonostante
l’incombenza di una letale spada di Damocle, sono ogni giorno più
incapaci di opporsi e difendersi.
La democrazia non può che
promuoversi e confermarsi attraverso precisi meccanismi, ma il popolo
bolla tutto come complesso e non percorre più l’impegno della
conoscenza.
Siamo sempre d’accordo nel
riconoscere che l’esperienza e la competenza siano la base di ogni
impegno in qualsiasi attività umana ma, stranamente, riteniamo spesso
che la politica sia praticabile in modo emotivo e non razionalmente.
Assumendo come verità, la
verità che più ci eccita e ci piace, noi rinneghiamo l’intelligenza.
La democrazia, già nel suo
significato etimologico, prevede il popolo quale massimo protagonista,
ma se il popolo se ne lava le mani o si mette a presumere delle
assurdità, allora la democrazia si trasforma in un regime ambiguo che
punta a sottomettere lo stesso popolo e a inculcargli convinzioni,
linguaggi, logiche e atteggiamenti che lo rendono politicamente perdente
e ininfluente.
Nella principio, per
esempio, dell’unione che faccia la forza, il concetto di moltitudine
prevale sul concetto di preparazione … ma una massa “superficiale” non
può essere potente neppure nella ribellione, dunque, trasfigura la forza
in stupida veemenza.
L’idea più inutile della
politica popolare di oggi, è supporre che il “rumore” renda forti.
Si è creata una logica
popolare patologicamente incapace di suggerire azioni di rivalsa
politica efficaci, ma anche una mentalità che dissacra tutto, fuorché
l’idolatria per quella logica insensata.
Una democrazia falsa e
deviata come quella italiana, lascia scorrazzare chiunque dove vuole, ma
crea dei girovaghi che cedono all’apatia e altri che s’illudono di
trovare spazio nell’arroganza della presunzione.
Da una parte ci sono le
nostre istituzioni ingorde e ormai nemiche del popolo, mentre dall’altra
ci si sfoga
nell’orribile trappola dell’inconcludenza.
Sembriamo in cammino verso il brutto futuro descritto nei libri
dell’Apocalisse.
In quest’assurda contingenza, qualsiasi cosa può essere infangata,
denigrata e offesa, perché ci mostriamo incapaci di riorganizzare anche
le più elementari forme di reciproco rispetto.
Nei capitoli
n.43
e
n.44,
abbiamo affermato che gestire un partito senza farselo “espropriare”,
sia una delle possibilità di rivalsa popolare, inoltre, in più occasioni
precedenti del corso, abbiamo descritto come sia possibile non farsi
gabbare nei congressi; conoscendo i meccanismi descritti, il popolo
potrebbe essere protagonista e non perdere ciò che gli appartiene.
La nostra preannunciata “ripresa in diretta” di un congresso tipo,
inizierà tra pochissimi capitoli.
Ti racconto
la politica 46
(Vecchi partiti nuovi)
Di qualsiasi tema, settore,
attività, impegno o quant’altro si tratti, occorre avere almeno un
pizzico di oggettiva conoscenza prima di mettersi a “volare” in
polemiche, se non addirittura in fantasie strategiche.
Nulla esula da questo
presupposto e meno che meno, la politica. Le libertà di pensiero, parola
e opinione non costituiscono automatica competenza e chiunque pensi di
addentrarsi in discussioni varie, basandosi sulla verità che più gli
piace e non su un’informazione oggettiva, crea danno a se stesso e alla
società che vive ormai nella confusione e nell’improvvisazione.
I tempi sono diventati
nevrotici ma non ci si può illudere di fare presto, cadendo nel tranello
della superficialità che c’imbottisce di frasi fatte e preconcetti.
Troppe discussioni appaiono
improntate sul presuntuoso e pretestuoso divagare dell’incompetenza; in
tema di politica, questo corso è impegnato a dare informazioni corrette
e autentiche.
Non può esistere indugio
nell’affermare che circa la politica popolare, i “vizi” sopra accennati,
siano diventati infestanti.
Come si è più volte
ripetuto, il partito politico è lo strumento democratico di accesso alla
gestione delle istituzioni, dunque, alla determinazione dello stile di
vita e al livello di libertà del popolo.
I signori “so tutto io” non
danno mai prova di capacità strategica e i nuovi partiti nascono già
vecchi, perché sono soprattutto iniziativa di navigati filibustieri che
cercano di rimanere abbarbicati a facili “rimunerazioni” istituzionali,
dirette o derivate.
In democrazia, lo strumento
del partito politico ha opportunità determinanti, ma è stato furbamente
reso inviso al popolo; in tale modo, è rimasto esclusiva di lestofanti
che, al contrario dei signori “so tutto io”, sanno come adoperarlo.
Oggi, la
prima causa della nascita di partiti nuovi è il tentativo di mantenere
vizi e privilegi ai quali certi individui hanno avuto disonorevolmente
accesso. In ogni area, progressista o moderata che sia, esiste sempre un
manipolo di sporchi "eletti" pronti a riunirsi all’insegna del partito
nuovo, per indorarsi ingannevolmente in nome della "giusta causa".
D’altro
canto, tutto ciò che il popolo replica a detti impostori, sono le
inutili incitazioni di vanagloriosi pieni di sé che inventano partiti e
gruppi, nella convinzione d’essere i messia di turno o quanto meno degli
illuminati rivoluzionari.
Tra
esperti traditori da una parte e palloni gonfiati dall’altra, l’Italia
non sa ancora evidenziare alcuna capacità politica popolare di fare
squadra.
Si
scambia l'ignoranza urlata, per onestà e coraggio ed è facile
raccogliere consensi, abbaiando sciocchezze dal pulpito di un partito
nuovo.
In questo
modo, l’azione dei partiti nuovi offende e rovina la democrazia; i
partiti dei parassiti che si riciclano, creano prima dei grossi danni e
poi muoiono, invece, quelli popolari creati dai signori “so tutto io”,
abortiscono ancora prima di nascere.
Un partito nuovo e serio
nasce in altro modo … magari da una forte unione popolare di cittadini
umili, senza vanaglorie e aperti alla conoscenza.
Ti racconto la
politica 47
(Mille tra i peggiori)
Il
capitolo numero cinquanta,
come sappiamo, aprirà il “sipario” della simulazione di un congresso
tipo. Vedremo, in una sorta di diretta, l’applicazione dei mille trucchi
e veleni fin qui riportatiti nel corso che, tra l’altro, è orgoglioso
d’averli descritti per permettere al lettore di capire ciò che si
nasconde dietro le quinte, dunque, di non fantasticare tra emotive
supposizioni, com’è un po’ tipico di troppi italiani.
In attesa dell’apertura del
sipario, ci prendiamo la libertà di qualche riflessione. La messinscena
dei congressi elegge i dirigenti di partito (capitolo
n.9) che, a loro volta, nominano o fanno eleggere gli “abitanti”
delle istituzioni, parlamentari comprese. È saggio non fare di tutte
l’erbe un fascio ma, cari
deputati e senatori, dunque, presidenti del consiglio, ministri,
sottosegretari eccetera, pur considerando la distinzione tra chi
costringe e chi è “costretto consenziente” o semplicemente inefficace,
voi siete mille tra gli italiani peggiori. Chi avrebbe mai detto che la
vostra cerchia si sarebbe fatta detestare tanto? Non basterebbero i
fogli della Divina Commedia per descrivervi con dovizia di particolari,
ma ci accontenteremo di una sintesi; i mille garibaldini si sono dati da
fare per tirare insieme l’Italia e voi mille la distruggete.
Vi siete riempiti
d’autorità ma siete privi d’autorevolezza e vi circondate di un intorno
che vi assomiglia.
Ribadiamo che non si può
fare di tutte l’erbe un fascio, dunque, non siete tutti uguali, ma è
inconfutabile che la vostra squadra produca l’infelicità del popolo
italiano.
Alle vostre ampollose
parole fa seguito ogni insufficienza e nonostante certe sceneggiate,
apparite sempre attenti a non valicare mai quel confine che vi mantiene
all’interno del parassitismo istituzionale.
Nel caso, più volte
dichiarato ma mai attuato, di un membro della squadra che voglia
cambiare e migliorare le cose, ecco che minacce e coercizioni piegano
ogni poveretto ai vostri usi.
Il popolo sa del vostro
parassitismo e sa pure che, col voto di scambio, portate alle urne il
capillare “acquisto” di molti opinabili cittadini; ma la matematica è
matematica e voi siete in un vicolo cieco che esaurisce la possibilità
di reperire altri quattrini per ulteriori “acquisti”; è per questo che
puntate a leggi elettorali e referendum che assicurino maggiore potere
pur in presenta di meno voti?
Blaterando sul suo bene,
avete tolto ogni rispetto al popolo che si è stancato e pensa di voi
ogni male. Siete retorici e parlate di una società che non esiste.
Affrontate ogni tema con ipocrisia e nella vostra mente, nulla è più
importante del rimanere abbarbicati ai vostri delinquenziali privilegi
che avete trasformato in legge. Prendere in giro la società con le
vostre rappresentazioni del reale, ma la società non vi sopporta più.
Così come siete, siete inutili, anzi dannosi … arriverà il tempo che vi
spazzerà via, pur se rimarrete ancora un brutto peso per qualche lungo
anno.
Ti
racconto la politica 48
(Politici deviati)
In 48
brevi capitoli, abbiamo raccontato alcuni vizi dei partiti che,
nonostante i nostri appelli, nessuno ha smentito. Ce ne sono ancora e
noi restiamo qui per raccontare; si tratta di usi prepotenti e indegni,
mai contemplati negli statuti o regolamenti.
Oggi, il
partito politico è utilizzato in modo assai diverso da come era stato
inteso dal costituente che aveva creato uno strumento per rappresentare
l’istanza popolare nelle istituzioni, così interpretando il desiderio
dei cittadini italiani che credevano nella nascita della democrazia. Gli
anni sono passati e pochi di quei galantuomini costituenti sono rimasti
in vita, ma si rivolteranno nella tomba nel vedere che scempio si è
fatto della democrazia e a quale uso criminale sono stati destinati i
partiti politici che, ripetiamo per l’ennesima volta, sono l’unico
strumento che il popolo ha a disposizione per fare valere le proprie
ragioni, ma del cui uso e fine ha capito davvero molto poco. Il partito
politico è il vero strumento della democrazia rappresentativa, ma mentre
la chiassosa superficialità del popolo lo annovera tra le cose inutili e
obsolete, c’è invece chi ne ha capito le potenzialità e lo usa per
crearsi poteri e privilegi che tutto sono tranne che democrazia.
Dai
cosiddetti “nuovi ordini mondiali” alle più arcane intese che
affascinano la fantasia politica popolare ma, più realisticamente, alle
organizzazioni malandrine del signoraggio a quelle finanziare,
economiche, criminali e quant’altro, una cosa è certa: per accedere alle
istituzioni e riceverne l’attenzione e i favori, tutti, proprio tutti
devono intendersi con i partiti politici. Del resto, se così non fosse,
non si spiegherebbe l’enorme “energia” impiegata per manipolare e
controllare fino all’ultima minuzia i congressi dei partiti; questo
corso ha descritto in più capitoli i disgustosi meccanismi di controllo
e dall’imminente capitolo 50, inizierà la simulazione della diretta di
un congresso tipo.
Il
principio dello strumento rappresentativo del partito funziona ed è
valido, ma il popolo si è dedicato alle più stupide esibizioni
politiche, lasciando il campo aperto ad ogni organizzazione che ha
invece usato i partiti per sfruttarlo e opprimerlo.
L’attività dirigente dei partiti nasce e prende l’imprimatur dai
congressi che, popolo assente, sono lasciati liberi di compiere i loro
infami trucchi per condurre le cose come vogliono fino ad attrarre anche
individui deviati, cocainomani, lussuriosi, pedofili, ingordi, superbi,
avari, disonesti e immondi.La
società popolare ingoia ogni giorno gli amari bocconi di questa realtà
che, troppo spesso, s’illude di combattere col l’estemporaneità e col
chiasso.Tornando
a noi, i “veleni” da descrivere sono ancora tanti; leggere aiuterà a
conoscere l’uso distorto che si fa dei partiti e dei loro congressi che
controllano ogni dettaglio (capitoli
n.23
e
n.41).Nei
capitoli successivi, percorreremo l'esempio di un tipico congresso
tratto dal vero e faremo una sorta di cronaca in diretta che
inevitabilmente incontrerà abusi, intimidazioni e brogli.
Ti
racconto la politica 49
(Per chi vuole capire)
Un popolo fa
pace con l’intelligenza, quando la serenità dei liberi batte
l’agitazione dei fissati.
Sanno come si fa; loro, cioè
gli indegni che assurgono al potere per sfruttare il popolo, sanno bene
quale iter percorrere per trasformare in azioni legittime i loro ingordi
disegni. La via per accedere agli strumenti del potere politico esiste,
solo che i malandrini la conoscono fino nei minimi particolari, mentre
il popolo, almeno certo popolo, non sa neppure cercarla.
La democrazia, vera o falsa
che sia, deve tenere in piedi l’istituto del voto e fuori del riunirsi
sensatamente in squadra, non esiste alcuna possibilità popolare di
vincere, neppure la rivoluzione.
Nella massa popolare vi sono
due comparti deleteri; da una parte c’è una certa quantità di cittadini
vili o indeboliti che il potere malandrino corrompe e trasforma in
“servitori”; dall’altra invece, tanto spinta dal plagio quanto
dall’impulsività, c’è una sorta di “multi massa” di pessimisti, apatici,
apolitici, solitari, illusi, permalosi, palloni gonfiati e idioti
rivoluzionari che portano il popolo a dividersi nei mille rivoli
dell’impotenza politica.
Un potere ingordo che si
autodefinisce democratico, vuole ridurre al minimo il peso del voto
popolare, dunque, “controlla” i congressi, i referendum, le stesse
elezioni e delibera leggi elettorali e norme tali da rendere decisivi i
voti di chi ha raggiunto e corrotto; per contro, “aiuta” gli altri
cittadini, quelli della citata multi massa, a sparpagliarsi al seguito
di mille sedicenti leader pieni di megalomani fissazioni e promotori di
una giungla di acronimi che portano il popolo alla totale incapacità di
farsi rispettare.
Questo corso vuole fornire
la conoscenza che una squadra popolare deve possedere per tenere testa
al perfido nemico, nel vero campo di battaglia in cui può affrontarlo.
I parassiti della politica,
usano i partiti per darsi potere con la giustificazione democratica dei
numeri, dunque, è nei loro stessi ambiti d’esistenza che vanno colpiti.
Il popolo però non l’ha ancora capito e i “colpi di mano” che portano al
potere, Presidenza del Consiglio compresa, sono intanto esclusiva delle
peggiori squadre di malandrini. Eppure, i numeri del potere criminale
sono bassi e un popolo che capisce come organizzarsi, può averne
facilmente ragione.
In un
partito di potere, si può intervenire anche per fini rispettosi e
onesti, ma è necessario sapere come. In questo Paese ci sono invece
troppi vanitosi che adorano essere presidenti di qualcosa e più
rappresentano il nulla e più si riempiono la bocca per dire "il mio
partito", nel senso del partito fatto da me; in ogni angolo, c'è un
vanitoso impreparato che fonda un partito nuovo che non andrà da nessuna
parte.
Quanti
hanno inteso, trovano in questo corso la conoscenza per competere e
battere la politica dei vessatori. Nel prossimo capitolo 50, alzeremo il
sipario della simulazione del congresso … chi lo vince, ha il potere.
Ti
racconto la politica 50
(Cronaca di un congresso)
parte A
Non conoscendo i trucchi dei
bari, ti siederesti al loro tavolo di poker per giocare importanti cifre
di denaro? Normalmente non dovresti sederti, ma se sei uno di quelli che
si credono forti anche nelle cose che non sanno, allora ti siederai; in
tal caso, saresti un soggetto che procura la propria rovina e quella di
altri. È saggio chi pensa che la megalomania, la presunzione e
l’emotività non debbano prendere il posto della riflessione e
dell’intelligenza … almeno per non perdersi nei vicoli ciechi
dell’inconcludenza e non indurre nessuno a farlo.
Nella fattispecie, se non
sei mai stato direttamente e personalmente dentro il “palazzo” del
potere politico, è davvero difficile che di quel palazzo tu sappia
qualcosa.
Ne sei diretto bersaglio,
dunque ti lamenti giustamente delle angherie con le quali il malvagio
potere politico nostrano ti opprime, cerca però di non fare parte di
quel popolo che, fuori delle inutili fantasie, non sa mai suggerire un
modo vero ed efficace per procurarsi il potere necessario a difendersi.
I “bari” si possono battere, ma non affidandosi a banali strategie.
Ora, andiamo al tema
portante del capitolo e avviciniamoci al palcoscenico del congresso per
accendere le “telecamere” della diretta. Teniamo sempre presente che
i
congressi eleggono, non del tutto democraticamente, i dirigenti dei
partiti e che i partiti sono il collegamento di qualunque potere con le
istituzioni politiche e amministrative. Gli interessi, malavitosi o
regolari, economici, culturali, corporativi, assistenziali, industriali,
finanziari, bancari, visibili o occulti che siano, passano dai dirigenti
di partito che, come traghettatori, li smistano verso le "attenzioni"
del potere e delle istituzioni. I congressi dei partiti sono genesi
degli accennati “smistamenti”. Ciascuno la pensi come libertà d’opinione
crede, ma capisca che l’Italia popolare non avrà mai ragione finché
seguirà l’urlo di esuberanti “profeti” che non sanno nulla.
Letti i 49
capitoli che precedono, possiamo assistere alla diretta congressuale e
capire quanto accade, formandoci una conoscenza oggettiva non storpiata
da emotive fantasticherie.
Descriveremo ancora molti "veleni", ma adesso accendiamo le
telecamere.
Negli scopi, i congressi sono tutti uguali, dunque,
riprenderne uno è come riprenderli tutti.
E’
venerdì, sono le dieci di sera e i registi della messinscena
congressuale si occupano degli ultimi ritocchi; arrivano le undici, poi
mezzanotte e poi chissà; domani o forse oggi, il partito è a congresso e
ogni cosa deve essere al proprio posto.
Siamo
alla cronaca di una delle danze delle miserie umane, una danza che i
partiti politici conoscono e che i semplici cittadini ignorano del
tutto. Saranno eletti, si fa sempre per dire, i nuovi dirigenti del
partito in una farsa di democrazia estetica che manterrà il congresso
comunque a galla, anche nel mare dell’infamità.
Quanti
seggi, quali scrutatori? Chi presiede l’assise, quali i primi oratori,
chi sarà al banco della verifica poteri? Le telecamere sono accese.
