Torna ai titoli                                                                      Un bivio dopo l’altro

 

giannantonio spotorno                                                                                                                 

 

 

La coerenza si evolve nelle scelte, invece, l’impreparazione si radica nel ristagno.

Mi viene in mente Lenin, al secolo Vladimir Ilyich Volodya Ulyanov e il suo “Che fare?”.

Pensate, Lenin scrisse l’opera nel 1901 e la rivoluzione russa scoppiò nell’ottobre del 1917. Il libro parla di rivoluzione ma in ogni suo passo compare la sistematica se non maniaca ricerca di una preparazione in grado di progettare organizzazioni e strategie di alto livello.

Lenin si è rivolto alla gente valorizzandola dal punto di vista dell’intelletto; insomma, le ha chiesto senno politico e le ha chiarito che anche la ribellione chiede disciplina. Ha trattato il concetto di rivoluzione in modo scientifico e ciò ha prodotto il conflitto con quel bue di Stalin che poté diventare capo del Cremlino perché Lenin, già più anziano, morì a soli cinquantaquattro anni.

Del resto, quando lo stalinismo traviò il leninismo e il bolscevismo, fu come vedere la solita mandria di buoi nella cristalleria … ma andiamo a noi!

Il mondo occidentale sta pagando le proprie contraddizioni ma se anche soffrono tutti, il Popolo italiano soffre più di altri.

Dalle nostre parti, alla triste normalità accennata, si aggiunge l’ignominia di una classe politica materialmente corrotta e moralmente depravata; noi, dunque, non siamo solo frodati, ma anche umiliati.

Che fare?

Ogni potere politico è intrinsecamente portato a vessare qualsiasi popolo pressappochista.

Il disprezzo popolare italiano per la propria classe politica dirigente è annoso ma ogni tentativo di riscatto è puntualmente fallito a causa di una conduzione emotiva se non impulsiva.

Eserciti di frettolosi illusi hanno chiesto mobilitazioni su ogni tema, non capendo che il “fronte” è da aggredire nella sua globalità; in questo Paese, certo “starnazzo politico” popolare ha sempre distrutto ogni possibilità seria di rivalsa.

Che fare?

Opinionisti e opinionari non sono la stessa cosa e scomporci in mille temi per mille individualismi è il più grosso favore che si possa fare ai nostri ignobili politici.  

C’è chi, pensandosi paladino, s’illude di poter lottare entrando nei partiti.

C’è chi non avendo arte né parte, improvvisa i natali d’improbabili partiti nuovi.

C’è chi non vota, ma anche in questo caso siamo nel solito Paese dei “distinguo”; infatti, c’è chi non vota rimanendo a casa, poi c’è chi crede di non votare inserendo la scheda bianca o nulla e c’è chi vagheggia che milioni di elettori, al seggio, mettano a verbale la loro volontà di non voto. La maggioranza di non votanti darebbe scacco al gioco dei partiti, ma sembra difficile capirlo.

Infine, cos’altro fare se non sgomente spallucce circa i creduloni che raccolgono firme e promuovono petizioni e referendum?

Insomma, sia pure accomunati da un diffuso sentimento di reazione, siamo una società ridotta in schiavitù a cui si aggiunge la beffa di molti individui che si osannano quali liberi.

Che fare?

In una democrazia falsa come la nostra, solo la politica può battere la politica.

Niente sfoghi, niente improvvisazioni  e niente scorciatoie!

Occorre riunire e organizzare il dissenso tenendolo ben lontano da azioni illusorie e vanitosi individualismi.

Un progetto politico popolare valido si muove per una strada in salita molto lunga che affianca la maturazione personale, la crescita culturale, la consapevolezza e il senso di efficacia e di strategia.

Strade illusoriamente semplici e veloci rendono fallimentare all’infinto ogni azione popolare di rivalsa; esse sono esaltate da chi non ha tempra né altre virtù per partecipare a una reazione seria.