Torna ai titoli
D’accordo sul malcontento, però ...
giannantonio spotorno
Per
decenni, dal finire degli anni Sessanta, abbiamo perfino sparato, ma
siamo solo stati capaci di uccidere e non di fare la rivoluzione.
D’accordo, siamo in ostaggio al sistema.
Le
istituzioni ci assediano, la politica dei “disonorevoli eletti” ci
sfrutta e i controlli di enti e di pubblici ufficiali sono degni di un
regime illiberale.
D’accordo, non possiamo più fidarci dello Stato, non c’è alcuna
correlazione tra gli enunciati e i fatti della politica e non esiste
alcun senso di decenza negli organi dirigenti dei partiti.
D’accordo, abbiamo preso atto delle cose che ci opprimono e anche del
perché siamo vessati, soggetti a “usura legalizzata” e controllati a
vista.
D’accordo, sappiamo chi sono gli immondi altolocati che ci opprimono,
quanto siano portatori di colpevolezza e quali modi ignoranti e
sprezzanti adottino i loro piccoli luogotenenti di periferia.
Non ne
possiamo più di ministri, sottosegretari, senatori, onorevoli e
commissioni d’ogni tipo con tanto di presidenti, membri, annessi e
connessi.
Non ne
possiamo più di direttori generali pubblici, di dirigenti di primo,
secondo, terzo e quarto livello, di dirigenti aggiunti, di presidenti di
regioni perfino a due province, di assessori, di consiglieri e ancora di
commissioni, presidenti, dirigenti di dipartimento e aggiunti.
Non ne
possiamo più di presidenti di provincia e miniprovince con tutto il
personale pubblico e “politico” che ne consegue.
Non ne
possiamo più di sindaci d’ogni sorta e ancora di giunte, assessori,
consiglieri, controlli e controllori.
Non ne
possiamo più dei veleni nelle istituzioni, nei sottogoverni o
“sottoboschi” e nei partiti politici diretti da tali e tanti prepotenti
che se volessimo elencarli tutti non basterebbe questo foglio insieme ad
altri mille.
Non ne
possiamo più dei mercati delle vacche di tutti i congressi di tutti i
partiti, come non ne possiamo più dei loro dirigenti che sistemano i
“bilanci” di ogni ingordigia attribuendo cariche e posizioni pubbliche a
spese nostre come insegna, per chi lo sa, l’antico ma attualissimo
manuale Cencelli.
Queste
ignominie sono note a tutti, ma ora non possiamo più pensare di
contrastarle in modo sprovveduto e sbraitando e urlando!
A fronte di problemi
sacrosanti, sono state chieste troppe mobilitazioni poco utili e la
gente si è sfiduciata al punto da essere anche stanca di partecipare;
possiamo sperare che certi stupidi "inventori di proclami" si facciano
un po' carico di questa responsabilità?
Possiamo sperare che chi pensa d’essere concreto perché chiede
mobilitazione intorno all'utopia, si renda conto dei gravi danni e
ritardi che procura alla società?
Noi,
adesso, dobbiamo imparare a costruire una leadership popolare vera,
senza dare ulteriore credito ai mille pifferai che nulla sanno di
strategia e nulla di serio possono proporre.
Un Popolo oppresso non può
seguire i nevrotici del "concreto e subito", ma deve capire che per
liberarsi occorre conoscenza, capacità d'attesa, umiltà e anche un
pizzico di cinismo.
Un
Popolo oppresso deve capire che non può essere realizzata alcuna utile
rivalsa popolare se non all’insegna di un progetto assistito da una
capillare organizzazione territoriale e in grado di attrarre attenzioni,
strumenti e partecipazione.
|