Ti
racconto la politica 51
(Cronaca di un congresso)
parte B
I congressi si svolgono in base ai livelli
territoriali, dunque, possono essere locali, cittadini, provinciali,
regionali e nazionali. Come sappiamo dai precedenti capitoli, si
celebrano per eleggere i dirigenti di partito che sono previsti nei vari
livelli. Fino alla dimensione provinciale, ogni iscritto che ne ha
diritto esprime un voto, invece, nella dimensione regionale come nella
nazionale, il voto avviene tramite delega, cioè tramite delegati che
portano il proprio voto e quello di altri. Viene da sé che nei congressi
provinciali, oltre ai dirigenti, si eleggono i delegati al congresso
regionale che a sua volta elegge i delegati al congresso nazionale.
Pur variando per la dimensione territoriale alla
quale si riferiscono, i congressi si assomigliano e adoperano tutti gli
stratagemmi che sono stati descritti nei passi di questo “racconto”.
In
genere, i congressi si svolgono in un luogo unico ma, specie nel caso di
territori dalla forma allungata, è possibile che si celebrino in
contemporanea, in più luoghi della provincia. Anche per capire come si
eleggono i delegati ai congressi superiori, la nostra cronaca si
riferisce a un congresso provinciale che ha fissato il primo seggio e
l'assemblea nel capoluogo, più tre seggi in tre paesi diversi.
I
congressi di maggiore dimensione possono durare un paio di giorni e in
genere hanno inizio il sabato mattina non prestissimo; i congressi
minori, si risolvono in una domenica.
Il luogo
è un teatro, un cinema, una sala d’hotel o un qualsiasi spazio in grado
di ospitare il numero previsto di partecipanti, gli interventi degli
oratori e lo svolgimento delle varie fasi tecniche.
I congressi sono una sorta
di tallone d’Achille dei partiti ma, come le elezioni pubbliche, devono
essere celebrati perché non si può sopprimere la “parvenza” di
democrazia, dunque, si manipolano all’occorrenza, fino a contraddire
perfino i più basilari principi morali. Quanto appena espresso, non
deriva da una sorta di fanatica sfiducia, ma da fatti e comportamenti
che hanno fatto desumere con chiarezza che i partiti, come le
istituzioni, farebbero volentieri a meno dell’istituto del voto.
Ogni
congresso, dunque anche quello sul quale abbiamo puntato le nostre
telecamere, è stato programmato e stabilito fino al più piccolo
particolare, durante le sedute del tavolino del preordino che abbiamo
descritto nel
capitolo n.23
e richiamato in altre occasioni.
Capi e
pacchettari, che sono in genere tra i primi ad arrivare, hanno fissato a
tavolino, per i fatti loro, i presidenti di seggio, ma c'è pure il
“disobbediente” (capitolo
n.43)
che ha costretto a celebrare il congresso a liste realmente contrapposte
e che ha diritto ai suoi scrutatori o rappresentanti di lista.
All’interno della location congressuale, abbastanza prossima
all’ingresso, è già in funzione il cosiddetto “banco della verifica
poteri” che dovrà riconoscere non tanto i semplici astanti, quanto chi
ha altre mansioni e chi voterà.
Il
congresso è iniziato.
Ti racconto la politica 52
(Cronaca di un congresso) parte C
È sabato
mattina e l'inizio del congresso è fissato nella sala “Pinco Pallino”
del centro convegni “Tal Dei Tali”, per le ore nove in prima
convocazione e per le dieci, in seconda.
Quello
della prima e della seconda convocazione è un uso antico che serve a
“schivare” i quorum di presenza all’apertura del congresso, per la sua
validità. In sostanza, all’apertura delle ore nove, la validità scatta in presenza del
quorum (in genere il 51%) degli aventi diritto, mentre alle ore dieci diventa
legittima, ovvero a norma di statuto, ogni percentuale; di solito, prima delle
ore dieci, c’è poca gente.
Cos'è il banco della verifica poteri?
È un semplice tavolo attiguo alla sala
d’ingresso del congresso, in cui sono presenti degli addetti che "verificano" le
mansioni di chi arriva per partecipare. Documenti alla mano, si controlla se sei
in lista per gli interventi oratori, se sei giornalista, se sei scrutatore o
quant’altro, ma il controllo più importante è se hai il diritto di voto, si
controlla insomma la tua tessera d’iscrizione. L’importante è che il nome
scritto sulla tessera esibita, risulti tra gli aventi diritto, poi, se si tratta
della tessera di una lapide del cimitero o di un abbonato preso alla rinfusa
dagli elenchi telefonici o di un cognome scritto sulla pulsantiera dei
campanelli di un condominio, come spiegato nei
capitoli n.5,
n.6 e
n.18, si va dall’addetto che non fa troppe domande.
Le nostre telecamere stanno riprendendo il raro caso di un congresso a liste
davvero contrapposte (capitolo
n. 38) e se durante i movimenti di partecipazione, si ha la sensazione
che i sostenitori della lista del disobbediente superino il previsto o
l’accettabile, anche di poco, ecco che un po’ per volta si presenta al banco
della verifica poteri una manciata di "morti o abbonati telefonici", con tanto
di tessera. In questo caso, basta la tessera, la sola tessera; c’è fretta, c’è
marasma, si è in pieno svolgimento del congresso e magari nella sua fase
fondamentale, cioè le operazioni di voto, dunque, occorre fare presto e per
determinati addetti al banco della verifica poteri, l’esibizione della tessera
“dimostra” tanto l’iscrizione quanto l’identità. Del resto, il congresso è un
fatto privato e l’eventuale presenza di agenti di Polizia, è addetta alle
questioni d’ordine o di sicurezza e non a quelle intime del congresso.
Al giorno d’oggi, come abbiamo appreso in più capitoli del nostro corso, i
numeri di partecipazione alla vita dei partiti politici sono esigui, pertanto
ogni cosa è programmata perché le descritte tessere false possano votare. La
verifica poteri controllerà invece a pelo e contropelo, i tesserati del
disobbediente.
I lavori prendono inizio, ma ecco che nel tal paese accade
qualcosa. Due signore sono incredule e offese; erano scrutatrici fino al giorno
precedente, ma all’apertura del congresso non lo sono più. Cos'è successo?
Ti racconto la politica
53
(Cronaca di un congresso) parte D
In verità è
un tipo di congresso di partito che si celebra più raramente degli
altri, ma abbiamo scelto di “accendere” le telecamere su un congresso a
liste davvero contrapposte, perché quelli a lista unica o a liste
concordate, non hanno praticamente nulla che possa interessare la
cronaca, se non l’antidemocrazia per antonomasia che esercita il
controllo e la totale programmazione di ogni particolare o fatto che
accade nell’ambito delle varie fasi e operazioni.
Il
congresso a lista unitaria, infatti, aspetta la seconda convocazione
(quella che convalida senza necessità del 51% degli aventi diritto), poi
svolge le varie formalità, gli interventi e quant’altro, dunque, vota la
lista per alzata di mano all'ovvia unanimità dei presenti (capitolo
34) nel momento assembleare che, guarda caso, sono generalmente
poco più di pochi.
Da parte
sua, il citato congresso a liste concordate è quasi la stessa cosa; è
vero che le liste dei candidati verranno votate al seggio e non per
alzata di mano in assemblea, ma sappiamo già (capitolo
37) che, come si evince dalla stessa definizione, sono stati
preventivamente concordati tanto i candidati, quanto i voti, quanto gli
eletti … del resto, se così non fosse, non si chiamerebbero liste
concordate.
Sembra che
la democrazia sia solo una facciata; sembra cioè che non abbia alcuna
importanza come si vota né come si organizzano i raggiri in nome del
voto, conta però che le operazioni di voto abbiano luogo e che siano
inconfutabilmente approvate.
In sintesi,
c’è la prima convocazione, poi la seconda, dunque l’avvio del congresso;
i portatori di incarichi o mansioni, devono prima passare dalla verifica
poteri, mentre gli altri entrano direttamente nella sala assembleare
dove stanno per iniziare gli interventi oratori … proprio quella sala
volutamente scelta perché almeno qualcuno non riesca a trovare posto a
sedere. Una sala gremita, indipendentemente dal numero dei posti, è una
delle prime notizie per la stampa.
Nei
prossimi capitoli vedremo anche con quale criterio si assegnano i posti
a sedere in sala e come si sceglie la sequenza degli interventi oratori.
Sappiamo già che, finito il congresso a lista unitaria, molti
giornalisti riempiranno le pagine della "compattezza e unanimità" del
partito celebrante, invece, nel caso delle liste concordate, quegli
stessi giornalisti parleranno della grande “dialettica democratica” che
caratterizza il partito.
Non
dimentichiamo che i congressi "eleggono" i dirigenti di partito che, a
loro volta, determinano la vita e le scelte del partito stesso, ma anche
delle istituzioni e del sottobosco (capitoli
n.1 e
n.2).
Dalla
corruzione, agli accordi con organizzazioni d’ogni tipo, malavitose
comprese, l'oltraggio al popolo e alla democrazia nasce proprio nei
congressi.
A
proposito, aperto il congresso e giunte alla verifica poteri, le due
signore (capitolo
precedente) che erano scrutatrici, non trovano più il
riconoscimento del loro ruolo; qualcuno ha cambiato i verbali … vedremo
come.
Ti racconto la politica
54
(Cronaca di un congresso) parte E
Col
capitolo n.50 è iniziata una sorta di ripresa diretta di un
congresso tipo; è opportuno ricordare che nella “politica dei politici”,
dunque anche in un congresso, il senso di correttezza non determina
alcuna priorità.
L’osservazione ingenua e talvolta supponente di certi fatti, non aiuta a
capire i trucchi e veleni di cui essi sono intrisi, anche se si
sospettano.
Quanto
sopra implica che ogni tanto, perfino nel pieno svolgimento di un
capitolo riferito a un tema specifico, sia opportuno interporre qualche
pausa di riflessione e considerazione.
Relativo a elezioni pubbliche, congressuale o referendario che sia, il
voto popolare è ormai svuotato di gran parte del suo significato e del
suo potere, insomma, si tende a trasformarlo in farsa … sarebbe
opportuno che il popolo se ne rendesse conto.
Siamo
portatori ancestrali di un certo bigottismo o perbenismo che ci trascina
a non volere ammettere certe evidenze, ma siamo anche diffusamente
d’accordo sul fatto che la nostra democrazia sia una farsa e che una
tale democrazia non può esistere né perpetrarsi se non trasforma in
farsa anche il voto.
Nella
mentalità popolare si è radicata la facile convinzione che se si vota,
allora si è in democrazia ma, come talvolta accade, si tratta di un
teorema popolare banalmente sbagliato. Il cinico potere politico che ci
amministra, sa bene che è più conveniente adottare espedienti per
pilotare il voto, piuttosto che puntare a sopprimerlo. Ciò risponde a
una logica perversa ma è lampante il fine di diminuire la massa dei
votanti, cercando di dare i connotati della maggioranza politica alla
minoranza popolare che vota; le ultime leggi elettorali hanno mirato
esattamente a questo.
In
Italia, il controllo del voto è un fenomeno assai diffuso che si consuma
con l’assegnazione di ruoli pubblici e col diretto versamento di
quattrini a individui d’ogni tipo; detto fenomeno ha come capitolo
portante il voto di scambio ed è totalmente finanziato con ingentissime
somme di denaro pubblico.
In
politica ma spesso anche nella quotidianità, la gente italiana tende a
classificarsi in due modi: uno è silenzioso, deliberatamente lento,
prudente, discreto, intelligente e cinico, l’altro è invece irruente,
emotivo, frettoloso, presuntuoso, chiassoso e facilmente esposto al
plagio.
In
tema di politica, il popolo e il potere hanno “stili” assai diversi; per
il primo, la politica è una sorta di sensazione e impulso che dà origine
a sfoghi, esternazioni immediate e tante altre cose disgiunte dalla
razionalità; per il secondo, cioè il potere, la politica è invece
calcolo, strategia e capacità d’attesa che inibisce l’emotività, la
superficialità e l’avventatezza.
L’antichità classica, la filosofia e la letteratura ci hanno consegnano
la democrazia come una cosa meravigliosa, tuttavia un potere politico
falso e cinico come quello che ci amministra, non può essere combattuto
con le illusioni che vengono dalla suggestione.
Ritorniamo in sala, il congresso continua.
Ti racconto la
politica 55
(Cronaca di un congresso)
parte F
Come
affermato in precedenti occasioni, i congressi provinciali “eleggono” i
dirigenti del partito e i delegati ai congressi superiori; è opportuno
capire l’intrinseco significato di ciò; adesso, ritorniamo però alla
nostra diretta.
L’orario
della seconda convocazione è arrivato.
I convenuti
si radunano qua e là, facendo dei capannelli appena fuori o appena
dentro la soglia d’ingresso, dunque, come abbiamo visto nel
capitolo 53, iniziano ad ambientarsi. La maggior parte va verso
la sala dove a breve inizieranno gli interventi oratori; pochi altri,
che entreranno in sala subito dopo, si recano prima alla verifica poteri
per il riconoscimento dei ruoli congressuali.
Sembra
tutto libero, spontaneo e perfino un po’ goliardico come in un ritrovo
di ex amici di scuola o cose del genere ma, a guardarsi bene intorno, è
facile notare degli individui che osservano e scrutano minuziosamente
tutto.
Si tratta
di un’adunanza, dunque c’è la presenza della polizia o dei carabinieri,
ma c’è anche un gruppetto di iscritti al partito, ai quali è stato
assegnato il compito di vigilare e svolgere una sorta di servizio
d’ordine interno.
Nella sala
dell’assemblea, ecco bene in vista e quasi sempre sopra un palcoscenico,
il tavolo dei relatori.
I posti a
sedere delle prime due o tre file di fronte al palcoscenico e al tavolo
dei relatori, sono contrassegnati col cartellino “riservato” e destinati
alle autorità e a quanti passano per tali.
Nell’area
del congresso, c’è una “sala stampa” riservata ai giornalisti che
dispongono pure di un tavolo nella sala assembleare.
Il
congresso è un rito e come in ogni rito, ha dei precisi passaggi che non
sono affidati al caso neppure in minima parte. Vige una specie di codice
che impregna l’atmosfera di ogni ambiente dell’area congressuale. È una
sorta di gioco di “segnali” che si esprimono attraverso il linguaggio, i
gesti e i comportamenti ... è perfino possibile parlare a un’intera
platea, rivolgendosi a pochissime persone.
È
sgradevole evidenziarlo, ma i “meno importanti” arrivano sempre prima;
capita pertanto di notare la tronfia espressione di taluni che vanno ad
occupare la propria poltroncina riservata, mentre c’è già qualcuno che,
non avendo trovando posto, è rimasto in piedi.
A fianco
del largo tavolo dei relatori che, come affermato, “sovrasta” tutto, c’è
un podio con un microfono riservato a chi prenderà la parola per
rivolgersi ai presenti.
In quel
tavolo, i posti sono assegnati in modo preciso; il segretario o comunque
lo statuto definisca il capo del partito, è in un certo senso il padrone
di casa, dunque, siederà al centro. I relatori prendono ovviamente posto
nella parte del solo lato lungo del tavolo che permette di avere la
platea di fronte; può sembrare assurdo che talvolta si tenga in
considerazione, ma in quel lato può esistere un posto centrale, solo se
i posti a sedere sono dispari … fateci caso.
Ti racconto la politica
56
(Il “multintrigo” dei congressi)
Ricordiamo
che i congressi “eleggono” i dirigenti di partito e che questi sono una
sorta di ponte con i poteri istituzionali … occorre intuire l’intrinseco
legame di detti dirigenti, con quanto descritto di seguito.
Esiste il subdolo tentativo di spingere
il popolo verso una cultura ipocrita e ingannevole del “socialmente”
giusto. Si è giunti a istituzioni prepotenti che “inventano” leggi,
norme, decreti, regole e delibere che nulla hanno a che vedere col
corretto senso del giusto né di morale, equità, libertà, democrazia e
rispetto.
Il
capitolo n.16 (Realtà e linguaggio) rileva che, seppure
nell’illusione
d’essere concreti, più
si parla per immediata emotività e meno tempo si dà al cervello per
riflettere e capire; l’impulsività
amputa l’intelligenza.
I “registi” della politica, intesa
nell’accezione più negativa, hanno dato vita a una quantità di apparati
che mentre dichiarano i più nobili intenti, creano una miriade di regole
e balzelli con lo scopo di estorcere denaro al cittadino e di
assoggettarlo alla prepotenza istituzionale.
È sempre meno sopportabile che il
popolo sia costretto a subire tante prepotenze indegne ma intoccabili,
perché rese come “sacre” da questa o quella istituzione pubblica; ciò è
una tragedia sociale.
L’essere umano, in quanto perfettibile,
non ha alcuna possibilità di creare nulla di perfetto; l’assoluto può
esistere nel trascendente o soprannaturale, ma non può fare parte della
quotidianità umana.
Ciò è di per sé un motivo razionale e
sufficiente perché un ordinamento amministrativo e politico serio faccia
propria la libertà del dubbio, ovvero l’intelligente umiltà di capire,
ammettere e correggere i propri errori. Qualsiasi apparato governativo,
amministrativo, legislativo e politico sarebbe autorevole e degno di
stima, se evitasse di usare certa emotività popolare per costruire
inganni dalla facciata credibile e se si dimostrasse davvero disponibile
a rivedere le proprie posizioni, secondo la coscienza dell’autocritica e
la lettura di quello che viene oggi chiamato il feedback popolare.
L’irragionevolezza di cittadini ingenui
e talvolta fissati che assumono certa rumorosa inconcludenza popolare
come riferimento politico, rinforza la propensione ingannatrice delle
istituzioni che trovano facile gioco nel proporre “impalcature”
ingannevoli e difettose, che però presentano come assiomi, ovvero come
verità assolute, dunque credibili, da non mettere in discussione.
L’autorità politica non è Dio; essa non
merita considerazione se non sa meritare stima.
L’autorità politica italiana dimostra
da decenni, di preferire un popolo facilmente ingannabile a un popolo
preparato.
Il fine dell’autorità istituzionale si
è bassamente spostato dal dovere di tutelare il cittadino, alla
cattiveria di avvilirlo e opprimerlo … tutto ciò accade in nome e
all’insegna di doveri che vengono imposti come tali ma che non hanno
autorevolezza etica per essere tali.
In sintesi, creando dei presupposti
“divinizzati” dal concetto di inconfutabilità e perfezione delle norme,
si tende a rendere intoccabile l’istituzione che non merita rispetto.
