<%@LANGUAGE="JAVASCRIPT" CODEPAGE="1252"%> Verso quel punto a noi così caro

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giannantonio spotorno

 

Il termine massa richiama accezioni intrinsecamente ancorate ai principi della fisica; essa è in apparente quiete o mutamento, si forma e si trasforma, trattiene e sprigiona delle forze, si espande e si raggruppa … ma non si “inventa” mai.

Affrancandomi dalla riflessione marxista sulla massa, mi riconduco al significato più alto d’insieme di libere individualità e penso, dunque, a quella moltitudine d’italiani che il nostro ordinamento istituzionale tratta con leggerezza da troppi decenni e che la storia chiama adesso a rendere ufficialità di forte consapevolezza di se stessi.

Sono italiani perbene e d’ogni età.

Sono i discendenti, giovani o meno, del liberalismo novecentesco che dall’insegnamento di Benedetto Croce all’interpretazione di Giovanni Malagodi, attraversa ancora oggi il tempo affermandosi quale concezione sociale e politica tra le più moderne.

Sono quegli italiani repubblicani che trovano il loro più recente padre storico in Ugo La Malfa, già erede del liberaldemocratico e progressista Giovanni Amendola noto anche per aver fatto della questione morale il punto fermo di ogni sua attività parlamentare.

Sono gli allievi di quei socialdemocratici che, pur nati nell’area di un socialismo vagamente marxista, non hanno mai partecipato alla pratica comunista di quella filosofia.

Sono i figli di quegli italiani della prima età democristiana che, durata fino ai primissimi anni Settanta, non ha mai ceduto alla decadenza del cattocomunismo.

E certamente, sono anche gli italiani portatori del buon senso insito in quella sorta di comunismo razionale che, ottenuti i successi che il momento storico rendeva opportuni, ha poi saputo prendere atto anche dell’arrivo della modernità.

Infine, ma non ultimi, sono quegli italiani che hanno capito la distinzione posta da Jacques Maritain tra il cristianesimo che è un messaggio universale che non può essere identificato con nessun popolo e la cristianità che è, invece, una cultura che un popolo può fare propria; quello stile di vita laico e sociale, insomma, che ha reso storicamente fondanti i valori della nostra grande società.

Sono questi gli italiani offesi che ora meritano riscatto!

D’acchito, si potrebbe pensare a “discendenze” troppo differenti, ma non è così.

Da decenni la nostra storia dà credito a troppi portatori di rozzezza senza alcun valore, ma i nostri italiani migliori, proprio grazie alla loro irriducibilità culturale, hanno trovato sopravvivenza in mille sacrosanti movimenti e fatti associativi e perfino coraggiose solitudini.

Oggi, quasi paradossalmente, il loro convergere da più direzioni è il maggiore sintomo di potenzialità di compattezza e, del resto, essi parlano tutti con cognizione di libertà, moderazione, solidarietà, dignità e reciproco rispetto … quali altri temi potrebbero essere più rilevanti?

Una società è sfortunata quando non ha più talenti e virtù da opporre all’arroganza, ma questo non è il nostro caso.

Noi siamo solo ostaggio del più vergognoso squallore dei partiti politici che non rappresentano più nulla della nostra società, se non la quota più parassita, disonesta, boriosa e incolta.

Circa i talenti e le virtù, invece, siamo ricchi e culturalmente consapevoli quanto basta. Ora è necessario potenziare ogni nostra riflessione su assetti organizzativi più evoluti che possano permetterci di correre insieme verso quel famoso punto che ci darà ragione.

Ciò è nelle cose e chi s’indirizza all’anacronismo, rischia di non essere buon lettore della politica e della storia. 

Sarebbe grave se in quest’occasione non interrogassimo ogni nostra generosità per intuire quell’oculata strategia e per attuarla nell’onesto rispetto della libertà e individualità di ciascuno.

Penso in piena coscienza che questo sia un momento giusto, ma con altrettanta coscienza suggerirò a me stesso e a chiunque di non assecondare l’angoscia che confonde la durata di un momento storico con quella di un semplice momento d’orologio.