Te lo do io l’impiegato pubblico
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Li censiscono come censiscono gli alipallas
giannantonio spotorno
Il XIX secolo, già
pochi anni dopo l’unità d’Italia, iniziò a guardarli con
“sospetto” e la società borbottando che non era più onnipotente
la legge, ma la burocrazia, bollò presto gli impiegati pubblici
come burocrati.
Si trattò di
predizione? Chissà, ma da allora a oggi la questione non si è
acquietata e anzi diviene motivo di discussioni ogni giorno più
accese.
Inoltre, come se
fossero diversi dagli altri, in Italia i numeri sembrano poter
sfuggire all’infallibilità della legge matematica e si modellano
secondo le più disparate ideologie o convenienze.
Le “dimensioni” di
una cosa nostrana non sembrano intrinseche della cosa stessa, ma
variano in base alla momentanea utilità del suo significato,
offrendo anche lo squallore di chi ricorre alla disonestà
intellettuale per darsi ragione.
Sapere quanti sono i
nostri dipendenti pubblici dovrebbe essere facile, ma non è così
e per farmi capire porgo un banale esempio. Quanti sono gli
alipallas in Italia? C’è chi lo sa?
Sembra incredibile,
ma nel momento in cui si cerca di conoscere il numero dei nostri
impiegati pubblici, diventa incerto perfino sapere cosa siano.
Essi, infatti, sono diretti, indiretti, centrali, decentrati,
fissi, precari, supplenti, di ruolo, non di ruolo, titolari,
addetti, facenti funzione … e chi più ne ha più ne metta, fino a
creare la confusione, in questo nostro bel Paese, tipica d’ogni
tema.
Qui da noi gli
approcci analitici oggettivi sono come messi al bando e si
preferisce dare la parola ai fanfaroni del “distinguo” che
negano anche l’evidenza più evidente a ogni piè sospinto.
In barba alla
trappola delle infinite distinzioni, è impiegato pubblico chi
percepisce uno stipendio fatto di pubblico denaro, punto e
basta. Così semplicemente identificati, si tratta di 3.500.000
stipendi. Ciò fa già rabbrividire, anche se vanno ancora
aggiunti i non pochi casi in cui si paga lo stipendio del
dipendente privato col pubblico denaro; Fiat docet.
Perché tanti e a chi
servono?
Gli impiegati
pubblici sono uno strumento potente con cui i partiti politici
pilotano il voto e lo Stato.
È un “brevetto” che
viene da lontano. I primi diritti d’autore furono incassati
dalla Sinistra comunista che poi divenne così forte da attaccare
l’alito del famoso compromesso storico nella schiena dei
democristiani della seconda era.
Già iniziati gli
anni Settanta, s’iniziò a inventare ogni burocrazia ed ente per
adeguare l’apparato pubblico all’accoglienza del progettato
esercito di nuovi impiegati. Perché?
In Italia il voto
nel segreto dell’urna non è segreto e per sapere come hai
votato, non occorre neppure rintracciare la tua scheda
elettorale. Parleremo un’altra volta di come ciò sia possibile,
ma intanto a buon intenditor poche parole.
Allontanandosi un
po’ tutti da ogni etica, i partiti politici hanno capito presto
l’utilità elettorale e “mercantile” dell’impiegato pubblico,
tant’è che ha preso mano la ricetta “un voto, uno stipendio”.
Solo a fare data
dagli anni Ottanta, gli incrementi di assunzioni pubbliche e di
enti d’ogni sorta sono stati scandalosi; basti ricordare, uno
per tutti, la Regione Sicilia di Cuffaro.
I partiti politici,
nelle mille accezioni della feccia che rappresentano, sono
diventati anche dei particolari uffici di collocamento e dal
presidente di questo o quel consiglio d’amministrazione, al
consigliere stesso, al vigile urbano, al capo tecnico del
comune, al bidello di scuola con annessi e connessi, familiari e
no, ecco come si crea un sistema per pilotare il voto … ma c’è
dell’altro.
Come credete che si
gestisca la macro e micro corruzione se non attraverso la
“dedizione” agli affari dei nani pubblici di periferia e degli
impiegati e funzionari e dirigenti dello Stato?
La comunella tra
politici e pubblici impiegati d’ogni tipo è lapalissiana e nel
giro d’affari che ne deriva, si ricavano quattrini e privilegi
infami assecondati da orde di elettori al soldo di mille
bandiere come i peggiori mercenari.
Non si fa mai di
tutte le erbe un fascio, ma chi tra gli impiegati pubblici è
onesto, viva la propria onestà rinunciando alla difesa della
categoria che, forse, non potrà essere perdonata neppure nel
giudizio universale. |