I dirigenti di partito sono parte
predominante e attiva nei sopra accennati costumi.
Ti
racconto la politica 57
(Cronaca di un congresso)
parte G
Scattato l’orario della seconda convocazione e sciolti i capannelli
appena fuori e appena dentro la soglia d’ingresso, la gente ha preso
posto nella sala assembleare e il congresso è iniziato. In fondo, sopra
il palcoscenico, c’è il tavolo dei relatori e a fianco, il podio dal
quale prenderà la parola chi è già in elenco; più in basso, la platea è
in attesa. E’ prevista anche la “sceneggiata” di dare la parola al
pubblico, ma nei “tempi morti”, per pochi minuti e dal posto a sedere.
Il
primo a intervenire sarà un portavoce o la maggiore autorità presente
del partito che, come sappiamo, è seduta nel posto centrale del lato
lungo del tavolo che guarda gli astanti.
Può
capitare che si trasmetta un inno e si proiettino delle immagini. In
platea, il silenzio è assoluto. Il primo oratore si alza, esegue con un
dito il solito “toc toc” sul microfono per confermare l’ok dell’audio,
dunque avvia il più caloroso ringraziamento rivolto a tutti gli
intervenuti che s’impegnano presto in un generale e fragoroso applauso.
L’esteriorità è impeccabile; gli astanti, quelli che poco c’entrano con
i veri “addetti ai lavori”, sono calati in un ambiente sobrio, elegante,
etico … ma, come descritto nel
capitolo n. 55, tutto è immerso in una ritualità che è stata
prevista, anzi preordinata in passaggi che nulla affidano al caso … una
sorta di gioco di “segnali” che si esprimono attraverso il linguaggio,
la gestualità e i comportamenti.
Dopo
una serie di salamelecchi, il primo oratore entra finalmente nel vivo
della questione.
Com’è
già affermato, stiamo “riprendendo” un congresso provinciale che voterà
delle liste contrapposte (capitoli
n. 38 e
n. 42); viene da sé che ogni azione sarà indirizzata a
“demolire” chi, nelle riunioni anche notturne del tavolo del preordino (capitolo
n. 23), non ha permesso di pianificare un congresso a lista
unitaria (capitolo
n. 34).
Insomma, in mezzo a un fiume, anzi un oceano di nobili parole, effetti
scenici, incessanti richiami all’etica, al bene del popolo e
quant’altro, il principale scopo del congresso è riconfermare i vecchi
dirigenti e semmai inserire qualche “fedelissimo giovane”, per simulare
un po’ di “rinnovamento”; si tenterà di distruggere in ogni modo,
perfino architettando denunce all’autorità giudiziaria, quanti non sono
allineati.
Esiste
la diffusa convinzione popolare che il raggiro, l’inganno, la
corruzione, l’ipocrisia e l’ignominia nascano nei palazzi delle
istituzioni; detto malcostume ha invece una genesi più lontana che viene
proprio dai congressi, dunque dai partiti politici. Da lì, si dirama in
ogni ente pubblico, fino alla più piccola amministrazione comunale o
biblioteca rionale, secondo il voto di scambio (capitolo
n. 28) e il manuale Cencelli (capitolo
n. 30).
La
nostra democrazia è ormai diventata la facciata elegante degli inganni
peggiori.
Non è
per caso se, nel gergo, i congressi sono chiamati “Mercati delle vacche”
(capitolo
n. 26).
Ti
racconto la politica 58
Purtroppo
Alle origini del
cristianesimo, la gente si radunava intorno a nostro Signore Gesù Cristo
che, tra eccelsi insegnamenti, predicava anche l’umiltà, l’altruismo, la
saggezza, la generosità e molte virtù che rendono grande l’essere umano.
Nei secoli e millenni, la
cultura ha come ascritto quelle virtù all’etica, al senso di umanità e
alla possibilità della persona di condurre un’esistenza degna.
Ciò è semplicemente
meraviglioso, ma se Gesù Cristo tornasse tra noi, di nuovo in forma
corporea e visibile, a ricordarci ancora quelle eccellenti cose, allora,
con i millenni della storia e dell’esperienza, noi non dovremmo più
limitarci ad ascriverle alla sola dimensione etica ma dovremmo
aggiungere anche quella intellettiva; insomma, dette virtù non rendono
grandi solo in ordine all’etica ma anche all’intelligenza.
Invece, gran parte della
società ha accolto, preferito e fatto proprio l’egoismo, la
maleducazione, l’arroganza, la cupidigia e una serie di cose per le
quali l’essere umano si è illuso d’essere furbo, forte e potente mentre,
al contrario, è diventato ignorante, presuntuoso e perfino vile e
imbecille.
Rinunciando a quegli
insegnamenti o più semplicemente al buon senso, l’essere umano ha
rinunciato alla propria intelligenza; in questo modo, ha ritenuto
superflua la cultura e si è amputata la possibilità di avere una
cognizione corretta della libertà e della democrazia.
L’intelligenza, la
potenziale intelligenza che, fin da quando nasciamo, è lì a nostra
disposizione per aiutarci a trasformare il cervello in mente, è stata
squallidamente battuta dalla facile illusione di poter interpretare la
realtà attraverso i comodi schemi dei pregiudizi e delle frasi fatte.
Basti pensare, un esempio
per tutti, a certa assurda interpretazione del concetto di “concretezza”
che, come talvolta inteso perfino popolarmente, non ha nulla a che
vedere con la concretezza vera … c’è chi è convinto d’essere concreto,
pur non concludendo nulla.
Com’è ovvio che sia, la
complessità fa parte della vita e pretendere di cancellarla, è un po’
come avere la presunzione di portare un razzo sulla luna, senza
possedere alcuna cognizione per farlo.
Vivere di presunzione, può
dare l’impressione di trascorrere un’esistenza da protagonisti ma, di
fatto, rende perdenti, deboli e costantemente vulnerabili.
Esiste, inevitabilmente, chi
approfitta di quanti vivono nella convinzione che sia intelligente
sostituire l’umiltà e la saggezza con la presunzione e il pregiudizio,
ovvero con le stupide posizioni d’arroganza delle credenze errate.
In questo corso si parla di
politica, dunque, dei personaggi, degli organismi e degli stratagemmi
che rendono “grasso” il parassitismo e l’uso, purtroppo indegno, della
politica di oggi, approfittando facilmente di quanti hanno sostituito la
presunzione alla cultura e l’arroganza alla saggezza.
Abbiamo già elencato una
serie di ruoli, organismi, apparati e strutture pubbliche e politiche
ignominiose, ma non esitiamo, neppure per un istante, ad aggiungere in
elenco anche l’ignominia dei congressi di partito.
A ritrovarci, con la
prossima parte H della “cronaca di un congresso”!
Ti racconto
la politica 59
Perfino
denunce in malafede
Dicevamo nel
capitolo
58,
che ogni azione sarà indirizzata a “demolire” chi, nelle riunioni del
tavolo del preordino (capitolo
n. 23),
non ha permesso di pianificare un congresso a lista unitaria. La
messinscena congressuale è infatti volta a dare ostentazione di un
partito fortemente unito, “sicuramente” arricchito dal dibattito
democratico, ma anche dalla presenza di un’intelligente sintesi che sa
concludersi nell’unità d’intenti.
E’ ovvio,
indegnamente ovvio, che chiunque non riconosca la posizione politica
espressa dalla lista unitaria e dunque non si allinei, potrà essere
ostacolato e minacciato; sì, proprio minacciato. Per infamare
l’eventuale “disobbediente” di cui nel
capitolo
n. 43,
non è raro
che si passino alla stampa delle notizie inventate allo scopo di
attribuirgli, per esempio, un caso di tesseramento falso. Non è nemmeno
raro che, tra eventuali iscritti critici nei confronti della prepotenza
usata nella gestione del partito, se ne demandi qualcuno alla
magistratura, con tanto di denuncia e usando perfino dei testimoni
conniventi, magari col pretesto dell’accennato tesseramento falso o cose
altrettanto vili; insomma, accade di tutto. Nel prossimo capitolo,
giusto per arricchire il richiamo a fatti che sono accaduti e accadono
realmente, riprenderemo il racconto delle due signore che erano
scrutatrici ma che, arrivate al banco della verifica poteri, non lo sono
più.
Considerando
invece che proprio il tesseramento falso (vedi
capitoli
n. 5
e
n. 6)
sia una prassi del partito demandata ai pacchettari (capitolo
n. 18),
allora ogni ulteriore parola non può che esprimere pesante biasimo per
quanti ritengono di adottare tanti e tali abusi.
Dalla lista
unitaria, alle liste concordate, alle contrapposte, in questo corso si è
dedicato qualche spazio alla descrizione delle diverse tipologie di
liste, ma resta il fatto che per i figuri loschi del partito, la formula
meno gradita sia quella delle liste contrapposte, ovvero di liste sulle
quali non è stato possibile piegare l’eventuale o gli eventuali
“disobbedienti” alla prepotenza unitaria imposta da certa dirigenza.
Tornando alla
diretta del nostro congresso, tanto la democrazia vera quanto la farsa
democratica prescrivono che i candidati siano votati, dunque, saranno
allestiti all’uopo gli opportuni seggi, con tanto di presidenti,
scrutatori e rappresentanti di lista. In genere, ogni lista riporta un
motto, ma si tratta spesso di parole così retoriche e ipocrite da essere
ridicole.
Lo scenario
che investe i partecipi, in buona sostanza, comprende la sala
congressuale completa di tavolo relatori, podio e platea, quindi la sala
stampa, la verifica poteri, i seggi con i relativi addetti, il servizio
d’ordine, alcune salette predisposte per incontri ristretti e talvolta
d’emergenza, l’ufficio di segreteria del congresso e una serie di
ammennicoli che sono utili per fronteggiare qualsiasi tipo d’imprevisto
… insomma, se nel
capitolo
n. 13
abbiamo parlato del “motore e i suoi pezzi”, l’occasione del congresso
può essere definita come una sorta di motore, dentro il motore stesso
del partito.
Ti racconto
la politica 60
(Cronaca di un congresso) parte H
La democrazia
non è certo ciò che ci aspettavamo e qualora avessimo pensato che, tra
le forme di rispetto nei confronti del popolo, essa si fosse sentita in
dovere di coinvolgerlo correttamente per conoscerne le aspettative circa
l’organizzazione della vita sociale, allora abbiamo davvero fatto un
grosso errore. Oggi, purtroppo, la democrazia è divenuta la facciata
elegante degli inganni istituzionali più infami; nulla è spontaneo,
tutto è pilotato e ne è prova la stessa prepotenza con cui viene messa
in moto e gestita la macchina congressuale dei partiti, che stiamo
descrivendo da qualche tempo.
Come dicevamo
negli ultimi capitoli della nostra “diretta”, ogni seggio ha il proprio
presidente e i propri scrutatori; i presidenti sono nominati dai
"padroni" del partito, nelle sedute del “tavolo del preordino dei
congressi” più volte descritto. Gli scrutatori, invece, sono scelti un
po' più “liberamente”. Ogni lista ha infatti diritto a nominare i propri
scrutatori, ma viene da sé che tanto nel discorso della lista unitaria,
quanto in quello delle liste concordate, si tratti di facili nomine che
fanno parte delle varie coartazioni.
Il problema
nasce nel caso delle liste contrapposte ma detto caso, invece del
confronto che si ama nobilmente definire come “democratico”, determina
una serie di soprusi che, tra l’altro, non offrono neppure degli
interlocutori a cui rivolgersi.
Come
sappiamo, il tavolino del preordino dei congressi non è un organo
statutario, pertanto non esiste ufficialmente, tuttavia preconfeziona
ogni congresso e prende accordi verbali che, se anche appuntati su
qualche pezzo di carta, sono solo delle intese omertose tra le parti. È
dunque ovvio che nel corso di una controversia come, per esempio, quella
che stiamo per descrivere di seguito, le intese omertose di cui sopra
non sono mai utilizzabili quali prova o testimonianza di nulla. In ogni
modo, nelle riunioni intorno a quel campione di antidemocrazia che è il
tavolino del preordino dei congressi, si è stabilita ogni cosa … seggi,
presidenti e scrutatori compresi.
All'apertura
del congresso, domenica mattina nel nostro caso, due signore che erano
state indicate quali scrutatrici, arrivano al banco della verifica
poteri e apprendono che i loro nomi non risultano in elenco. Gli addetti
non sanno ovviamente nulla; loro ricevono infatti gli elenchi con gli
incaricati dei vari ruoli e possono solo leggerli.
Insomma, i
nomi delle due signore non ci sono e guarda caso, si tratta proprio
delle scrutatrici che erano state chieste dai presentatori della lista
“contrapposta”.
“Telefoniamo
a Roma! Chiamiamo la direzione nazionale! Chiamiamo i Carabinieri!
Denunciamo alle autorità! - Urla qualcuno". “Chiamiamo i dirigenti del
partito! Blocchiamo il congresso! - Urla qualcun altro”.
I telefonini
squillano come aggrediti da quel senso di giustizia per cui gli onesti
vanno a morire; ma tutto tace e come sempre accade in questo nostro
Paese, anche quest’ingiustizia andrà a consumarsi nella più sprezzante
omertà.
Ti racconto la politica
61
(Facciamo
il punto)
Ci conosciamo ormai da
qualche tempo e i sessanta capitoli che precedono, hanno descritto un
po’ di cose, raccontando anche meccanismi e “tortuosità” tali da rendere
evidente che l’improvvisazione, l’impreparazione, il chiasso e
l’emotività non sono in grado di procurare alcuna possibilità di
affrancarsi dalla morsa di politici parassiti e indegni ma anche
minuziosamente organizzati.
Da decenni, da troppi
decenni, siamo un popolo che propone forme di rivalsa politica così
inconcludenti e inefficaci, da indurre a pensare che non si tratti solo
di un popolo perdente ma anche penosamente incapace di capire.
Esuberanti chiassosi
credono ancora nella piazzata o nella rivolta, senza rendersi conto che
recitano le parole e gli slogan che proprio il potere politico gli mette
in bocca.
Nei capitoli che
precedono, abbiamo parlato dello schema e delle sue linee, degli uomini
di parrocchia, del tesseramento e dei sistemi per falsificarlo, dei
“postifici” e delle sgrinfie della politica sul territorio, dei
dirigenti di partito, dei delegati, delle correnti e di una serie di
giochetti, inganni e truffe che formano l’insieme dei veleni con cui
certa politica istituzionale ma criminale, piega il popolo ai più
indegni voleri.
Abbiamo insomma parlato
di una sorta di enorme motore e dei pezzi che lo compongono; abbiamo
descritto come si comprano i voti, chi li compra, come si pagano e su
quali capitoli del bilancio pubblico gravano.
Abbiamo descritto come i
partiti politici determinano anche il più piccolo particolare della vita
delle istituzioni pubbliche e come manovrano i congressi da cui prendono
genesi i meccanismi che permettono tali sofisticate possibilità di
controllo.
Specialmente nel
capito n.16, abbiamo parlato di come si adopera il linguaggio
per camuffare la realtà e rendere “elegante” la facciata degli inganni
più ignobili.
Abbiamo detto dei “pacchettari”,
del tavolino del preordino dei congressi, del cosiddetto “mercato delle
vacche”, del manuale Cencelli, delle liste unitarie, concordate e
contrapposte, chiuse e aperte; abbiamo detto come si scrivono i
manifesti e gli statuti politici e descritto anche come viene minacciato
e perfino denunciato un eventuale “disobbediente” non uniformato alle
prepotenze dei capi della politica del partito.
Bene, anzi male; alla
luce di tutto questo, quale appellativo potrebbe essere dato a chi pensa
ancora di opporsi a tanta criminale organizzazione, con qualche slogan o
incitamento alla piazzata?
Nel vedere tanta
inconcludenza nell’azione di rivalsa politica popolare, si resta davvero
sgomenti e si comincia tristemente a pensare che il popolo sia trattato
come merita.
A tutt’oggi, la
democrazia non esiste o noi, per lo meno, non sappiamo meritarla. Il
termine democrazia fa però parte del sontuoso vocabolario dell’ipocrisia
della politica istituzionale italiana che ha saputo concepire una serie
di espressioni per prenderci in giro come allocchi.
Detestare i politici
vigenti non basta; occorre anche prendere le distanze da quel popolo
rimbombante e inconcludente che versa debolezza su tutti i cittadini.
Ti racconto la politica
62
(La
Cheirocrazia)
L’etimo del termine
democrazia, viene dal greco “Demos” che sta per popolo e “kratos” che
sta per comando; democrazia vuol dunque dire governo del popolo.
La concezione
aristotelica distingue il governo del popolo tanto dalla monarchia, cioè
comando di un singolo soggetto quanto dall’aristocrazia, cioè comando di
una cerchia di persone.
In Italia, invece, la
democrazia non è il governo del popolo ma quello di alcuni, cioè di una
cerchia che decide, ma ciò non è da confondere con la sopra citata
concezione di aristocrazia che, riferendosi al comando di pochi, vuole
che quei pochi siano i migliori. Aristocrazia sta infatti per “governo
dei migliori” (aristoi - migliori, kratos - comando). Insomma, la nostra
democrazia non è espressione della volontà del popolo, ma della volontà
di pochi che, tra l’atro, non sono per nulla i migliori.
Per definire l’odierno
squallore della politica italiana, la Grecia antica avrebbero forse
usato le parole
cheiróteros (peggiori) e kratos (comando), che noi avremmo
tradotto in “Cheirocrazia”, ovvero il comando dei peggiori.
La questione, pur nella
sua drammaticità, è semplice: ai più non è dato di usufruire dei
vantaggi di una democrazia reale, mentre ai meno è concesso di avvalersi
dei privilegi di una democrazia che non è certo la democrazia di tutti.
Questo corso, oltre a
dare delle informazioni, desidera offrire spunti onesti e non emotivi,
per indurre a meditare su come il popolo possa uscire dall’ormai storica
inefficacia delle sue forme di rivalsa politica.
I modi per ovviare,
possono anche essere semplici ma diventano utopistici in una società che
ritiene intelligente la scelta di non partecipare. Un simile
atteggiamento sociale avalla le profetiche parole del filosofo Alexis de
Tocqueville quando affermò che se il cittadino è passivo, la prima ad
ammalarsi è la democrazia.
Eppure, non può non
esistere una sorta di tasto sensibile che una volta “toccato”, risvegli
tanto l’intelligenza popolare quanto il desiderio di rivalsa.
Abbiamo qui letto delle
innumerevoli e sporche prassi che il potere politico vigente, pur
definendosi democratico, usa per soggiogare il popolo.
