La fine della realtà
Torna ai titoli
giannantonio spotorno
La
realtà non è più univoca; questo è forse il maggiore tema che
caratterizza la società di oggi. I fatti raggiungono il mondo perché
raccontati e quando ciò non accade, è come se non esistessero. La realtà
non è più la realtà, ma la rappresentazione di se stessa. La metafora è
quella dell’albero che cade nella foresta e di cui nessuno sa nulla, ma
se mentre cade esso è osservato da un raccontatore o da una telecamera,
allora il mondo saprà che l’albero è caduto, dunque è caduto.
la
rappresentazione dei fatti, per ovvi motivi, diviene soggettiva non solo
nella sua costruzione, ma anche nella conseguente interpretazione di
ogni destinatario al quale è raccontata.
Fieri
tutti d’avere ottenuto la libertà di pensiero e di parola, noi siamo
facilmente coinvolti dalla rappresentazione di realtà emotive se non
manipolate. In tale regime, accade che il nostro pensiero e la nostra
parola, anche se onesti, si liberino su stimoli non oggettivi e talvolta
falsi.
E’
inconfutabile che la modernità ci cali in una società complessa che non
potrà essere capita da quanti gireranno lo sguardo altrove
nell’illusione di un approccio semplice o poco faticoso.
Occorre prendere consapevolezza che quasi mai è dato di essere diretti
osservatori di un fatto e che, più verosimilmente, si è raggiunti dalla
rappresentazione dello stesso. Questo è un motivo sufficiente per non
volere che la nostra libertà di pensiero e di parola sia una sorta di
risposta automatica alla realtà che ci viene in qualche modo
rappresentata.
Certo
è che la novità di non potere più considerare la realtà come reale,
porta incertezza sui nostri consueti riferimenti psicologici e culturali
ed espone al rischio di smarrirsi in una confusione che porta nervosismo
in molti soggetti della società.
Teniamo però ben presente che pur non potendo essere testimoni diretti
dei fatti, noi possiamo invece essere testimoni delle loro conseguenze.
Sarebbe dunque bene imparare a trattenere il pensiero e la parola quando
sollecitati dalla spinta emotiva del racconto e liberali, invece, quali
reazione alle conseguenze oggettive che la realtà, comunque raccontata,
genera.
La
questione, che sembrerebbe semplice, suggerisce di porsi con prudenza
davanti alle sollecitazioni emotive delle realtà rappresentate e di
liberare la parola, il pensiero e l’azione mentre le conseguenze di ogni
fatto ci raggiungono direttamente.
Sembrerebbe semplice, ma non lo è.
Nella
rappresentazione della realtà concorrono tecnologie sempre più
sofisticate e tali da poter rendere il racconto ammaliante e ipnotico;
del resto, se noi guardiamo un video, crediamo a tutti gli effetti di
quel video anche quando si tratta di effetti di “regia”. Inoltre, in
base al senso di confusione che abbiamo già accennato, la società è
sempre più nervosa e sceglie di credere al racconto pur di crearsi
subito un punto di riferimento.
In
questa condizione, pur convinti di essere liberi, noi non siamo liberi
per nulla.
La
libertà è, per sua antonomasia, libertà dal condizionamento, ma la
realtà rappresentata tende invece a condizionare tutti.
In
questo modo, la rappresentazione dei fatti cambia la base della nozione
di libertà che pertanto rischia di assopirsi sulla sua stessa
rappresentazione.
Non
sono libero perché sono libero, ma sono libero perché parlo, penso e
agisco “liberamente” guidato in una realtà condizionata.
La
storia umana si è costruita nella lotta contro la sopraffazione della
libertà, ma il tema è oggi assai più subdolo. La libertà subisce
attacchi di contraffazione e dunque occorre prepararsi a un tipo di
lotta diversa dal passato.
La
metafora racconta che lo sportivo ha allenato i muscoli per battere un
avversario, ma che ha dovuto allenare anche la mente quando l’avversario
è stato un baro.
La
nostra società si trova davanti a un attacco moderno alla libertà e deve
reagire promuovendo una meditazione profonda che porti a una strategia
nuova, sapendo bene che in tale impegno ogni superficialità è dannosa. |