Intervenire per
modificare la politica è possibile, ma nulla può essere modificato in un
batter d’occhi; occorre organizzarsi fuori dell’illusione, con costanza
e capacità d’attesa; queste sono però caratteristiche di una società
assennata e non sprovveduta.
Il concetto di squadra è
importante, ma gli italiani intendono la squadra come un organismo che
deve servirli e non come un organismo da servire; la squadra darà
vantaggi a tutti, ma ciò non può accadere nel breve termine.
L’autocompiacimento rende deboli e permalosi, mentre esclude dalla
possibilità di interpretare il senso oggettivo della libertà;
l’intelligente sa mettere in convivenza il proprio individualismo, con
lo sprone a capire i vantaggi della conoscenza.
La banale abitudine di
confondere l’immediatezza con la concretezza, purtroppo ci allontana
ancora dalla possibilità di concepire forme efficaci di rivalsa politica
popolare.
Ti racconto la politica
63
(Politica
e modernità)
Non è poco lo
spazio che questo corso dedica alla descrizione, non senza riscontri
reali, delle gravi disonestà che nei decenni i partiti politici hanno
trasformato in prassi. La politica può appartenere a chiunque, ma la
democrazia non può che essere del popolo.
È ovvio che
la partita della democrazia si giochi contro quanti vogliono fare della
politica una sorta di prepotenza privata.
Non avrebbe
avuto senso dedicare tanti capitoli alla descrizione dei veleni della
politica dei disonesti, senza porsi il fine popolare di contribuire a
sapere per difendersi.
Qualche
decennio fa, noi cittadini, noi popolo abbiamo avuto ragione a iniziare
a diffidare della politica ma abbiamo sbagliato ad orientarci verso il
disinteresse da essa.
La modernità
conferma che la politica sia il modo più acuto per ottenere che si
rispetti il popolo ma abbandonando il campo d’azione, ci si macchia
della colpa di cui è macchiato ogni disertore.
Chi ha
capito, deve continuare a impegnarsi per capire e chi non ha ancora
fatto il primo passo verso la conoscenza vera della politica, lo faccia!
La modernità
va avanti e chi fa del disinteresse, della superficialità e della
presunzione una sorta di cartello, resterà indietro e sarà d’intralcio
alla società intera.
L’evoluzione
cambia tutto; capita perfino che renda antico ciò che era moderno fino a
ieri. Oggi sappiamo, lo afferma la concreta fisica quantistica, che
nulla è separato da nulla e nell’età contemporanea, più che nel passato,
l’evoluzione tecnologica gioca un enorme ruolo politico; la questione
politica entra in ballo in tutto e chi pensa di ignorarla, non ha capito
niente.
Per esempio,
anche se certi irriducibili avranno ancora da ridire, dopo lunghi
decenni, prendiamo atto dei gravi limiti che ha reso l’emotiva scelta
nucleare. Afità, ggiungimento dell'l' rncora
per esempio, dopo avere emotivamente pensato che l’apparato pubblico
potesse essere una sorta di nostra mamma, oggi vediamo che lo Stato non
è amico del popolo ma il suo oppressore.
L’invadenza e
la prepotenza delle istituzioni, ostacolano la maturità popolare e
fortificano la cultura del disinteresse e della non partecipazione.
L’antipolitica non può migliorare le condizioni sociali della vita e
avvicina al potere quanti puntano a trarre privilegi personali alle
spalle degli “assenti”.
Qual è la
soluzione?
Si può
discernere all’infinito ma, nella sintesi, fatta salva la fede nel
Signore di cui ciascuno si fa personale carico, gli elementi risolutivi
restano la modernità e la cultura per capirla, cioè la politica.
Il futuro
apparterrà al popolo che avrà saputo capire, oppure a chi continuerà a
sfruttare i limiti dell’impreparazione popolare.
L’evoluzione,
anche quella tecnologica, deve essere accolta con razionalità e non con
fanatica suggestione; la politica non deve essere affidata alle sparate
dell’impulsività ma, al contrario, alla costante sommatoria dei fatti
intelligenti e quotidiani che sanno darle senso; se il futuro sarà
prerogativa oligarchica o democratica, dipenderà da ciò.
Ti racconto
la politica 64
(Cronaca di un congresso)
parte I
Riprendiamo
la nostra “cronaca di un congresso”, dal
capitolo n. 60 (parte H) e puntiamo di nuovo le “telecamere”
sulle due signore che erano scrutatrici e che, arrivate al banco della
verifica poteri, apprendono di non esserlo più; proprio quelle due
signore che, guarda caso, erano le scrutatrici richieste dai
presentatori della lista “contrapposta”.
Come di
consuetudine, il tavolino del preordino (capitolo
n. 23) ha lavorato fino alle ore piccole della notte che precede
l’apertura del congresso e sebbene la sua attività, come abbiamo già
avuto modo di affermare, non sia ufficiale, esso stabilisce comunque
ogni dettaglio del congresso.
Alla chiusura
dei lavori del noto tavolino, avvenuta a notte inoltrata, i nomi delle
due scrutatrici non sono più quelli di prima; è così e basta, del resto,
anche se si tratta di sedute ufficiose, intorno a quel tavolino siedono
i “capi”.
L’addetto al
banco della verifica poteri, rivolgendosi alle due signore, ripete con
garbo che si rende conto del disagio, ma anche che i loro nomi non
risultano nell’elenco degli scrutatori.
L'atmosfera
si fa pesante e davanti a tali prepotenze, non è un caso se il
nervosismo pressa per venire fuori; questo e altri episodi non meno
prepotenti, sono abitudine delle attività di partito e i congressi, così
come vengono concepiti e gestiti, sono una vera offesa alla democrazia.
Inoltre, dato che la forma riesce spesso a contare più della sostanza,
se qualcuno ingiuria i farabutti artefici di tali ignominie, finisce
perfino col pagarla in nome di una giustizia che talvolta sa essere
anche più cieca dei ciechi.
In ogni modo,
le due signore non sono più scrutatrici e il presidente del seggio al
quale erano assegnate, potrà fare adesso ciò che vuole.
“Chiamiamo il
rappresentante di lista! Contiamo gli iscritti che vengono a votare!
Corriamo di qua! Andiamo di là” … non ci si dà pace, ma tutto è
imbrigliato nella morsa dell’omertà.
Ci s’illude
anche di poter ricevere giustizia telefonando a Roma ai dirigenti
nazionali, ma quella Roma che dovrebbe essere garante della correttezza,
non risponde al telefono e non risponde di nulla. Bene, anzi male, non
resta che prendere nota e fare ricorso agli organi di garanzia, ovvero
ai "probi viri" del partito; ma chi sono? Chi li ha eletti? Cercheremo
di capirlo nel prossimo capitolo.
Gli onesti e
i corretti si spendono con generosità, ma le falle sono troppe e da soli
è impossibile tenerle d’occhio tutte.
I congressi
dei partiti sono normalmente un colabrodo di prepotenze d'ogni tipo ...
sono una delle miserie umane e più se ne raccontano e più se ne possono
raccontare.
Del resto,
noi italiani ne abbiamo concreta prova; dalla presidenza della
cosiddetta Repubblica a quella del Consiglio dei ministri …
all’incaricato dell’ultima biblioteca rionale, tutto ha genesi dai
dirigenti politici eletti nei congressi dei partiti.
Ti racconto
la politica 65
I probiviri
Gli
statuti dei partiti contemplano i probiviri e il collegio da essi
formato per risolvere le eventuali controversie interne al partito
stesso.
L’etimo
è latino; “probus” vuol dire onesto e integerrimo, mentre “vir” vuol
dire uomo, dunque, secondo l’etimologia, i probiviri sono uomini onesti,
membri di un
collegio che dovrebbe essere l’organo di garanzia più
irreprensibile del partito.
Tanto prestigio, rende
spontanee alcune domande.
I probiviri sono eletti?
Sono nominati? Da chi e con quale criterio vengono scelti?
Nei livelli
territorialmente periferici, non sono sempre “esistenti”, ma nelle
dimensioni regionali e nazionale, essi devono “materializzarsi” almeno
in caso di necessità. Il problema è che spesso non si sa chi siano e
altrettanto spesso, sono tirati fuori come dal cilindro del
prestigiatore, proprio quando la controversia è arrivata a un punto tale
da non lasciare più spazio alla possibilità di redimersi.
E’ difficile che un
qualsiasi partito politico renda noti i nomi dei membri del collegio dei
probiviri e del loro presidente, anche se tale atteggiamento può trovare
una parziale giustificazione nell’oggettiva necessità di riservatezza.
In ogni modo, non si
tratta di dirigenti eletti dal congresso ma di uomini esterni, scelti
per meriti e pregi non comuni, dunque, diversamente da certi omuncoli
che assurgono ai vari livelli di dirigenza, può accadere che qualche
proboviro sia effettivamente probo.
Il “disobbediente”
talvolta citato in queste pagine, ne ha avuto prova diretta e giacché
qui si raccontano cose vere, è corretto menzionare che egli stesso subì
il tentativo di calunnia sulla stampa e la minaccia di denuncia alla
magistratura, proprio come descritto nel
capitolo 59. È doveroso precisare che in quell’occasione,
l’integerrimo presidente nazionale del collegio dei probiviri, notata
l’angheria perpetrata da certi dirigenti del partito, mise in guardia
dalle gravi conseguenze insite in quella deplorevole azione; il partito
si fermò. (ndr - non ci sono stati processi, ma memorie e
giornali sono a disposizione).
Ritornando alla nostra
diretta, vedremo che il congresso sarà convalidato nonostante i mille
episodi di prepotenza. Le due signore si rivolgeranno ai probiviri; è
una questione interna ma i tempi saranno snervanti come quelli della
giustizia dei tribunali. Inoltre, dov'è la prova che le due signore
ricorrenti ai probiviri, fossero scrutatrici? Il tavolino? No, come
sappiamo, quel tavolino ufficialmente non esiste? Anzi, la “frittata” si
può perfino rigirare e magari arriva un altro ricorso nel quale si
accusano le due signore di chissà quale falsa dichiarazione. In
quest’ultimo caso, si potrebbe invece essere convocati immediatamente e
dopo una serie di scontate e pompose citazioni sulla storica etica del
partito, si sentiranno parole come: "Conveniamo di chiudere bonariamente
la questione; si tratta di momenti concitati che non meritano ulteriori
considerazioni”.
Non ti adegui, non
accetti? Allora la denuncia di tesseramento falso arriverà nel tribunale
vero … il fine è piegare chiunque pensi di uscire dal “tracciato”.
Ti racconto
la politica 66
Il quorum
La politica è un po’ come la ricerca scientifica;
“inventa” e scopre cose che può successivamente adoperare tanto a favore
quanto contro la società o la stessa umanità.
Quella del quorum è una prassi abbastanza tecnica e
diffusamente usata; sarà necessario dedicargli almeno un paio di
capitoli.
A dire il vero, la politica italiana si dimostra da
qualche tempo incline a inventare non pochi cavilli e sofismi che
opprimono i cittadini e rappresentano una sorta di generale offesa e
negazione della stessa democrazia.
Cos'è il "quorum"?
Dal latino, la traduzione è "dei quali". Insomma, se
nella tale circostanza gli aventi diritto al voto sono un tot, il quorum
fissa, per esempio, che il voto sarà valido se voterà almeno il 51 per
cento “dei quali”, ovvero del citato tot.
Dalle elezioni referendarie, alle votazioni relative ad
istituzioni ed enti, ai congressi di partito … fino alle assemblee
condominiali e quant’altro, il quorum è un meccanismo presente in molte
occasioni e campi di attività. Capita purtroppo che nell’ambito
istituzionale, esso sia gestito con fini, abitudini e mentalità tipiche
dell’odierna politica.
A suo tempo, quando il quorum divenne norma e argomento
statutario, rappresentò l’intrinseco concetto di legare strettamente
l’approvazione di questa o quella proposta, alla quantità dei consensi
che la stessa avrebbe ricevuto. Il fine era infatti di evitare che
un'esigua minoranza di elettori potesse prendere decisioni al posto
della collettività.
Il quorum si riferisce a tutti quelli che hanno votato in
una specifica circostanza, indipendentemente dalla scelta di voto che
hanno fatto.
È così ancora oggi ma, nei decenni, la politica ha
inventato una serie di distinguo per creare dei presupposti “tecnici”
tali da permetterle di barcamenarsi tra le stesse percentuali dei vari
quorum.
Un quorum fissato nel 51 per cento, rende in un certo
senso omaggio a quella che in democrazia viene chiamata maggioranza; la
politica tuttavia, nelle occasioni in cui vuole accrescere la
possibilità di validazione, riesce in qualche modo a “scegliere” i
quorum.
Nelle le elezioni pubbliche, assistiamo da decenni alla
partecipazione popolare che tende ad essere sempre più esigua; certo, si
tratta di elezioni in cui non necessita alcun quorum, ma è innegabile
che la politica vigente tenda a creare disinteresse per il voto perché
“controllare” masse numericamente inferiori di votanti, è più facile.
Il costosissimo voto di scambio (capitolo n. 28),
per esempio, dimostra che i politici vigenti non desiderano accrescere
l’interesse del cittadino alla partecipazione; come già affermato,
minore è la partecipazione e maggiore è la possibilità di controllare
chi partecipa.
I referendum abrogativi vogliono un quorum del 51 per
cento, ma nel caso che si tratti di modifiche di leggi costituzionali,
allora sono detti confermativi e la relativa prassi di validazione non
prevede alcun quorum.
Nei congressi di partito, col quorum si fa di tutto; ne
parleremo nel prossimo capitolo.
Ti racconto
la politica 67
Ancora sul quorum
Come abbiamo
visto nel capitolo precedente e non solo in quello, la politica mira
spudoratamente ad essere suffragata da una partecipazione popolare
sempre più esigua. Calata in una sorta di gioco di prestigio in
contrasto col concetto di democrazia, essa “costruisce” il suffragio di
una minoranza popolare che poi trasforma in maggioranza politica.
Si tratta di
concetti che negano l’etica e difficili da assimilare, ma basti pensare
al cosiddetto premio di maggioranza relativa, per capire ancora una
volta come la politica riesca a fare diventare cinque, la somma di due
più due.
Negli ultimi
decenni, essa si è dotata di una specie di “collezione” di trucchi e
inganni che hanno allontanato il popolo col fine di renderlo
politicamente impotente; un popolo impreparato non crea preoccupazioni
al potere politico.
Gli italiani
chiassosi che credono di parlare chiaro, essere concreti, fare subito e
condire tutto con l’esuberanza, sono ciò che la politica vigente vuole
perché nulla possa scalfirla.
La vita è
complessa e chi pretende di risolverla solo con interpretazioni semplici
e immediate, è candidato a non capirla; se giochi a poker, devi
conoscere le regole del poker e se nel tuo tavolo c’è un baro, allora
devi conoscere tanto le regole del gioco quanto i trucchi del baro …
diversamente, potrai soltanto perdere.
Il quorum è
spesso usato per fini reconditi ed è curioso e importante prendere anche
atto di come sia possibile manipolarlo nel caso dei congressi di
partito; argomento che qui accenniamo, ma che approfondiremo nel
prossimo capitolo.
La
circostanza e prassi congressuale, infatti, è resa valida dalla
percentuale di presenze in ordine agli iscritti del partito celebrante;
viene da sé che, secondo i casi, il quorum è uno strumento che si
adopera per rispettare la democrazia oppure per “aggirarla” facendo
finta di rispettarla.
Fissati, per
esempio, in seimila gli iscritti o meglio le tessere (capitolo
n. 6)
del partito che celebra il congresso, nonostante i pacchettari (capitoli
n. 18
e
n. 20)
si diano un gran daffare, vedremo presenti poche centinaia di persone;
per questo motivo, poniamo alle ore dieci e trenta, scatta il meccanismo
della cosiddetta seconda convocazione.
Lo statuto
parla di un quorum del 51% ma, in deroga, la seconda convocazione rende
libera la percentuale di convalida; così, la stampa scriverà di un
congresso regolarmente partecipato e ciascuno, come sempre, penserà
quello che gli pare.
La politica,
lo ripetiamo perché è evidente, davvero evidente, non punta a creare
interesse nella partecipazione dei cittadini, come vorrebbe la
democrazia; vuole invece gestire, in ogni circostanza, gli elettori di
che mira ad “assottigliare” sempre di più.
Ad una certa
ora, in ogni modo, il congresso prende avvio, ma pochi, davvero pochi
sanno quanti siano i reali partecipanti; le autorità pertinenti
dichiarano che il quorum è stato ufficialmente raggiunto e dunque la
farsa ha inizio.
Ti racconto
la politica 68
(Cronaca di un congresso)
parte L
Comunale,
provinciale, regionale o nazionale che sia, il tipo di congresso è
ovviamente legato all’area territoriale a cui si riferisce. il più delle
volte, relativamente alle dimensioni minori, i congressi di partito sono
pianificati perché durino una giornata, in tal caso, iniziano di solito
la domenica mattina. Invece, se si prevede o è necessario che durino di
più, allora si anticipa il loro inizio alla giornata di sabato, se non
di venerdì.
Noi stiamo
seguendo la cronaca di un congresso di un partito che conta circa
seimila tessere, relativo a una vasta area provinciale e il cui inizio è
fissato nella mattinata di una domenica.
Le nostre
telecamere sono di nuovo accese, l’orologio segna le dieci ed è già
arrivata un po’ di gente.
Si tratta di
giornalisti, autorità, amici, curiosi, iscritti … e una buona quantità
di “figuranti” che, in questi anni in particolare, sono rappresentati da
extracomunitari, badanti e tanti ma tanti individui “arruolati” dal
cosiddetto voto di scambio.
In base ai
seimila iscritti di cui nel nostro esempio, occorrerebbe un quorum di
tremila presenti più uno, ma noi sappiamo che circa metà degli iscritti
sono falsi (capitoli
5
e 6), dunque, anche se arrivasse la partecipazione del
settanta o dell’ottanta per cento delle tremila tessere o iscrizioni
vere, avremmo un po’ più di duemila presenze e meno di
duemilacinquecento; ciò, già lontano dalla normale realtà, è
abissalmente lontano dalle esigenze ufficiali del quorum che,
ricordiamo, può sempre “utilizzare” la clausola della seconda
convocazione richiamata anche nel precedente capitolo.
Curiosi,
passanti, uditori e quant’altro, possono entrare liberamente nei locali
del congresso. Il banco della verifica poteri, citato in più capitoli
del presente corso, non chiede infatti i documenti d’identità a quanti
entrano e raggiungono i locali in cui si svolge il congresso, ma
verifica solo l’identità di quanti dichiarano d’avere specifici ruoli da
compiere. In buona sostanza, chi ha il compito di fare lo scrutatore o
il presidente di seggio o il rappresentante di lista o di essere
relatore o di fare parte del servizio d’ordine o quello che è, allora si
reca al banco della verifica poteri e trova i verbali che ne attestano
il ruolo.
Gli altri,
tutti gli altri, dai giornalisti, ai curiosi, agli “assoldati” anche
solo con un’attenzione, un pranzo o una semplice pizza, alle ormai
immancabili badanti e prestatrici d’opera del genere, tutti gli altri
possono entrare nella sala del dibattito e confondersi tranquillamente
come parte del quorum; seduto o in piedi, chi vuole presenziare è libero
di farlo.
Ora, nel
tavolo dei relatori, un “autorevole” portavoce prende la parola e
propone agli astanti i nomi degli iscritti a cui attribuire i ruoli di
presidente, segretario e verbalizzante dell'assemblea.
Le mani si
alzano e il gioco è fatto; in serata avremo tutti i “ridirigenti” di
partito eletti.
Ti racconto
la politica 69
Una dittatura col lifting di democrazia
La festa per
antonomasia è un Popolo che si libera da despoti e parassiti, riuscendo
ad ottenere la repubblica, la democrazia e le votazioni; è però ovvio
che a supporto di una tale entusiasmante stagione sociale, debba esserci
un popolo equilibrato e scevro da emotive e perfino presuntuose
fissazioni. Diversamente, la repubblica, la democrazia e il voto si
chiameranno ancora così ma, come in sorta di chirurgia plastica,
sapranno rendere “estetici” i trucchi, gli inganni e la depravazione con
cui opprimeranno e sfrutteranno quel popolo impreparato e un po’ ingenuo
che si affiderà alla confusione dell’ignoranza, mentre sarà incapace di
difendersi.
Alla vigilia
del capitolo numero settanta, dovrebbe essere ormai facile capire che,
con la miriade di argomenti affrontati e descritti, questo corso punta a
trasferire conoscenza politica a quel popolo che, nonostante i reiterati
insuccessi, persevera nella fissazione e negli stessi errori.
Tutto muta e
mentre la realtà cede il passo alla rappresentazione di sé stessa, può
anche accadere che la repubblica, la democrazia e il voto diventino un
vile inganno dell’estetica che maschera la sostanza.
Da qualche
decennio, assistiamo in Italia alla grande truffa di una democrazia che,
mantenendo il nome di democrazia, si modifica in una perversa e moderna
forma di dittatura.
Cosa succede
alla nostra Repubblica e al voto?
Aristotele,
già qualche tempo prima di Cristo, parlò di tirannia; oggi, la nostra
subdola politica tende a dare alla tirannia il nome di democrazia.
Già le prime
pagine della storia, trattano dell’uomo che vuole sopraffare l’uomo e da
lì, transitando per le riflessioni aristoteliche sulla tirannia, si è
arrivati alle offese dello stalinismo, del nazismo e di altri mille
dispotismi, fino ad assistere oggi a una democrazia che pretende di
chiamarsi democrazia senza esserlo.
Capita che un
Popolo scenda in piazza e si armi contro la dittatura, ma le cose si
fanno molto più complesse, se si tratta di una falsa dittatura che si fa
chiamare democrazia; per raggirare un popolo politicamente impreparato
che s'illude della forma e non vede la sostanza, si fa scivolare la
prepotenza istituzionale sotto il nome di democrazia e il gioco è fatto.
Popolo (démos)
e potere (cràtos), sono l’etimologia di “governo del popolo”;
lo sanno tutti.
Dall’antico
episodio del popolo che ha preferito Barabba a Gesù Cristo, fino a certe
odierne idiozie che si raccontano e deliberano nelle assemblee
condominiali, non esiste certezza sulle capacità decisionali del
cosiddetto popolo massa, dunque, bisognerebbe essere certi di almeno un
paio di cose.
Non può
esistere evoluzione nella mancanza di conoscenza; ecco perché il nostro
potere politico vigente influenza il popolo con gli appariscenti temi di
cui vuole che parli, mentre tende a nascondergli ogni verità.
Infine, in un
sistema democratico vero, è il popolo che deve capire come non dare
potere agli impostori e meritare d’essere sovrano.
Ti racconto
la politica 70
Sapere,
riflettere e poi agire!
Circa la
realtà politica, il nostro popolo è combinato male e molti, prima di
cercare altrove la colpa di certa inefficacia, dovrebbero cercarla in se
stessi.
Giunto al
capitolo 70, questo corso si augura di invogliare a riflettere sulla
banalità dei troppi atteggiamenti che hanno portato alla totale
inconcludenza della rivalsa politica popolare italiana.
È incosciente
e vanitoso chi pensa di proporsi senza avere cognizione dei meccanismi
perversi e truffaldini, descritti anche in questi capitoli, che la
nostra subdola democrazia usa per rendere inconsistenti le odierne
manifestazioni di malcontento popolare.
Ciascuno
dovrebbe farsi autonomo carico di una così pesante responsabilità e
capire che la suggestione e la superficialità non possono portare alla
ragione.
Siamo invasi
dai “progettisti” delle cose inutili ed è ormai tempo che il popolo di
buon senso si riunisca intorno a iniziative dettate dalla conoscenza e
non della cecità della suggestione e della fissazione.
In
democrazia, si deve percorrere il sacrificio della conoscenza, poi
giudicare e dunque scegliere; ciò è gravoso ma indispensabile. Quelli il
cui sapere è dettato dalla prigionia culturale delle frasi fatte, quelli
che “io non giudico”, quelli che “adesso basta”, quelli che “in concreto
e subito” e cose del genere, sono espressione di una società ingenua e
anche presuntuosa.
Non saremo
credibili né efficaci, se non daremo una diversa fisionomia alle nostre
azioni di rivalsa politica popolare.
Siamo così
fissati e narcisisti che pretendiamo perfino di rendere soggettivo il
significato delle parole (capitolo
n. 16).
Jacques
Maritain, per esempio, come a chiedere di capire la distinzione tra
cristianesimo e cristianità; affermava che l’uno è un messaggio che non
può essere identificato con nessun popolo, mentre l’altra è il prodotto
di una cultura che un popolo può fare propria.
Cedendo
troppo spazio alla comoda emotività, noi abbiamo assunto le nostre
fissazioni personali come verità assolute. Continuando così, ammesso di
non esserne integrati, saremo osservatori passivi dell’emergenza
educativa e dell’incosciente distacco dalla cultura, che stanno gettando
i tentacoli sulla nostra società.
In tema di
presunte novità politiche popolari, è opportuno non lodare i portatori
di atteggiamenti adulativi o grottescamente rivoluzionari, né confondere
gli aspetti della libera analisi con quelli della critica preconcetta.
Liberi dalla
tentazione delle comode suggestioni, individueremo più facilmente le
strategie popolari atte a conseguire obiettivi utili. Chi si pone quale
leader popolare usando l’inganno di certe illusioni o avendo un
recondito e servile tornaconto, accresce l’indice d’impotenza politica
della collettività.
Trasmettere
competenza e rispetto, porta a ricevere fiducia; ciò conferisce successo
e longevità all’aggregazione politica popolare. I convinti “illuminati”,
i vanitosi e i presuntuosi amputano e uccidono la possibilità popolare
di fare squadra. Molti cittadini di buona volontà, un po’ come se
fossero inseriti nella fila dei mattoncini del gioco del domino, sono
esposti a cadere senza colpa, a causa dell’impreparazione di quanti
cadono pur sentendosi imbattibili
Ti racconto
la politica 71
Capire la
libertà
Nel
capitolo n. 62, abbiamo messo a confronto il termine di
democrazia con quello di cheirocrazia che, avendo il significato di
“governo dei peggiori”, si addice meglio ai nostri odierni protagonisti
della politica istituzionale.
All’epoca, un
po’ inebriati dal suo meraviglioso sopraggiungere, abbiamo immaginato la
libertà come un gratuito toccasana della nostra vita. Purtroppo, dalla
libertà di parola e di pensiero, transitando fino alla sostituzione del
concetto di libertà con quello di libero arbitrio, noi non abbiamo
capito che avremmo dovuto dedicare al grande sopraggiungere della
libertà, l’umile coinvolgimento della nostra intelligenza per capire.
Le molecole
sono fatte da atomi, semplice, ma la semplicità viene dopo che si è
capita la complessità.
La politica
non affida nulla al caso e salvo il fatalmente imponderabile, essa
pianifica e determina gli eventi a cui il popolo, nel bene o nel male,
deve sottostare.
La partita
tra la politica di potere e il popolo, si gioca proprio sul fatto che la
politica calcola freddamente tutto, mentre il popolo confonde
l’emotività con la strategia.
Oltre a
descrivere termini e trucchi poco conosciuti della politica, questo
corso cerca di dedicare qualche capitolo anche alla riflessione, ovvero
all’esercizio della ragione che, in gergo popolare, è detto “uso della
testa”.
Nel
capitolo n. 16, in tema di realtà e linguaggio, abbiamo
parlato del significato e della differenza scientifica tra enunciato,
débrayage ed enunciazione.
Per quanto
possa parlare in modo spedito, l’essere umano non può pronunciare più
parole simultaneamente; anche la mente può riflettere in maniera
oculata, opportuna e profonda, può senz’altro abbracciare gli annessi e
connessi di un ragionamento, ma non può meditare simultaneamente, cioè
nello stesso identico istante, su temi del tutto diversi e scollegati
tra loro.
Il concetto è
chiaro; almeno fino a questo ventunesimo secolo, l’essere umano non ha
dato prova di poter parlare e pensare in modo, diciamo, “stereofonico”.
Insomma, per distrarre da un pensiero, basta avvicendarne un altro; ecco
il “training” del plagio. Non si desidera che concentri troppo il tuo
pensiero su una determinata cosa, dunque, si sollecita la tua emotività
per farti pensare ad altro; ne è esempio, sia pure traslando il
ragionamento sul campo commerciale, la perversità con cui si propone la
pubblicità nel web.
Più un popolo
è suggestionabile e più la prepotente politica istituzionale può
influenzarlo. La nostra falsa democrazia ricorre spesso all’emotività
per spingere il popolo nella direzione voluta.
Ciò è
immorale, ma la superficialità non può battere il freddo calcolo.
L'intelligenza dimora sia negli uomini cattivi sia nei buoni; entrambi
possono competere, ma l’idiozia non può battere gli uni né gli altri.
La moderna
concezione di libertà, deve mirare a una cultura popolare responsabile
che opponga l’intelligenza degli uomini corretti a quella dei parassiti
criminali; la libertà non può essere intesa come facile accesso alla
politica, di narcisisti e incapaci.
Ti racconto
la politica 72
Immorali gli
uni, inefficaci gli altri
Nell’accezione dell’esercizio del potere, la politica si presta per sua
natura all’immoralità; essa pone immanente il conflitto tra vantaggi
personali e generali e ha facoltà di corruzione sugli uomini. Attrae sia
chi vive da parassita disconoscendo ogni scrupolo morale sia i boriosi
che trovano in essa gli strumenti per opprimere il lavoro degli umili.
La politica intesa come mero esercizio del potere, aizza la propensione
all’invadenza di quanti hanno ruolo nelle istituzioni che amministrano
la vita sociale.
Sono premesse
gravi e sostenute dallo squallore di politici che tentano di farle
apparire come eque ma, sia pure tra gli innumerevoli tentativi di dare
apparente eleganza a certa sostanza depravata, nessuno può negare che,
almeno in Italia, la politica stia vivendo una delle sue stagioni più
indegne.
La nostra
politica istituzionale non ha più la stima del popolo e si è ridotta a
pretendere d’esistere, senza avere alcuna dignità per esistere; essa,
nonostante il generale disprezzo popolare, resta incollata come una
viscida sanguisuga all’usurpazione del potere.
Il nostro
ordinamento vigente vive di truffe, prepotenze e veleni; purtroppo, a
tale ignominia, si aggiunge l’illusione popolare di combatterlo con
azioni di rivalsa dispersive, inefficaci e vanagloriose.
Certo, anche
per il popolo vale il detto “errare umanum est” ma, dopo decenni
d’insuccessi d’ogni tipo, si potrebbe finalmente evitare di reiterare
ostinatamente gli stessi ingenui errori nel tempo; errori divenuti ormai
una sorta di patologia che rende il popolo impotente circa la
possibilità di ovviare ai soprusi istituzionali subiti.
Sedicenti
leader popolari, ripetono fino alla noia i punti dei loro “originali”
programmi; affollano con le loro “illuminazioni” sull’ambiente, sul
lavoro, sulla sanità, sull’economia, sul fisco, sul bene comune e su
mille temi dei quali si ergono illuminati competenti. Dimenticano
sempre, però, un paio di cose; non sanno mai suggerire metodi idonei ad
ottenere il potere politico necessario per intervenire sui problemi di
cui parlano e non sanno concepire la fiducia da parte di amici e
convenuti, quale primo elemento di coesione per ogni intesa. A nessun
leader è dato d’essere grande, se non sa trasmettere quel senso di
rispetto su cui si genera la fiducia popolare.
Di là della
posizione gongolante dei benpensanti, un assetto politico popolare nuovo
non otterrà ragione se non sarà inconfutabilmente rispettoso della
dignità umana; presunzione ed emotività non possono conferire alcun
successo stabile.
La democrazia
comporta d’essere intrinsecamente capita e un popolo che vive di
superficialità e fissazioni, non può essere in grado di eleggerla a
ordinamento della cosa pubblica.
Fissazione e
suggestione inducono a teorizzare e perfino pensare di votare progetti
totalmente inutili e insostenibili; se anche tutta l’Italia “esaltata”
votasse unanime per l’asino che vola, l’asino non potrebbe volare lo
stesso.
Nuovi gruppi,
movimenti, partiti e quant’altro dovranno conferire al fenomeno
dell’aggregazione popolare, le doti di umanità, sobrietà e avvedutezza
che sono state smarrite.
Ti racconto
la politica 73
(Cronaca di un congresso) parte M
Il presidente e il
segretario dell’assise sono stati eletti per alzata di mano, il
verbalizzante è stato nominato e il congresso è entrato nel pieno delle
funzioni.
Come sappiamo, il
tavolino del preordino dei congressi (capitoli
n.18
e
n. 23),
ovvero l’impeccabile “regia”, pensa a tutto, dunque, sceglie
“convenientemente” anche la sala.
Potendo infatti
prevedere con buona approssimazione il numero dei partecipanti, opta per
una sala assembleare che non avrà posti a sedere per tutti. Insomma,
tanto per essere chiari, sceglie una sala con un centinaio di posti a
sedere, se ha previsto una partecipazione un po’ superiore a cento
persone. Ne sceglie invece una con duecento posti a sedere, se ha
previsto una partecipazione di qualche decina di persone oltre le
duecento; così come ne predispone una con cinquecento posti a sedere, se
ha previsto un centinaio di partecipanti in più di cinquecento … e così
via.
Con questo "trucco", si
parlerà di una sala gremita di persone. I giornalisti scriveranno di una
tale partecipazione che non tutti hanno trovato posto a sedere e la
gente che leggerà, scambierà ancora una volta la realtà, con certi
aspetti della realtà rappresentata (capitolo
n. 16).
In fondo, dal palco
rialzato dove hanno preso posto i “padroni” del partito, gli interventi
sono iniziati. Il relatore di turno si sposta nell’apposito podio a
fianco del tavolo e da lì, inizia ad esternare le sue “profonde”
meditazioni.
Abbiamo già visto (capitolo
n.55)
che nell’area del congresso, c’è una saletta dedicata alla stampa e
anche un altro tavolo, proprio nella sala del congresso, riservato ai
giornalisti che vogliono seguire il dibattito dal vivo. Generalmente
sotto il palco, in uno dei due estremi, c'è un tavolo riservato alla
segreteria del congresso.
Vicinissimo
all’ingresso, come sappiamo, c’è il banco della verifica poteri e una
sorta di reception; dunque ci sono i seggi con le relative urne e
cabine, una serie di salette per appartarsi in gruppi ristretti,
l’immancabile bar interno … e altri "miniuffici" pronti a creare ogni
"intoppo" burocratico se, pur partecipando con tanto di diritto, arriva
la presenza di qualche “disobbediente” che non intende adeguarsi alle
mafiose regole della farsa.
Nessuno s’illuda; nei
congressi dei partiti non esiste la democrazia e non si esita a bloccare
con ogni mezzo e senza scrupoli, chiunque non “obbedisca”.
Per reiterarsi nel
tempo, le dittature devono farsi chiamare democrazie e per farsi
chiamare democrazie, devono mantenere vigente l’istituto del voto.
Abbiamo descritto come
si adopera il voto di scambio per controllare le elezioni pubbliche, ora
stiamo descrivendo come si manovrano i voti dei congressi.
Prossimamente, parleremo
di partiti che, in nome della modernità informatica, “celebrano” i
congressi senza celebrarli e parleremo anche di partiti che rendono
obbligatoria una sorta di qualifica aggiuntiva, perché la sola tessera
non basti a dare diritto di voto congressuale.
Ti racconto
la politica 74
I cani di
Pavlov
Fatti a
immagine e somiglianza di Dio, un giorno diventeremo onnipotenti ma,
oggi, l’organizzazione della vita sociale non può prescindere dalla
politica e se ad essa accedono parassiti piuttosto che persone degne, è
questione altra.
Nei
settantatre capitoli che precedono, abbiamo avuto nozione di molti
meccanismi che la politica italiana, nella sua fisionomia vigente,
adopera per controllare e “spremere” ogni cosa.
La prima
officina dell’intelligenza è la conoscenza; senza, non esiste capacità
di pensiero. Sarebbe bene non sentirsi mai presuntuosamente furbi e
considerare che la possibilità d’essere condizionati, sia sempre in
agguato.
Ricordate il
sovietico Ivan Petrovic Pavlov e i suoi famosi cani? Nel 1904, le
ricerche svolte sui riflessi condizionati, gli valsero il premio Nobel
per la medicina.
Pavlov studiò
a lungo il rapporto tra stimolo e reazione e dimostrò che stimoli
precisi suscitano reazioni costanti e che stimoli incerti possono
condurre perfino alla follia; in ordine a quest’ultimo caso, è famosa
un’esperienza che condusse.
Pavlov abituò
dei cani a mangiare il cibo su piatti di forma quadrata e a rifiutarlo,
pena delle punizioni, se posto su piatti rotondi.
I cani
impararono velocemente a cogliere la differenza tra le due forme,
dunque, presero a mangiare “spensieratamente” dai piatti quadrati,
mentre rifiutarono il cibo posto sui piatti rotondi; Pavlov, dunque,
passò ai piatti esagonali, ottagonali e così via.
All’aumentare
del numero dei lati, i cani mostravano esitazione, ma erano puniti solo
se assumevano cibo dai piatti perfettamente rotondi.
I poveri
animali sembravano davvero bravi a riconoscere il cerchio, ma Pavlov
continuò col decagono, col dodecagono e via di questo passo. Cogliere la
differenza dal cerchio, era sempre più angosciante e quando la
poligonale ebbe un tale numero di lati da essere confusa col cerchio
stesso, alcuni cani non riuscirono più a mangiare, mentre altri
impazzirono.
Oggi,
credendoci liberi, siamo portati a pensare che certe cose non possano
accaderci ma la nostra politica istituzionale, col suo modo
“particolare” di coniugare lo sviluppo sociale, conduce esperimenti
simili a quelli di Pavlov, con l’accortezza - se così si può dire - di
sostituire i cani con gli esseri umani.
Tutto
annuncia di muoversi all’insegna dell’encomiabile voglia di correttezza
sociale; le perplessità non riguardano certo detta voglia, bensì la
credibilità di quanti se ne promuovono attori.
Alla base di
tale incongruenza, sta il fatto che i luoghi deputati al potere
politico, sono frequentati da troppi individui iniqui e parassiti …
La gente soffre e si suicida come non ha mai fatto e ciò accade perché,
con la scusa di “proteggerlo”, le istituzioni tolgono all’uomo dignità e
libertà.
Abbiamo
talvolta parlato di come certa politica usi l’immorale “vocabolario
dell’ipocrisia”, ovvero quel linguaggio che inibisce l’intelligenza con
la suggestione … come ad usare dei “piatti ambigui tra il rotondo e il
quadro”, per sostituire la comoda fissazione al sacrificio di capire.
Ti racconto
la politica 75
Le primarie
Ogni innovazione che punti a una più alta realtà
democratica, promuovendo la partecipazione politica del popolo, è vanto
per qualsiasi società civile.
Accade però che anche gli appelli alla partecipazione
popolare, possano essere ingannevoli e di tale vergogna, gli italiani
sanno qualcosa.
Da noi, la prima a indire le primarie a livello
nazionale, è stata l’Unione (Centrosinistra), il 16 ottobre 2005, in
vista delle politiche del 10 aprile 2006). Importate solo da poco più di
un decennio, il nostro Paese ha già saputo rivestirle d’immoralità e
brogli; ciò, cronache alla mano, piaccia o no, è da imputare al
Centrosinistra che dal segretario del partito, al premier, al sindaco,
ha preso a utilizzarle per “eleggere” quasi ogni carica.
Del resto, il nostro è il Paese del voto di scambio (capitolo
n.28),
come dei mille veleni che controllano il voto congressuale, riportati e
descritti nei vari capitoli a titolo “Cronaca di un congresso”.
Cosa sono le elezioni primarie o primitive?
Non le abbiamo inventate noi italiani ma, come spesso
sappiamo fare in politica, le abbiamo copiate e “perfezionate” fino a
renderle un vergognoso esercizio della democrazia.
Sono nate negli USA, quali consultazioni popolari locali,
nel settembre del 1847 quando, in Pennsylvania, il Partito Democratico
decise di consultare il popolo per avere indicazioni sul leader da
scegliere; dopo la guerra civile (1861-1865),
si diffusero negli Stati del Sud per poi divenire costume in tutti gli
USA.
Il fine, come sopra accennato, è ricevere indicazioni
popolari sulla scelta della leadership di un partito o di uno
schieramento politico.
Le primarie sono nate come “chiuse”, ovvero accessibili
ai soli tesserati del partito organizzatore e si sono poi diffuse come
“aperte” a tutti i cittadini ma, in questo modo, è accresciuto il
rischio d’inquinamento politico. Nel
tentativo d’impedire che appartenenti ad altri partiti si rechino alle
primarie per cercare di “orientare” il voto in casa altrui, si sono
affermate le primarie “intermedie”, ovvero aperte anche ai cittadini non
direttamente associati alla coalizione o al partito promotore, ma
potenziali sostenitori dei relativi candidati. In questo caso, per poter
votare, ci si deve "iscrivere", anche come semplici indipendenti, in un
apposito registro presso il partito o la coalizione che promuove le
primarie. Insomma, la questione è vaga ma,
mentre negli USA sembra
esistere un po’ di coerenza etica, in Italia s’inventa ogni “destrezza”
per trasformare anche le primarie nella solita truffa giocata nel nome
della democrazia.
Per quanto la Toscana e la Calabria abbiano provveduto a
dotarle di regolamentazione regionale, è da dire che, diversamente dagli
USA, l’Italia non le ha regolamentate con nessuna legge,
dunque, non hanno valore legale, inoltre, nel rispetto della nostrana
arte di “entrare rinculando facendo finta di uscire”, esse offrono
spazio a inique forme di adescamento e falsificazione.
Il tema delle primarie comporta ulteriori considerazioni,
dunque, lo riprenderemo.
Ti racconto
la politica (cap. 76)
Ancora
sulle primarie
Abbiamo già
avuto modo di dire che la politica è come la scienza; la modernità,
infatti, porta entrambe a esperienze e assetti nuovi che però non sempre
sono interpretati e usati per i fini più degni.
Anche le
elezioni primarie sono per noi una sorta di modernità che può essere
usata ambiguamente, pertanto, come affermato in chiusura del precedente
(capitolo
n. 75),
eccoci di nuovo a intrattenerci su esse.
Un popolo
assennato dovrebbe affrancarsi dall’emotività, specialmente ideologica e
accedere a quell’equilibrio razionale che permette di riconoscere, senza
suggestioni, chi usa e inganna i cittadini; in ordine al tema delle
primarie italiane, è lampante e comprovata la parte politica che ha
preso “sinistramente” a manipolarle.
Dalle
elezioni, alle liste dei candidati, ai congressi, alle organizzazioni di
partito e quant’altro, parlare dei temi e dei meccanismi che sono alla
base della concezione democratica del potere istituzionale e politico,
nonché del rispetto del popolo, dovrebbe essere una cosa gratificante e
nobile, eppure, così come in questi capitoli abbiamo avuto modo di
raccontare, si tratta di meccanismi che il nostro Paese è riuscito a
rendere indegni e tutt’altro che osservanti la democrazia.
In Italia si
è ormai assestata una classe dirigente politica abietta che si avvinghia
e perpetua con bramosia sulla propria situazione privilegiata, viziata e
immeritata. Posta come prioritaria su ogni altra questione, è ovvio che
tale immonda ingordigia stupri qualsiasi principio di democrazia e lo
deturpi fino ad annullare ogni rispetto e considerazione nei confronti
del popolo che, pertanto, viene ingannato e piegato sotto il peso delle
sevizie di un così infausto potere istituzionale.
Le primarie,
data la configurazione un po’ vaga che hanno per loro natura, permettono
di intervenire facilmente per manipolare i dati.
Del resto, la
storia italiana della recente importazione e adozione delle primarie, ha
reso nota la loro inconfutabile predisposizione alla “pestilenza”
accennata.
Non v’è
dubbio che il concetto di elezioni primarie “avvolga” in una sorta di
soavità democratica, tuttavia viene da sé che l’inesistente obbligo di
iscriversi al partito che le promuove, permette di chiamare a raccolta
tanto chi è mosso da sincera condivisione e appartenenza al gruppo,
quanto chi è mosso da spirito di concorrenza se non brama di corruzione.
In quel tipo
di elezioni si è visto di tutto; dall’arrivo di pullman di badanti di
varie nazionalità, a “mini-assoldati” d’ogni tipo, a individui che non
perdono mai occasione per definirsi apolitici, a quant’altro, le
primarie sono spesso state trasformate in una sorta di pellegrinaggio
dell’ipocrisia.
Sia chiaro,
molto chiaro, che in questo corso di politica non si biasima minimamente
la democrazia né alcuna sua struttura che rispetti la libertà e la
dignità del popolo; però, si rimprovera con forza, severità e
determinazione ogni politico o cerchia vigente di politici che
trasformano la democrazia nella facciata elegante dei più criminali
inganni.
Ti racconto
la politica 77
… ma cos’è la
cultura?
Sono sempre
logiche le cose che appaiono logiche?
Ciò che
sembra, può essere diverso da ciò che è; ecco una circostanza che
permette molti raggiri.
Meglio
capire! Qui entra però in ballo la conoscenza, ovvero la cultura.
L’intelligenza insegna che è difficile avere un’idea di ciò che non si
sa e non si studia; la presunzione di sapere, invece, avvicina
all’idiozia.
Questa
rubrica, già da tempo, cerca di dare qualche onesta informazione sulla
politica.
La cultura è una sorta di magazzino delle
nozioni ed
esperienze che determinano la nostra possibilità di capire.
Nel concetto di cultura è intrinseco il senso di
movimento. L’etimologia è latina e deriva da “cultus”, participio
passato di “colere”, cioè coltivare. In una sorta d’equilibrio tra
dedizione e capacità d’attesa, la cultura è tutto fuorché fissazione o
immobilismo intellettuale.
Una mente che
si fissa su posizioni statiche, è come un muscolo che non si muove.
La mente è il
primo elemento di difesa e riempirla di suggestioni, rende deboli e
vulnerabili.
E’ indubbio
che vi siano dei riferimenti culturali generati dall’ambiente, ma è
altrettanto ovvio che ogni individuo fissi poi dei livelli personali di
cultura.
Studio,
analisi, curiosità o passione che sia, la conoscenza è esperienza e
l’esperienza è l’unica possibilità che gli esseri umani hanno per
trasformare il loro cervello in mente, dunque, la cultura forma e
trasforma.
La cultura è
il più utile dei normali sacrifici; essa spinge ogni cervello a
diventare mente, ma colui che pensa che ciò sia un fatto dovuto o che
possa avvenire come per grazia ricevuta, finisce col diventare il
maggiore ingannatore di se stesso.
Chi presume
di sapere, non fa nulla per essere qualcosa in più di ciò che è,
inoltre, ama reputarsi preparato, intelligente e forte; una lingua
connessa ad un cervello che non sa essere mente, è una lingua che dice
un sacco di sciocchezze.
Avvicinarsi
alla cultura, è vitale.
Immaginate di
essere in un laboratorio con gli arnesi del vostro mestiere, cioè la
pinza, il cacciavite, il martello, il saldatore, il trapano, il tester e
così via, dunque, giacché siete lì, immaginate che arrivi qualcuno con
qualcosa da riparare. Come vi comportate? Provvedete alla riparazione
con le sole dita o usate gli attrezzi che avete a disposizione?
Ecco, la
cultura è un laboratorio pieno di attrezzi e se da una parte è difficile
trovare chi pensa di ruotare avanti e indietro un dito per fare un buco
in una barra d’acciaio, dall’altra è invece facile trovare chi pensa che
l’emotività e la suggestione siano elementi di razionalità.
La cultura
non ha larghezza, altezza o peso, eppure si “misura e si mette sulla
bilancia”; c’è chi sa quanto sia importante, c’è chi lo sospetta e c’è
chi non lo sa e non lo sospetta; senza, però, non si può pensare di
pensare.
Ti racconto
la politica 78
… chi sei?
Thomas Eliot, letterato, poeta e drammaturgo americano,
affermava che l’ultima caratteristica a morire nell’uomo, sia il pensare
bene di sé stesso.
Insomma, prima morirebbe l’uomo, poi, come ci hanno
sempre detto, morirebbe la speranza e poi, ancora dopo, morirebbe la
predilezione a pensare bene di noi stessi.
Essendo
doveroso rendere alla cultura l’onore che merita, nel precedente
capitolo abbiamo affermato che essa sia il maggiore elemento di
metamorfosi del cervello in mente. La cultura forma e trasforma
continuamente ogni essere umano e ne rende l’esistenza e la personalità,
strettamente dipendenti da ciò che sa.
Noi siamo ciò
che sappiamo e rendendocene conto, potremmo non essere assoggettati alla
vanagloriosa abitudine di considerare sempre gli altri quali
responsabili e colpevoli delle cose negative che ci circondano.
Tu, chi sei?
A tutt’oggi,
non è ancora dato a nessuno di sapere tutto, ma se tu fossi tra coloro
che sanno molto, allora saresti una persona equilibrata e attendibile;
al contrario, qualora appartenessi alla schiera di coloro che sanno poco
o molto poco, allora varresti poco o molto poco; tuttavia, quest’ultimo
caso non è il peggiore.
Infatti, se
tu appartenessi alla schiera di coloro che sanno ciò che gli altri
vogliono che sappiano, allora saresti ciò che gli altri vogliono che tu
sia … ecco, questo è il caso peggiore.
Essere ciò
che altri vogliono che siamo, non è un’eventualità rara, anzi più si è
impulsivamente certi d’essere immuni dal plagio e più è probabile che se
ne sia vittima.
Le parole che
precedono possono sembrare un paradosso, ma il condizionamento
esercitato sul popolo dal nostro depravato potere politico
istituzionale, testimonia quanto sia in uso la cinica “arte” del plagio.
Il caso
peggiore è, dunque, non rendersi conto di essere ciò che altri vogliono
che siamo.
Come noto,
questo corso si occupa di politica, dunque, rimanendo in tema, possiamo
procedere con una specie di test.
Sei convinto
che un popolo impreparato non possa essere elemento di preoccupazione
per un potere politico oppressivo e parassita … diciamo come quello
italiano?
Non credi,
invece, che un simile potere istituzionale possa temere un popolo
preparato che sappia trovare forza nella capacità di stare unito e di
organizzarsi all’insegna della serietà e non dell’emotività?
Ti va di
riflettere sull’azione di rivalsa politica popolare italiana degli
ultimi decenni e di prendere atto che essa sia stata del tutto
inefficace e inconcludente?
Sei certo di
non aver contribuito a detta inefficacia e di non aver agevolato
l’accennata inconcludenza?
Rispondi,
anzi risponditi, ma è innegabile che il potere politico istituzionale ci
tratti come allocchi e se può permettersi di reiterare un tale
ignominioso atteggiamento, è perché gli allocchi e inconcludenti sono
tra noi numerosi.
L’impulsività
è caratteristica degli stupidi e sarebbe opportuno non prenderla come
sintomo di forte personalità, né confonderla con l’intelligenza!
… dunque, chi
sei?
Ti racconto
la politica 79
Massa
La facilità
di suggestione rende il popolo politicamente debole e perdente.
Anche se non
manca chi lo ha fatto autonomamente, forse è bene sollecitare una
generale revisione del concetto di massa. La fisica, tra altre cose,
dice che la massa sia soggetta all’influenza di forze esterne; anche in
politica è così e il potere istituzionale italiano ha fatto di questa
“influenzabilità”, un uso criminale.
Il concetto
di massa attribuito alla dimensione popolare, è così inappropriato da
essere offensivo.
La società,
come affermato a suo tempo dai Funzionalisti (precursori della scienza
sociologica), non può essere definita come massa; essa, infatti, non è
un “ammasso” ma un insieme d’individui e non si può aspirare alla
felicità sociale se non si tende a edificare la felicità del singolo.
Perfino la
nuova e sorprendente fisica quantistica, dimostra che ogni azione
influenza la globalità; la società sarà felice solo se a ogni singolo
individuo sarà data l’opportunità di esserlo … questo è il compito della
democrazia.
Intendere la
società come una sorta di massa omogenea, è un reato culturale; non si
può immaginare che gli individui capiscano tutti alla stessa maniera né
che abbiano tutti le stesse esigenze.
La democrazia
deve fornire libertà e opportunità tali da permettere che ogni individuo
possa esprimersi al meglio delle proprie facoltà.
Certa parte
politica, annunciando ipocritamente di salvaguardare le esigenze minime
di dignità sociale, ha messo la lunga mano della coercizione e
dell’invadenza su ogni forma di libertà dell’individuo; in questo modo,
proclamando l’apparato di Stato come una sorta di mamma di tutti, lo ha
di fatto reso il peggiore nemico del popolo.
Le moderne
forme di oppressione politica, si fanno forti della permeabilità
popolare a certa “seducente” comunicazione.
Il baratro,
quel punto che si poteva evitare cambiando semplicemente direzione, ora
ci lambisce; decenni di allucinate fissazioni, hanno disegnato il
tragico futuro che si propone adesso come quotidiana realtà.
La fissazione
ideologica porta a non percepire la menzogna di certe “autorevoli”
dichiarazioni, inoltre, il popolo è troppo propenso a confidare nel mare
di presuntuosi che si autocelebrano e si propongono quali leader di
“scintillanti” progetti politici, caratterizzati da quella strana
originalità che predica sempre le stesse cose.
I progetti
attendibili, sono ben diversi dai soliti vanagloriosi tentativi di
reclutamento “pro domo mea”.
Abbiamo
ridicolizzato temi come l’ambiente, l’energia, il lavoro e altri,
trasformandoli nella retorica di luoghi comuni che ora si riversano su
noi come acido corrosivo. Non ne abbiamo indovinata una e gli stupidi
slogan che abbiamo urlato, si svelano oggi in tutta loro astrattezza.
La nostra
democrazia è prepotenza istituzionale da una parte e proliferazione di
“palloni gonfiati” che si autocelebrano, dall’altra; occorre imparare a
contrastare l’una e a non accreditare gli altri.
Il popolo
deve ripudiare la suggestione e capire che le strategie politiche serie
si realizzano un passo alla volta.
Ti racconto
la politica 80
La partita è a scacchi, non gavettoni
Abbiamo fin
qui utilizzato un’ottantina di capitoli per riportare e raccontare
gerghi, terminologie, abitudini, veleni, giochi, giochetti e tecniche di
vario tipo che reiterano, arroganti e incontrastate, le abitudini del
“palazzo” del potere politico italiano vigente e delle varie
“dependance” ad esso collegate.
Abbiamo
sempre affermato con determinazione, che il sapere è cultura e che la
cultura trasforma il nostro cervello in mente, così dando una precisa
fisionomia alla nostra personalità e alla nostra vita; insomma, noi
siamo ciò esattamente che sappiamo e da qui, non si scappa.
A quanto
sopra, deve però essere aggiunto, come dall’affermazione di
Thomas Eliot riportata nel
(capitolo n. 78), che l’ultima caratteristica a morire nell’uomo è il pensare bene di
se stesso, pertanto, di là della cultura, del sapere e della competenza,
esiste inevitabilmente e comunque un oceano di indolenti che, mentre non
hanno alcuna voglia di percorrere il giusto sacrificio della conoscenza,
pretendono presuntuosamente e arrogantemente di sapere tutto e di dire
la loro, in ogni caso e su tutto.
Bene, anzi male, che si abbia voglia di ammetterlo o no,
l’oceano di saccenti presuntuosi di cui è cenno sopra, crea la
debolezza, il tallone d’Achille e la iattura di ogni società.
Detti individui, in quanto mossi da chiassosa
suggestione, incompetenza e presunzione, rendono completamente improprio
e inefficace ogni tentativo di rivalsa politica popolare, inoltre, non
essendo in grado di preoccupare la disonesta casta del potere politico
vigente italiano, ne incoraggiano e rinforzano il parassitismo e la
possibilità di vessare il popolo.
È ovvio che non possiamo dimenticarci degli esseri
amorali che amministrano la nostra cosa politica, ma tiriamo in ballo
tanto l’oceano popolare di indolenti quanto gli spregevoli politici di
ruolo, per mettere in evidenza che gli uni, impreparati e spesso
presuntuosi, non possono essere in grado di contrastare la cinica
attività vessatoria con cui gli altri opprimono la gente.
Da qui nasce la questione assai evidente e pratica che i
destini del popolo, dunque di quell’insieme di cittadini che nel
precedente
(capitolo n.79)
non abbiamo voluto chiamare massa, siano strettamente vincolati e
dipendenti dalla preparazione culturale generale del popolo stesso.
Operare senza sapere, ma presumendo arrogantemente di
sapere, è la più assurda e perdente delle pretese; impegnarsi a capire e
fare propria una così importante verità, sarebbe bene e vanto per
chiunque.
Come qui si è sempre sostenuto, occorrerebbe non
confondere l’emotività e la suggestione con la razionalità e
l’intelligenza; dovremmo essere tutti convinti che sia possibile
abbandonare l’impulsività e organizzarsi basandosi su maggiori livelli
di conoscenza e riflessione; nel suo piccolo, questo corso spinge
fortemente verso una simile evoluzione sociale.
Per il
momento non c’è alternativa, se non stabiliamo di capire che possiamo
rinforzarci nell’umiltà, abbandonando le facili presunzioni che ci
rendono battibili e vulnerabili, dunque perdenti, non potremo accedere
ad alcun futuro realmente democratico.
Ti racconto
la politica 81
Non sappiamo avere idee
La cronaca
del nostro congresso in “diretta” non è ancora finita, mancano un paio
di fasi importanti, dunque, quelle conclusive; “accenderemo” ancora
qualche volta le nostre telecamere, tuttavia, dopo ottanta capitoli in
cui ci si è spesso preoccupati di descrivere certe spregevoli “tecniche”
della politica, possiamo anche prenderci qualche libertà.
Sempre pronti
a sostenere contraddittori con chiunque voglia negarle, questo corso ha
descritto delle abitudini perfino perverse del mondo della politica
istituzionale, ma ha anche invitato a notare che imperversa una
mentalità popolare convinta, con un po’ di superficialità, che
l’inconfutabilmente indegno, sia come “edificato” su basi facilmente
contrastabili; invece non è così e anzi, su questa poco avveduta
convinzione, il popolo continua a indirizzare negativamente molti dei
suoi destini.
Possiamo
tranquillamente affermare che se da una parte esiste una classe
dirigente politica indegna, dall’altra c’è l’illusione perfino arrogante
di un popolo che crede di contrastarla mentre la suffraga e rinforza.
Parlare di
“illusione arrogante”, sembra una contraddizione in termini, ma non è
raro che il popolo italiano faccia proprie delle illusioni che sostiene
in modo fissato e con atteggiamenti vanagloriosi.
Esperienza e
studio della storia alla mano, è assolutamente possibile affermare che i
vari assurdi e folli urli di rivalsa politica popolare, se non di
rivoluzione, siano stati vergognosamente rovinosi in relazione al
raggiungimento di qualsiasi obiettivo propugnato.
Le nostre
ribellioni popolari contemporanee sono state tutte fallimentari e ancora
oggi, alla luce dei decenni passati e delle indecenti sconfitte
politiche subite, siamo un popolo che continua a confondere il coraggio
delle idee e la capacità di fare strategia, con certo inutile folclore
politico.
A tutt’oggi,
non esiste alcun segnale che indichi che il popolo italiano si accinga
ad entrare in una stagione o fase di discernimento politico basato sulla
razionalità, invece che sulla facile suggestione; una tale constatazione
lascia supporre che resteremo segregati dalla politica istituzionale per
lunghi e lunghi decenni ancora.
Le premesse
delle prossime politiche del 2018, improrogabili per scadenza di
mandato, sono da patibolo generale del popolo; del resto, non è da
visionari affermare che il popolo saprà fare ben poco per evitare di
subirne le gravi conseguenze.
Qualunque
cosa si faccia, dalla “extrema ratio” del non voto, alla formazione di
soggetti politici nuovi, a quant’altro, siamo un popolo incapace di
stare unito e di capire che, fuori dell’unione e della coesione, non
potremo concretizzare nulla di politicamente e popolarmente utile. Ciò
potrebbe anche stare a significare che ci attende qualche evento
preparato dalla storia, dal destino, dall’evoluzione scientifica o
chissà cos’altro, ma non da noi.
La politica
popolare sembra essersi negata la possibilità di dare una lezione di
etica, di sensibilità e comportamento alla malvagia politica
istituzionale.
Ecco, come
accennato in apertura, forse è proprio da qui che nasce il desiderio ma
anche la necessità di prendersi qualche libertà …
Ti racconto
la politica 82
PdP - Politica da Pena
A proposito
dell’eventualità accennata nel precedente
capitolo n.81, di prenderci qualche libertà, è forse il caso
di riflettere un po’ sulle elezioni politiche che arriveranno comunque
nel correre del prossimo 2018, salvo sconvolgimenti planetari.
Non manca
certo la possibilità di elencare fatti, tanto avvenuti quanto in essere,
così come non manca quella di trarre delle conclusioni se non
previsioni.
Il nostro
Paese è inchiodato in una sorta di considerazione arcaica delle culture
politiche che si raggruppano sotto le denominazioni di “Destra” e
“Sinistra” alle quali, dato certo perbenismo, è stata aggiunta
l’ipocrita “accortezza” di anteporre il termine “Centro” che, per via
del diffuso ma anche arrogante bigottismo popolare, fa apparire le cose
come più eque.
Per esempio,
come in un gioco di prestigio, abbiamo assistito al Partito Comunista
Italiano che, attraverso un maquillage durato decenni, è riuscito a
farsi chiamare Partito Democratico.
Il Centro, a
sua volta “compresso”, si dilata in ogni direzione, come a volersi
chiamare “Destracentro”, “Centrocentro” e “ Sinistracentro”.
Le suddette
ipocrisie reiterano la falsità ma anche la monotonia con cui leader
vecchi, nuovi e sedicenti tali, “abbaiano” i termini di democrazia,
democratico, libertà, liberazione, alleanza, unione, movimento, popolo,
popolare, alternativa, nuovo, sociale, polo e quant’altro … fino a
formare l’infinito rosario dei modi ipocriti con cui si cerca di usare
un nobile nome o acronimo, col vile scopo d’infatuare la gente.
Nasce da qui
la presuntuosa miriade di partiti che pensano di accreditarsi come
intuitivi, mentre non sanno dire mai nulla di nuovo; e avanti, dunque,
con sovranista, indipendentista, secessionista, anti Euro, anti Europa,
rivoluzione e chissà cos’altro finché, alla tiritera di nomi e acronimi
inutili, segue l’altrettanto infinito elenco di programmi che si
propongono come “geniali” mentre continuano a non dire nulla.
Anche
relativamente ai programmi, si assiste alla penosa ripetizione del
sempre uguale e all’autocelebrazione di coloro che li propongono come
originali, pur nella monotona presentazione dei soliti
specchietti per le allodole come la salvaguardia dell’ambiente, la
tutela del lavoro, la difesa dei deboli, la lotta alla corruzione e alla
grave tirannide delle istituzioni centrali e periferiche, la trasparenza
negli appalti, la riduzione della spesa pubblica e delle tasse, l’equità
delle pensioni, il piano energetico e chi più ne ha più ne metta … fino
alle proposte di carcere obbligatorio per i politici criminali che ci
vessano.
Si snocciola il “rosario” dei temi infami con
cui ci si prende gioco di un popolo che, a sua volta, continua
imperterrito a confondere l’apparenza con la sostanza e l’inutile
folclore politico con la capacità d’avere idee e fare strategie.
Le elezioni del 2018 si preannunciano come un destino
amaro. Il PD ha aperto all’uso criminale del potere; Silvio Berlusconi
invecchia mentre certi squallidi individui si barricano intorno a lui;
M5S e altri blaterano … e il popolo prosegue nella sua “lirica
dell’inutile”.
Ti racconto
la politica 83
(Cronaca di un congresso) parte N
Nessuno s’illuda, anche nel
capitolo n.73 (Cronaca di un congresso - parte M) si fa presente che
nei congressi dei partiti, la democrazia non esiste e non si esita a
bloccare con ogni mezzo e senza scrupoli, chiunque non “obbedisca” o non
si allinei.
La
democrazia, la nostra democrazia italiana, è usata esclusivamente come
attrazione esteriore ed è in mano a impostori se non a criminali
incalliti.
Il contatto
umano con la gente è finito e i congressi dei partiti pilotano la scelta
elettiva su dirigenti esperti nella generale organizzazione del voto di
scambio, piuttosto che su dirigenti in grado di meritare la fiducia
popolare.
In chiusura del
capitolo n.68 (Cronaca di un congresso - parte L), si riportava che
il sistema per “scegliere” il presidente, il segretario e gli altri
“garanti” dell'assise congressuale, è semplice ... chi sale sul palco
propone i nomi a suo tempo stabiliti nel tavolino del preordino dei
congressi, dunque, l'assemblea acclama.
Svolte le
prassi e le messinscene descritte nei precedenti capitoli dedicati alla
“cronaca di un congresso”, ecco che il primo oratore del partito
celebrante, sale sul palco e prende la parola; ma chi è la gente seduta
in sala?
A parte i
“pleonastici” già descritti in altre occasioni, quella gente è "la
crema della crema" di tutti i tesserati, specialmente quelli dei
“Pacchettari” (capitolo
n.18).
I congressi eleggono i dirigenti di partito e sono proprio i dirigenti
che a loro volta si inseriscono e inseriscono i loro uomini nelle
istituzioni e nei “Postifici” ... (capitolo
n.7),
ricordate?
Dal potere
legislativo a quello esecutivo, dai manovratori di ruolo in ogni
settore, ai burattini di turno, tutto prende forma lì, proprio nei
congressi ... ma pochi lo sanno. In quell’assise, se anche fossero
presenti tutti i tesserati, si conterebbe meno dell'uno per cento della
popolazione anagrafica residente, ma l'elenco dei tesserati (vedi
capitoli
n.5,
n.6,
n.14,
n.18,
n.20,
n.21,
n.22)
è sempre un “concetto vago” e alla fine, in quella sala, il popolo è
rappresentano in misura dello zero virgola per cento. In quella sala,
sono seduti corrotti e aspiranti corrotti; sono seduti alcuni dei
soliti ingenui e l’eventuale disobbediente non disposto ad allinearsi e
pronto a scontrarsi con qualche “capo”, si troverebbe inesorabilmente
ostacolato dalla desolazione etica di quello scenario.
Eppure,
paradossalmente, è già tanto che si parli di gente seduta in sala; oggi,
infatti, c’è chi offende la democrazia con i “web-congressi”; non stiamo
certo disapprovando la modernità ma denunciamo che molte “novità
tecniche” siano spudoratamente usate per soggiogare la gente, invece di
garantirla; oggi, i “congressi telematici” sono una truffa.
Inoltre, qui
in Italia, proprio per “contrassegnare” i tesserati che avranno il
diritto di voto congressuale, c’è chi ha “inventato” la qualifica di
socio attivista; lo sapevate?
Parleremo
presto di come si presentano le liste nei congressi.
Ti racconto
la politica 84
Non ho tempo
Come afferma
la stessa scienza, perfino il concetto di tempo si evolve e chissà
quante cose ci dirà ancora; il tempo avvolge tutto ed è un concetto
pertinente anche alla politica, dunque, trovarlo tra le pagine e i
capitoli di questa nostra trattazione, è normale.
A proposito,
sei tu che dici sempre: “Non ho tempo”?
Beh, se è
così, vorrei parlare con te di alcune cose; con te, sia chiaro!
Vorrei
discernere di politica, vorrei che mi aiutassi, vorrei aiutarti, vorrei
che riuscissimo a pensare perfino di giocare talvolta nella stessa
squadra.
Vorrei,
vorrei ... vorrei comunicare, conoscerti, dare e ricevere compagnia,
confrontare le tue e le mie idee.
Si tratta di
sentimenti elementari, di parole semplici che esseri umani generosi
pronunciano ogni giorno al telefono, per strada, al bar … ovunque.
Semplici
parole alle quali purtroppo, forse con qualche leggerezza, tu rispondi
quasi sempre: “Non ho tempo”.
Che
espressione apatica, non credi?
Poco
originale, ripetuta da troppi e troppo spesso col ritmo dell'ossessione
e con qualche traccia di presuntuoso vittimismo.
Parole che
valgono davvero poco, eppure usate da buoni e cattivi, umili e
arroganti, contenti e tristi, uomini e donne, poveri e ricchi.
Parole
intrise della troppo “sconfinata” giustificazione del “devo lavorare”,
“devo mangiare”, “devo mantenermi”; parole che sono spesso viatico di un
sopravvivere mediocre e offensivo dell’ultimo brandello della tua
libertà.
Forse non ci
hai mai pensato, ma la mancanza di tempo è una sorta di truffa nella
quale sei caduto come un allocco.
Una società
che non ha tempo è una società che non sa riflettere, una società che
non genera preoccupazione a certa prepotenza istituzionale, ovvero a
quel potere politico che proprio per portarti via il tempo, ti annega
nell’angoscia, nell’impedimento, nella regola immorale e nella
burocrazia bastarda.
Eh sì, caro
mio, ci sei proprio caduto come un allocco!
Non hai tempo
insomma, dunque, non credi, non aiuti, non t’impegni e fai come di tutto
per non valere nulla, nonostante ti senta un “duro”.
Ho sentito
spesso come contesti e come ti lamenti! Quei tuoi toni supponenti, quel
coraggio solo urlato, quegli assurdi flash senza cognizione che lanci
come se fossero luce al mondo.
No, non è
vero che ti manca il tempo; forse scarseggi in umiltà, coraggio e
preparazione.
Eppure, tutti
insieme, siamo la forza e se la smettessi di non avere tempo, ti
accorgeresti che quelle istituzioni che ci offendono e quei miserabili
adepti del potere politico vigente, inizierebbero ad avere paura.
Caro amico
che non hai tempo, caro lavoratore, caro elettore del Centroqua o del
Centrolà, procurati un po’ di tempo e di convinzione, sforzati di capire
che il mondo va oltre il salotto di casa tua e i muri del tuo ufficio e
che proprio lì, oltre quelli, c’è un nuovo paragrafo di vita che ti
aspetta.
Ti racconto
la politica
85
La
maledizione politica
La politica è
appestata da decenni e possiamo parlare di parassiti, zecche e insetti,
come se fosse una pianta ammalata; è una realtà ormai antica che non
accenna a finire e che fornisce "frutti marci" da troppo tempo.
Ha una natura
criminale, scopi subdoli, ipocriti e disonesti, inoltre, tanto centrali
quanto periferiche, genera istituzioni arroganti, marce, incapaci e
prepotenti.
La vergogna
della politica italiana merita ormai la punizione, il castigo e la
condanna divina!
Fatta fuori
la classe politica dei “grandi vecchi”, è arrivata anche una moltitudine
di “giovani” impreparati e inconsistenti, che non sono minimamente
riusciti a ricostruire nel popolo lo stimolo della curiosità, se non
proprio quello della fiducia nella cosa pubblica.
Sia la Destra
sia la Sinistra hanno avviato la loro ipocrita corsa verso il Centro
non, come era inizialmente sembrato, per dare ragione alla conferma
della democrazia quale forma di rispetto del popolo, ma per rimanere
comunque abbarbicati, nonostante mossi da narcisismi, egoismi e altri
mille squallori umani, al vizio del potere.
Da un canto,
sedicente paladina delle classi deboli, la Sinistra ha finito con lo
snocciolare il più interminabile rosario dei fallimenti
politico-popolari; dall’altro, sebbene in possesso di contenuti meno
enfatici, la Destra si è tanto sfaldata da non riuscire a portare via il
testimone neppure a una Sinistra che non è mai stata così prossima al
nulla, come in questo momento.
Sulla
passerella della politica, quando va bene, scorre un bla bla bla
ipocrita e insopportabile; quando invece va peggio, scorre una cafoneria
e una grossolanità che solo qualche allocco può confondere ancora col
coraggio del parlare chiaro.
Nonostante si
sia toccato il fondo da lunghi anni e nonostante lo si continui e
raschiare, non s’intravvede, neppure in lontananza, il più piccolo
barlume di una sorta di primavera che possa annullare o quantomeno
limitare quello schifo che è ormai diventato la normalità della
politica.
Per contro,
come in una beffa, esiste un mare di sedicenti leader popolari che si
auto incensano mentre tentano di darsi sorte “lanciando” presunte novità
che sono solo inconsistenti e vanagloriosi proclami.
Da una parte
siamo, chi corrotto e chi inconsapevole, complici della vergogna
istituzionale accennata, mentre dall’altra continuiamo a dare credito
alla politica popolare dei “sacchi vuoti”.
Cosa accadrà?
Semplice, non sappiamo organizzare nulla perché siamo un popolo che
sciorina mille idee a cui non affianca mai una strategia efficace,
dunque, il destino ci condurrà dove vorrà.
Non siete
d’accordo? Ok, aspettate le politiche in arrivo e vedrete.
Deve essere
il popolo a capire come avvicinarsi alla politica per migliorare la
democrazia … ma per questa meravigliosa evoluzione sociale e popolare,
ci vorrà ancora moltissimo tempo.
Creata la
disaffezione popolare, si è come spenta la fiducia politica su tutto; la
politica vera, la politica alta, la politica che coinvolge e appassiona,
è intanto morta.
Ti racconto la politica
86
Privi d’ogni pudore
Non se ne può davvero
più.
Con quale faccia di
bronzo i nostri politici “eletti”, continuano a proporsi con superbia,
prepotenza e vigliaccheria, nonostante ricevano quotidiani insulti da
parte del popolo che non li sopporta più?
Faccia di bronzo forse è
poco; si tratta infatti d’individui “devoti” alla loro natura parassita
e vigliacca con cui sfruttano i cittadini.
Come recita una sorta di adagio: al mattino, ogni
italiano che si alza dal letto, resta piegato perché ha il peso di un
politico sulle spalle.
È incredibile come i nostri politici, portatori di mille
punti di vista differenti e contrastanti, trovino unità d'intenti nel
derubare e avvilire il popolo.
Il primo
parlamentare si suiciderà quando si sarà ucciso l'ultimo cittadino.
L’infame apparato
pubblico, ha avuto genesi per tutelare il popolo e invece esiste per
avvilirlo e opprimerlo; il nostro popolo vive il
calvario della schiavitù creata dalle istituzioni.
Ne è esempio la
mostruosa burocrazia che, presentata come equità e sicurezza, ha invece
il fine di estorcere e corrompere.
L’intelligenza ha una
perversa deviazione che si chiama cinismo e nei nostri politici vigenti,
il cinismo straripa.
Basti pensare che,
mentre il consenso popolare è in costante calo, loro si organizzano per
compralo piuttosto che per meritarlo e il capitale che adoperano per
pagarlo, viene dal denaro pubblico. Le istituzioni dello Stato hanno
saputo trovare i nomi più nobili per mascherare le più infami forme di
corruzione ed estorsione.
La democrazia è cosa
diversa dall’ipocrisia che se n’è fatta per dare agio ai criminali e
vigore agli stupidi; del resto,
la democrazia è luce della società quando la società esce
dal buio del’ignoranza.
La nostra falsa
democrazia non permette affatto di vivere in regime di libertà, al
contrario, essa usa sottilmente il plagio per incanalare il popolo dove
le fa più comodo; si "occupa" di te, facendo di tutto perché tu non ti
occupi di lei. La limitazione della libertà fisica è un concetto di
oppressione popolare antico, oggi si è fisicamente liberi di mettere
l’emotività al posto dell’intelligenza, dunque, di fare proprie le
fissazioni con cui si è ipnotizzati dal plagio che è una precisa tecnica
del potere; per esempio, l’intelligenza dell’apolitico è uguale a quella
di chi, attaccato in mare dagli squali, si definisce “asqualico”. Il
potere riesce ancora a dividerci in ideologie, mentre la sua unica
ideologia è l’estorsione di denaro.
Credevamo d'avere
scopeto la democrazia, invece ci siamo trovati davanti al modo nuovo e
ambiguo di chiamare la dittatura.
La nostra democrazia è
sopruso istituzionale, ma il destino o fato, che per i Greci superava lo
stesso Giove, ferma in modo trascendente gli individui perversi e le
angherie della storia. Anche un popolo come il nostro, incapace di
rivalse efficaci, prima o poi vedrà la carne dei suoi politici infami,
dissolversi come corrosa nell’acido.
Ti racconto
la politica 87
(Cronaca di un congresso) parte O
Una semplice
proposta formulata dal podio degli oratori, naturalmente concordata a
suo tempo nel “tavolino del preordino dei congressi” del quale abbiamo
scritto in svariati capitoli, dunque, una semplice alzata di mano da
parte degli astanti ed ecco eletti il presidente, il segretario e
quant’altro previsto per l’assise del congresso.
Dopo qualche
immancabile “salamelecco”, si prosegue per ottemperare ai successivi
compiti. È giunto il momento di fissare gli orari d'apertura e chiusura
della presentazione delle liste; anche se non è il primo né l’ultimo, è
adesso che scatta uno dei trucchi più antidemocratici e dispotici di
tutto l’evento congressuale.
Sarebbe
democratico ma anche logico, che vi fosse libertà di presentare le liste
dei candidati alla dirigenza del partito, già dal momento in cui il
congresso è dichiarato ufficialmente valido e in essere, ma non avviene
è così. Nei partiti politici italiani, la democrazia è considerata un
rischio, dunque, si devono mettere in atto i soliti “trucchi garanzia”.
Nel noto
tavolino del preordino dei congressi, si è fatto di tutto per
programmare la celebrazione di un congresso di tipo "unitario", cioè con
una sola lista (capitolo
n. 34) di candidati alla dirigenza del partito; è quasi
sempre così, ma anche la descritta modalità delle “liste concordate" (capitolo
n.37), sottintende che sia già stato pattuito e prestabilito
ogni particolare. Anche se accade molto raramente, il problema - si fa
per dire - è invece rappresentato dalle cosiddette "liste contrapposte"
(capitolo
n.38). In ogni modo, c'è sempre una lista detta "ufficiale", che
il partito presenterà per prima; in altre parole, l’assemblea non fissa
un orario dal quale sarà possibile iniziare a presentare le liste, ma
fissa che quell’orario scatti dal momento della presentazione della
prima lista che è quella ufficiale.
Le liste
inaspettate non sono gradite, dunque, si stabilisce che la lista
ufficiale del partito sia la prima e che la sua presentazione segni il
termine d'apertura per la presentazione delle altre liste eventuali.
La proposta è
fatta, gli astanti alzano la mano e approvano, ma quale sarà l'orario di
chiusura?
Sembra un
sorta di gioco di prestigio, si è infatti fissato un orario senza
fissarlo.
Tutto deve
essere controllato, dunque, accade normalmente che la presentazione
della lista ufficiale faccia scattare il momento di apertura ma anche di
chiusura quasi immediata, se non immediata, della presentazione delle
altre liste.
"Cari
iscritti - prosegue il relatore - svolta la prassi iniziale, diamo
adesso avvio al dibattito; più tardi, fisseremo l'orario di chiusura
della presentazione delle liste".
Così, intorno
alle undici, il dibattito è dichiarato aperto. Dirigenti, senatori o
deputati che siano, i primi relatori parleranno fino a sera. Quando
arriva la lista ufficiale? Quale sarà l’orario di chiusura della
presentazione delle liste? Che fine ha fatto il seggio delle due signore
(Capitolo
n. 52) che non sono più scrutatrici?
Ti racconto
la politica 88
Non vinci se non sai
Non c’è dubbio che la
politica sia una materia complessa, dunque difficile da seguire, capire
e conoscere, però è la base su cui si sviluppa ogni organizzazione,
amministrazione e norma della società civile; allora, darsi da fare per
conoscerla e capirla è utile, doveroso e perfino intelligente per ogni
cittadino.
Per gioco del destino o
debolezza del popolo o intrusione della prepotenza, quando accade in
particolare che essa finisca nelle mani di individui indegni e privi di
scrupoli come succede ormai da qualche decennio nel nostro Paese,
dunque alla nostra società, allora diventa imperitura la necessità di
sapersi documentare e destreggiare per conoscere con meno superficialità
la politica e i suoi meccanismi.
La conoscenza però, non
può derivare dalla facilità di suggestione e dalla conseguente
emotività; essa deve essere una ponderata necessità dettata dalla
capacità d’attesa e dall’intelligenza.
Nessuno può confutare
che il nostro popolo viva un’epoca in cui é piegato, sfruttato e
martoriato da una politica di regime che l’opprime, giorno per giorno,
per non dire del ripetersi dei casi di cittadini che vanno via
dall’Italia o che addirittura si suicidano.
Nel mondo si sono
vissute molte rivoluzioni e ribellioni ma le poche, anzi pochissime che
la storia annovera come effettivi successi popolari e non come occulte
manovre del potere, sono state veramente vinte dal popolo solo quando
questo ha saputo condurle con intelligenza e capacità di strategia.
Urlatori e fanfaroni non
hanno vinto mai nulla, essi non sono affatto portatori di forte
personalità né sono dei “duri”, come si sentono e come amano definirsi;
sono invece dei ciarlatani che trovano sostegno nella facile
suggestionabilità di un popolo stanco ed emotivo che li immagina come
illuminati da raro intuito e indole rivoluzionaria.
Non può esistere
successo nel rifiuto di capire e non esiste impegno né lavorativo né
sportivo né progettistico né politico né di nessun tipo, che possa
condurre al successo e alla vittoria se non dietro una lunga, profonda e
competente preparazione.
È ovvio che non si possa
sapere tutto di tutto, ma è deplorevole pretendere di parlare e proporre
strategie relative a cose di cui, nonostante si sappia molto poco, si ha
la pretesa di passare come intenditori.
Nelle decine di capitoli
che precedono, questo corso ha descritto, anche minuziosamente, trucchi,
abitudini, veleni e vergogne che certa quotidianità riferisce a modo
suo; si tratta però di scorrettezze e perversioni così vere e
inconfutabili che, nonostante siano stati pubblicamente invitati
presidenti, ministri e deputati a offrirsi per eventuali contraddittori
circa gli squallori descritti, nessuno si è fatto avanti.
La politica vigente si
permette di maltrattarci con troppa facilità; saremmo più intelligenti
se la smettessimo di disperdere inutili parole e speranze al vento e se
sapessimo limitare, almeno in parte, la nostra propensione popolare a
farci attrarre dal fascino di ciarlatani e fanfaroni.
Ti racconto
la politica
89
Alipallas
“Concreto e
subito?”
Ricordate il
capitolo n. 24, del
13 febbraio 2016?
Non pensiamo
certo d’aver fatto una predizione, ma quel morbo infetta da decenni la
mentalità italiana e in ambito politico, la fissa popolare del “concreto
e subito” non ha portato a nessun concreto e a nessun subito.
Come di
consueto, il nostro riferimento è rivolto alla politica, ma ci
accingiamo qui a criticare
un “vizio”
della modernità che tende ad ammorbare l’opinione popolare su ogni tema.
La storia e
la vita dimostrano che la competenza diventa sempre più settoriale; per
esempio, se un giorno avevamo gli ingegneri meccanici, quelli edili e
pochi altri, ora, in accordo col percorso odierno del sapere, tendiamo
ad ingegneri in punti luce, ali d’aereo, eliche, recinzioni e
cancellate, sedie, molle e ogni altra specialità particolare.
È probabile
che un vero “tuttologo” non sia mai esistito, ma è certo che oggi
nessuno può abrogarsi il diritto di competere in ambiti che non conosce.
Ciò non vuol dire che non si debbano avere delle curiosità o che non ci
si possa intrattenere con più interlocutori su più temi, ma vuol dire
che la presunzione di sapere non può prendere il posto della conoscenza.
In verità, Il popolo italiano sa ancora esprimere mille ingegni perfino
sopra la media mondiale, dunque, non stiamo certo asserendo che sia un
popolo di spacconi e presuntuosi, tuttavia, in tema di politica, è
difficile trovare chi sentenzia idiozie come fanno certi italiani.
La nostra
politica popolare è devastata da incitamenti di “abbagliati” che si
credono intuitivi, coraggiosi e illuminati, mentre non sono altro che
dei palloni gonfiati.
Da decenni,
il nostro Paese è oppresso dalla criminale invadenza e prepotenza delle
istituzioni politiche, eppure c'è chi si sente libero mentre butta il
cervello all'ammasso, senza capire che la suggestione e l’impulsività
amputano l’intelligenza.
A causa della
suicida abitudine di assumere come verità la verità che più ci piace, la
nostra analisi politica popolare si riempie d'incommensurabili
sciocchezze, come un fiume di parole insensate che scorre nel letto
dell’incompetenza.
Siamo
testimoni dell’inconcludenza della nostra azione di rivalsa politica
popolare; non sarebbe tempo di prendere atto di tale vergogna e
licenziare ciarlatani, vanagloriosi e improbabili “docenti”?
La
specializzazione verso cui corre la modernità, nega l’improvvisazione,
ovvero la diffusa convinzione popolare che si possa realizzare qualcosa
in modo immediato.
Dal concepire
un bimbo per vederlo, come dall’interrare un seme per ottenere un
albero, nella vita, dunque, nella politica, non esiste nulla che si
sviluppi e completi subito.
Il sapere
porta a Dio ed è facile che religione e scienza siano l’una lo stato
potenziale dell’altra, come sappiamo che accade nel rapporto tra energia
e materia; intanto però, non siamo onnipotenti.
Tu sai tutto?
Allora dimmi, per cortesia, dove abita l’umiltà dell’intelligenza;
inoltre, giacché commenti sempre, potresti esprimere la tua opinione
sull'Alipallas?
Ti racconto
la politica 90
Futuro
Le circa tremila battute
usate per ciascuno dei capitoli del nostro corso, possono questa volta
risultare limitative, ma saremo sintetici.
“Aiutati che il Ciel
t’aiuta”, dice l’adagio popolare; cosa vuol dire?
Vuol dire che sul nostro
destino, segnato o no, si può in qualche modo intervenire; ma vediamo di
capire meglio.
Per esempio, se cadi
sventuratamente in mare però sai nuotare, avrai maggiori possibilità di
salvarti, diversamente, in assenza d’imprevisti fortuiti, annegherai.
Ancora per esempio, se ti capita di vivere una situazione difficile e
non ti lasci vincere dall’ansia, dalla paura o dall’emotività, è facile
che te la caverai. Insomma, esistono mille e mille esempi, ma non
possiamo certo elencarli uno per uno.
Insomma, “Aiutati che il
Ciel t’aiuta”, vuol dire che se sai costruirti un carattere un po’
temprato, premunirti di un discreto sapere e scegliere di darti da fare,
allora, nei fotogrammi della tua vita, avrai più possibilità
d’intervenire e cavartela.
Charles Darwin diceva
che alla giraffa si è allungato il collo, per i suoi continui sforzi di
mangiare le foglie in cima agli alberi; è chiara la metafora?
L’adagio citato, è
pertinente anche alla politica.
Ora, distinguiamo qui
almeno due futuri: il primo è un futuro prossimo che riferiamo a
pochissimi decenni davanti a noi, il secondo è un futuro remoto che
riferiamo ai prossimi pochissimi secoli.
Il destino impregna il
mondo e ogni popolo percorre una sua strada però, in tema di politica,
il destino del popolo italiano rischia di essere assai disgraziato. È
triste, ma se continueremo a farci suggestionare dalle parole nobili
usate per presentare come socialmente utili o umanamente caritatevoli i
disegni più avidi e criminali, il citato futuro prossimo sarà per noi
disastroso.
Molti punti chiave del
potere politico italiano, sono stati lentamente resi accessibili al
malaffare e il popolo, non essendosi preoccupato di capire, si trova
come nell’esempio di chi cade in mare senza saper nuotare … un popolo
impreparato non può avere la democrazia.
L’inizio della
perversione politica italiana risale alla seconda Democrazia Cristiana
perché, se non lo sai, le Democrazie Cristiane sono state due. La DC
degna va dalle origini a metà anni Settanta, quella indegna va dalla
seconda metà degli anni Settanta alla sua morte che, però, ha lasciato
aperti gli accessi al potere tracciati per la malavita.
Salvo
la tecnologia, molte delle cose che preordiniamo per il futuro prossimo,
non serviranno nel futuro remoto; esso porterà certezze maggiori se non
assolute, ma intanto noi paghiamo cari i nostri giudizi errati perché
superficiali.
Nel futuro
remoto, la reversibilità tra materia ed energia sarà alla portata di
tutti, arriverà il teletrasporto, la mente potrà ridare esistenza fisica
ai ricordi e l'essere umano sarà dotato di poteri nuovi.
Non saremo
vulnerabili e il male non avrà più senso, ma l’accidia con cui ci siamo
messi ad aspettare quel momento, renderà terribile la transizione.
Ti racconto
la politica 91
Burocrazia e prepotenza
Grazie! Il precedente
capitolo n. 90
intitolato
“Futuro”, ha ricevuto una tale attenzione da lusingarmi. Il record
apparteneva al
capito n. 16
“Realtà e linguaggio”, pubblicato il 5 dicembre 2015, ma “Futuro” l’ha
battuto e tra mail e messaggi, la richiesta più frequente è stata di
trattare ulteriormente il tema e pubblicarne una seconda parte.
Naturalmente lo farò; mi
sento ispirato da certe convinzioni che ho sul futuro, ma lo farò
prossimamente. Oggi, il presente capitolo n. 91 è dedicato alla
“burocrazia di Stato” che, divenuta paravento della prepotenza
istituzionale, opprime il popolo fino al punto che esternare disistima
nei confronti di certe istituzioni, è una quotidiana normalità.
Nel nostro meraviglioso
ma disgraziato Paese, è stata proprio la politica e il conseguente
“stile” delle amministrazioni pubbliche, ad adottare la burocrazia fino
a trasformarla in una sorta di morbo che uccide, specialmente nelle
nuove generazioni, la fiducia, la genialità, la fantasia e lo spirito
d’iniziativa.
L’Italia ha reso
all’impiego pubblico dei privilegi che ha negato a quello privato e
molti, forse troppi amministratori e lavoratori pubblici, si credono
portatori di poteri tali da porsi al di sopra dei normali cittadini; non
è raro, per esempio, imbattersi nella tracotanza e boria del lavoratore
pubblico che, portando una divisa di vigile urbano (pardon, “polizia
locale”) o di controllore di biglietti o altro, si sente l’autorità.
Il rapporto inteso come
quoziente, ovvero il risultato della divisione matematica che pone al
dividendo gli aventi mansione pubblica e al divisore i normali
cittadini, è in Italia il più alto del mondo; perché? Beh, non dovrebbe
essere difficile capire che il pagamento pubblico dello stipendio, come
della parcella, come della “tangente” o qualsiasi altra diavoleria,
faccia parte di uno dei maggiori capitoli di “finanziamento” del taciuto
ma mai negato voto di scambio.
Non facciamo certo di
tutte l’erbe un fascio né vogliamo mancare il rispetto ai lavoratori
pubblici per bene, ma grande parte della normativa burocratica italiana
è costituita da una serie di cabale “inventate” per inserire una
moltitudine di parassiti nell’apparato pubblico, col fine di accrescere
i consensi elettorali di una classe dirigente politica vile, che non si
fa scrupolo di portare molti cittadini all’angoscia o all’abbandono
dell’Italia, se non al suicidio.
A ciò, si aggiunge che
le strutture deputate ai poteri costituzionali legislativo ed esecutivo,
si fanno leggi e decreti ad hoc per legittimare lo sfruttamento, l’usura
e il crimine adottati da certe istituzioni pubbliche.
Come più volte
affermato, è ormai prassi del potere politico usare il vocabolario
dell’ipocrisia per dare esteriorità degna alla nefandezza.
Nel personale pubblico,
è frequente incontrare individui incompetenti e dai modi anche
maleducati e boriosi.
Che dire, inoltre, dei
casi in cui è obbligatorio rivolgersi all’ufficio pubblico tramite lo
strumento informatico, quando lo stesso strumento è stato progettato con
tale incompetenza da essere inutilizzabile?
I cittadini si
lamentano? Ovvio.
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